Cronaca (da bordo) di una faticosa, lenta ma indimenticabile Rolex Middle Sea Race

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La Rolex Middle Sea Race (da poco conclusa l’edizione 2025, qui tutti i vincitori) è considerata il “nostro Fastnet”. Una grande avventura prima che una regata: non sono uno scherzo le più di 600 miglia partendo e arrivando a Malta, circumnavigando la Sicilia in senso anti-orario.

Puoi incontrare ogni condizione meteo, devi tenere sempre gli occhi aperti. Quest’anno ha regnato il poco vento, e proprio per questo aver portato a termine la regata è già un’impresa. Un’impresa che ci racconta bene, in questo articolo, Francesco Giordano, armatore dell’X-41 Adrigole II. Leggetelo, siamo sicuri che – se già non lo avete fatto – vi verrà anche a voi la voglia di partecipare alla prossima Middle Sea. 

La Middle Sea Race di Adrigole II

La Rolex Middle Sea Race comincia in banchina. E quest’anno inizia con la bassa, con il mistero della bassa. A qualche ora dalla partenza, con una previsione meteo che si presentava ventosetta, ma tutto sommato tranquilla, la sorpresa: una saccatura – un piccolo golfo, come un dito di bassa all’interno di un’alta pressione – poco a nord della Tunisia si approfondisce ed evolve in una vera e propria, infida, bassa pressione.

Adrigole II
L’X-41 Adrigole II con cui l’armatore Francesco Giordano ha partecipato alla Rolex Middle Sea Race. Ci racconta l’esperienza in questo articolo

Non di quelle Atlantiche che le vedi arrivare giorni prima e sai come si muovono e dove andranno; questa si è creata lì per lì, sembra fatta apposta per noi, un po’ del tipo della nuvola di Fantozzi. Il tema appassiona e, soprattutto, crea forte apprensione. La memoria va all’edizione dell’anno precedente – i danni alle barche, i molti ritiri, le barche in difficoltà, i disalberamenti e le vele strappate.

In banchina tutti scrollano nervosamente i telefoni con gli aggiornamenti meteo, la bassa è così recente che è difficile prevederne l’evoluzione. I modelli più accreditati mostrano evoluzioni diverse, uno la vede spostarsi verso nord – così la pensa il modello europeo – l’altra più a est – il modello americano. Per uno che guarda dall’esterno, le differenze sono appena percettibili, ma per noi che stiamo per partire vuol dire davvero molto.  Il briefing meteo pre-partenza, di solido algido e condotto con toni da conferenza scientifica, si confonde, è tutto un se, ma, forse; la conclusone: speriamo bene.

La preoccupazione è tangibile. Tanto che, anche tra i veterani di tante Middle, si sente dire: se domattina prima della partenza il vento viene da est (segno indiscutibile che la bassa si sta spostando verso nord) non usciamo dal porto (cose dette in banchina, poi di sicuro sarebbero partiti, ma descrive il clima). Perché se la bassa va in su, verso nord, avremo si il vento al traverso, ma ce la troveremo sopra la testa, il che vuol dire, come ci hanno informato al briefing, venti con punte di 60 nodi e scariche di fulmini.

Da bordo di Adrigole II

A poche ore dalla partenza, l’oracolo si scioglie. I due modelli convergono, la bassa ha iniziato a muoversi lentamente, ma con decisione verso lo ionio, cioè verso est. Si tira un sospiro di sollievo. Ci beccheremo la parte posteriore, che vuol dire ore e ore di pioggia torrenziale e vento da nord, che è precisamente la direzione da fare verso lo stretto di Messina, a circa 150 miglia da Malta, primo punto cospicuo del giro antiorario della Sicilia (in tutto oltre 600 miglia). Insomma: mentre durante l’interminabile turno notturno, con la cerata che cede e l’acqua che ti scorre lungo la schiena, siamo costretti a ringraziare gli astri per averci concesso questa bolina lenta e bagnata; l’alternativa non vogliamo neppure immaginarla.

La partenza della Middle Sea Race, per qualsiasi timoniere è cardiopalma puro. Dopo lo sparo del cannone (la palla non c’è, ma il suono è vero, ti rimbomba dentro), le barche devono attraversare il bellissimo, ma stretto porto storico di Malta – sono i luoghi del cruento assedio del 1565 – navigando in mezzo al gran numero di concorrenti tra rupi rocciose, moli, banchine e la diga foranea, prima di uscire dal porto. Poi, doppiata una boa, ci si dirigerà finalmente verso il mare aperto.

All’approccio alla boa, il vento è piuttosto forte, ma molto ballerino. Abbiamo alcune barche davanti, molte altre si avvicinano velocemente da dietro. L’equipaggio inizia ad attivarsi, dobbiamo issare il gennaker subito dopo aver girato la boa. C’è confusione tutt’intorno, serve la massima concentrazione. Arriviamo paralleli a un’altra barca, simile alla nostra, si chiama Noisy Oyster. A bordo, un bailamme come da noi.

Io sono sottovento e un po’ più avanti a loro, avrei la precedenza, ma man mano che ci avviciniamo alla boa diveniamo sovrapposti, e la regola, si sa, prevede che io debba lasciare spazio affinché passino liberamente l’ostacolo. In breve: due barche di dodici metri, affiancate, una distanza laterale a occhio di meno di 2 metri l’una dall’altra, che si avvicinano rapidamente a una boa, dove devono effettuare una brusca virata di oltre 90 gradi, senza perdere velocità; qualsiasi errore potrebbe causare una catastrofica collisione.

A volte il cervello impiega qualche secondo per elaborare un input. In questa confusione di stimoli sensoriali, ci vuole un po’ prima che il mio cervello si renda conto di aver sentito una frase che, come comprendo all’improvviso, è rivolta a me. “I assume you are going to give me room at the mark”. La voce è quella di un’amabile conversazione, il tono è cordiale, quasi confidenziale; è un’affermazione di fatto, espressa con assoluta calma; nessuna enfasi, nessun dubbio che un collega marinaio farebbe la cosa giusta e corretta, lasciando che Noisy Oyster passi la boa senza ostacoli.

Passata la boa lo racconto all’equipaggio, con grande rispetto: niente urla, come purtroppo spesso accade in regata – solo una conferma, un cenno di consenso tra noi su quella che sarà la linea d’azione, giusta e sicura – un cenno che dimostra fiducia reciproca tra velisti. Faccio un gesto di assenso con la mano per dire “ok, certamente”. Loro passano la boa per primi; sbagliano l’issata (nessuno è perfetto nella vela), quindi li superiamo; andando avanti, vinceranno il primo posto nella nostra classe. È un bel ricordo, un distillato dell’essenza della marineria. Più tardi ricostruisco: al timone di Noisy Oyster c’è Nikki Henderson, che è una skipper oceanica, la persona più giovane ad aver mai guidato una regata intorno al mondo.

La risalita verso lo stretto è lunga e frustrante, tutta controvento. Procediamo lenti; anche un po’ arrabbiati. In un momento di euforia avevamo calcolato una forte corrente a nostro favore stretto (qui si trova l’unica corrente di marea così cospicua in acque italiane); nel nostro caso dovrebbero essere 2-3 nodi. Invece la corrente ritarda, inspiegabilmente resta contraria, procediamo quindi lentissimi, ci tocca fare il pelo alla costa; a un certo punto mettiamo il muso nel terminal dei traghetti-treno.

Passiamo lo stretto, e ci avviamo verso le isole Eolie, con venti leggeri, lentamente giriamo attorno a Stromboli, poi lasciamo indietro Salina, Filicudi, Alicudi. Il passo è lento, i cambi di vele frequenti per non farci sfuggire qualche refolo; momenti di frustrazione per il rivale del momento, Mr J, appena dietro a noi da ore che, poco più a nord, allunga il passo, non capiamo come.

Francesco Giordano al timone di Adrigole II alla Rolex Middle Sea Race

Alla terza notte, un momento di crisi: alle 4 di una notte buia (è una Middle tutta senza luna), davanti si intravede Ustica, il vento sale improvvisamente da 8 a 12 nodi, poi rapidamente tocca i 18, 20, 22. Siamo un po’ stanchi, la miccia è corta; riemergono ataviche divergenze. Scoppia la lite: Mauro, vice-skipper e deus ex machina della barca (navighiamo insieme solo da 15 anni) vuole prendere una mano di terzaroli, prima di cambiare il fiocco. Ma, no – obbietto – prima si cambia il J2 con uno più piccolo, poi, semmai, la mano.

Gli animi, si accendono, qualche frase da dimenticare… Il risultato lo si può ben immaginare: cambiamo il fiocco e diamo pure una mano. Con Nicoletta al timone, Anna – l’indomito prodiere – si getta (ben legata al jackstay) verso una prua, scossa dai violenti saliscendi di onde ormai ben formate. E così arriviamo ad attraversare il cancello delle Egadi, tra Marettimo e Favignana, una sorta di punto di mezzo virtuale della regata.

Captain Fiù, il nostro sapiente tattico – che è stato adrigolista già ben prima di divenire noto minista atlantico – sprizza ottimismo. I primi quattro del nostro gruppo sono davanti qualche miglio, ma sono lì, vediamo le luci di coronamento. E a Pantelleria si prevede un buco di vento, niente di meglio per ricompattare la flotta. In effetti il buco c’è tutto – penzoliamo fermi per 12 ore cercando ogni bavetta. Il ricompattamento pure c’è – ma non era quello che ci aspettavamo. A ricompattarsi con noi sono quelli dietro; quelli davanti se ne vanno.

Il tratto finale da Lampedusa a Malta lo facciamo in gloria; vento da dietro di 17-18 nodi, punte di venti, gennaker da tenere al limite della straorza per la massima velocità, voliamo sulle onde, inseguendo, con svariati sorpassi reciproci, il maltese Vivace dall’inconfondibile gennaker rosa. Pigi, di turno al timone, la prende sul personale; ci sfioriamo, tallonandoci a un paio di metri l’uno dall’altro, noi un po’ avanti, poi passano loro, poi noi infine prendiamo il largo. Stretta di mano all’arrivo: siete stati lo stimolo a correre di più, ci diranno con signorilità, tagliando il traguardo un minuto indietro (salgono sul podio nella categoria inferiore alla nostra).

Passato il canale di Comino, finalmente percorriamo la costa di Malta – sono le ultime miglia; ancora un giro di boa, intorno alla Fairway del porto di Valletta, e poi l’ingresso nel fiordo di Marsamxett, sotto il forte sant’Elmo e l’imponente cupola della cattedrale, che costituisce la linea di arrivo. Ma no, non è ancora la fine, giriamo la boa, ammainiamo il gennaker, partiamo per il mezzo miglio finale di bolina, quando l’urlo di Mauro chiama una virata improvvisa. Una barca si muove verso di noi, potrebbe tagliarci la strada. Attenzione: si avvicina, si, ma, all’indietro, di poppa. Guardiamo meglio, l’albero è spezzato a metà, una barca appoggio ci segnala che il danno è solo materiale, a bordo l’equipaggio sta bene, possiamo proseguire. È saltata una landa durante il giro di boa e l’albero è crollato; è un x-yacht come noi, un brivido ci attraversa.

Arriviamo in 5 giorni, 3 ore e 4 minuti. Siamo piuttosto soddisfatti: Noisy Oyster, che vince la nostra classe, ci ha impiegato due ore mezzo di meno – un distacco piuttosto ridotto per una regata così lunga. Che dire ai lettori che hanno fatto, per esempio, una 151: la Middle, in fondo, è la stessa cosa, ma con un’evoluzione esponenziale. È 4 volte più lunga, ma sessantaquattro volte più faticosa.

Francesco Giordano

 

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