1997. La storia della febbre dei record della vela

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La febbre dei record

Tratto dal Giornale della Vela del 1997, Anno 23, n. 02, marzo, pag. 36-47.

La grande velista Paola Pozzolini racconta per il Giornale della Vela la storia dei record a vela. Dai bastimenti dell’800, ai Giri del Mondo, ai record più pazzi e avventurosi. A partire da quello di Chichester, che è il primo dell’era moderna, 226 giorni per girare il mondo.

 

E Oggi che persino i luoghi più remoti e selvaggi del globo sono diventati mete di viaggi turistici, si cerca nell’exploit la frontiera sempre più esigua dell’avventura. Nasce così la caccia al record sulla terra, sull’acqua, nell’aria, con qualsiasi energia e qualsiasi mezzo. Nel secolo scorso, i bastimenti a vela e le prime navi a vapore si sfidavano in rapidità: essere i più veloci era un vanto marinaro, ma anche e soprattutto un cospicuo vantaggio commerciale. Oggi, la velocità, diventata fine a se stessa, è un gioco sempre più affascinante. Ecco la storia e le storie dei record realizzati con … il mezzo più lento del mondo: la vela.

Record dell’Atlantico da Ovest verso Est

La storia inizia con Atlantic, un nome da leggenda. Pochi sanno che il tre alberi di 56 metri stabilisce il record dell’Atlantico durante una vera e propria regata transatlantica. È la terza delle molte sfide organizzate da una costa all’altra dell’oceano a partire dal 1860. Il re Guglielmo II di Prussia, nel 1905, mette in palio una coppa d’oro per chi coprirà nel tempo minore il percorso tra Sandy Hook, in America, e Lizard Point, nel vecchio continente. Il 17 maggio 1905 undici yacht di nazionalità inglese, tedesca e americana prendono il mare. Dieci giorni dopo, la nave tedesca, Pfeil, che staziona presso Lizard Point per prendere gli arrivi, vede profilarsi all’orizzonte la slanciata silhouette di Atlantic. La goletta di 56,4 metri disegnata da William Gardner di New York – dal cui studio uscirono anche i piani della Star, di proprietà di Wilson Marshall – portata dal timoniere di Coppa America Charlie Barr, taglia il traguardo 12 giorni, 4 ore e 1 minuto dopo il via, alla sbalorditiva media di 10,2 nodi, aggiudicandosi la coppa. Certo nessuno in quel momento immagina che Atlantic abbia stabilito un primato destinato a resistere per 75 anni, né che, per infrangerlo, si spenderanno intere fortune in decine e decine di infruttuosi tentativi. Charlie Barr e la sua goletta diventano un mito, ed è necessario un altro nome mitico, il fuoriclasse francese Eric Tabarly, per batterlo. Nel 1980, a Norfolk, in Virginia, si scopre inaspettatamente il relitto di Atlantic, affondato nei pressi di un molo. Sale la febbre del record: il quotidiano londinese Sunday Times e il giornale parigino Le Point mettono in palio 50.000 dollari per chi batterà il primato. Il trimarano di 17 metri Paul Ricard, un “mostro” di alluminio con due piccoli galleggianti laterali muniti di foil, parte da New York in sordina. Solo quando la vittoria sembra ormai a portata di mano, Tabarly da il via libera alle notizie, scatenando i media. Due giganti della storia della vela, il grande Eric contro Charlie Barr! II trimarano grigio arriva a Lizard Point in 10 giorni, 5 ore, e 14 minuti. Tabarly, acclamato da una folla di francesi entusiasta, vive i momenti culminanti della sua gloria. Il mito è infranto.

 

Il catamarano Jetv Services, condotto da Serge Madec, detiene da sette anni il record atlantico: 6 giorni, 13 ore e 3 minuti alla media di 18,6 nodi.

 

Fare meglio di Atlantic è possibile. L’Atlantico diventa una sorta di base misurata, su cui si scatenano i migliori navigatori oceanici: nel 1981 Mare Pajot, sul suo originale catamarano Elf Aquitaine di 20 metri, munito di traverse incrociate, albero alare e un “balestron”, cioè una sorta di boma prodiero per il fiocco (9 giorni, 10 ore e 6 minuti), nel 1984 Patrick Morvan, che sul cat Jet Services di 18,20 metri (8 giorni, 16 ore e 33 minuti): nel 1986 Loie Caradec, sul maxi catamarano Royale II, di 26 metri (7 giorni, 21 ore e 5 minuti). Nel 1988, la taglia massima dei multiscafi oceanici viene portata anche in Francia a 18 metri. Philippe Poupon, che ha già stabilito il primato della traversata dell’Atlantico Est-Ovest nella Ostar di qualche mese prima, decide di sferrare il suo tentativo con un nuovo trimarano, della generazione dei “piccoli”. La consueta, ferrea scientificità caratterizza il tentativo di Fleury Michon IX, perfettamente preparato e pronto, che attende per giorni il via dal “routeur’” personaggio determinante nella vela di quegli anni finché il regolamento non lo proibisce. Fleury Michon IX batte così il suo predecessore. pur essendo più corto di ben otto metri e porta il record a 7 giorni, 12 ore e 50 minuti. Ma un record è fatto per essere battuto e infatti Serge Madec, sul catamarano Jet Services V di 22.5 metri, stabilisce il nuovo primato: 7 giorni, 6 ore e 30 minuti. La media è di 16.4 nodi. Il miraggio, ormai, è scendere sotto la settimana. E ancora una volta Serge Madec a riuscirci, con la stessa barca, nel giugno del 1990: 6 giorni, 13 ore e 3 minuti. Quasi la metà del tempo impiegato da Atlantic 85 anni prima! I record sembrano diventare l’ultima avventura possibile e si escogitano nuove formule. È Bruno Peyron, nel 1987, nel pieno della corsa contro il tempo nell’Atlantico in equipaggio, a riprendere la sfida cara ai pionieri: chi coprirà nel tempo minore il percorso New York-Lizard Point… in solitario? Partono in contemporanea due fratelli, Bruno e Loick Peyron, ciascuno sulla propria barca, uno contro l’altro, entrambi contro Charlie Barr. Bruno batte tutti, portando a termine la traversata dell’Atlantico in 11 giorni e 11 ore. Tre anni più tardi, Florence Arthaud sul trimarano Pierre ler, con cui vincerà la Rotta del Rum, uno dei migliori progetti del tandem Van Peteghem-Prevost, compie lo stesso percorso in 9 giorni e 21 ore: il nuovo primato. Nel 1992 Peyron ritenta, su un maxi cat chiamato Pars de la Loire-Commodore, ed è di nuovo record: 9 giorni, 19 ore e 22 minuti.

 

Il trimarano Primagaz di Laurent Bourgnon.

 

Nel 1994, Laurent Bourgnon, su Primagaz, 18 metri, progetto Van Peteghem-Prevost, ancora oggi uno dei “tri” più competitivi, con 7 giorni, 2 ore e 34 minuti di navigazione, batte il record e si aggiudica il secondo posto nella classifica assoluta del primato atlantico a vela. Né mancano, nell’era dei record, coloro che giudicano impari la sfida tra Atlantic, massiccia goletta ottocentesca, e i multiscafi, mezzi superleggeri frutto delle più aggiornate tecnologie. E si rimettono in gara contro Charlie Barr su moderni monoscafi: su tutti, nel luglio 1988, riesce il miliardario francese Bernard Tapie su Phocèa, ex Club Med di Alain Colas, che, riesce a portare il record dei monoscafi a 8 giorni, 3 ore e 29 minuti. La storia continua: per il ’97, è in calendario la Atlantic Challenge Cup, che si propone come “seconda edizione” della storica regata di Atlantic

La rotta al contrario

L’ultima sfida è l’Atlantico “a rovescio”. Da Est a Ovest. Il percorso è quello della Transat inglese in solitario: il record cade man mano che i tempi della Ostar migliorano. Da Chichester, 40 giorni da Plymouth a New York nel 1960, all’eccezionale tempo di Phillippe Poupon, 10 giorni, 9 ore e 15 minuti da Plymouth a Newport nel 1988. Già, perché Loick Peyron, pur avendo compiuto il più grande exploit della storia della Ostar, vincerla per due volte di seguito, non è riuscito a migliorarne il primato.

Il globo in solitario

Già nel secolo scorso, non era raro vedere grandi bastimenti a vela entrare nel canale delle Manica ingaggiati in duelli all’ultimo sangue, nati dalla scommessa, lanciata magari mesi prima su chi avrebbe compiuto più velocemente il Giro del Mondo. È sulla loro rotta, a Sud dei “capi”, che si cimentarono, in solitario, i pionieri. Il primo record è quello di Francis Chichester, che nel 1966-67 compie il giro del mondo in 226 giorni, fermandosi una sola volta a Sydney, riaprendo le rotte “impossibili”. Ma se il suo Gypsy Moth IV è un bel ketch in legno lamellare di 16,20 metri dalle linee eleganti e l’attrezzatura impeccabile, il Suhaili con cui nel 1968 Robin Knox Johnston affronta la prima regata in solitario intorno al mondo senza scalo, il Golden Globe, è un ketch estremamente rustico, robusto, costruito in teak indiano, irto di strutture metalliche sul quale, in verità, nessuno avrebbe scommesso. Invece è lui a vincere il Golden Globe, dopo la rinuncia di Bernard Moitessier, che, giunto in sudatlantico, preferisce continuare la “lunga rotta” verso l’Indiano. Knox Johnston impiega 313 giorni, un’ora e 5′ per fare il giro del mondo senza scalo. Chay Blyth, nel 1971, alza la posta in gioco. Dopo aver attraversato l’Atlantico a remi insieme a John Ridgway, in un’odissea di coraggio e resistenza durata 92 giorni, forse geloso della fama acquistata da Robin Knox Johnston, decide di tentare un’impresa folle: il giro del mondo, in solitario e senza scalo, da Est verso Ovest, contro i venti dominanti. Occorrono mesi e mesi di lavoro stressante per arrivare al varo della barca, British Steel, un ketch di 17,75 metri, 18 tonnellate di dislocamento, una vera locomotiva del mare, e per i preparativi, duranti i quali sia Chay che sua moglie Maureen perdono il lavoro e sono costretti a vendere la casa per assicurare di che vivere a madre e figlia mentre Chay è per mare. Partito il 18 ottobre 1970, Blyth resiste con ostinazione alle tempeste e ai venti scatenati, ai frangenti enormi che provocano su British Steel avarie di ogni tipo e arriva a Hamble, porto di partenza, il 6 agosto 1971, dopo 292 giorni di mare. Un’impresa eccezionale, recentemente ripetuta dall’inglese Mike Golding, che, nel 1993, su un monoscafo di 60 piedi ha portato il tempo della circumnavigazione del globo controcorrente a 217 giorni, 16 ore e 32 minuti. Nel 1973, Alain Colas, dopo aver vinto la Ostar con Manureva, ex Pen Duick IV, il trimarano già appartenuto a Tabarly, si slancia in un cimento a quel tempo ritenuto impossibile: la circumnavigazione del globo su un multiscafo. Il suo obiettivo è battere il record di Chichester e anche quello dei clipper, Patriarch e Cutty Sark, dimostrando che, da solo, sul suo piccolo trimarano, sarebbe stato più veloce dei grandi velieri portati da equipaggi numerosi. La sua impresa riesce solo in parte. Con 168 giorni di navigazione e uno scalo, i grandi clipper restano imbattuti, Chichester è “sconfitto” per 57 giorni, e, comunque, Colas è il primo uomo della storia ad aver fatto il giro del mondo da solo su un multiscafo.

 

Il monoscafo oceanico Crédit Agricol di Philippe Jeantot.

 

Passano dieci anni, durante i quali nasce e giunge a maturità la Whitbread Round the World Race. Il tarlo del record in solitario sembra sopito. Riemerge nel 1982, ma in forma diversa. Con il Boc Challenge, il record non è più una sfida lanciata da singoli audaci navigatori, ma il regolamento di una regata all’epoca giudicata pazzesca, che prevede il giro del mondo da Newport a Newport, in quattro tappe, in solitario. Philippe Jeantot, sconosciuto sub professionista, vince con regolarità ogni tappa con un 17 metri, Crédit Agricole, dalle caratteristiche rivoluzionarie, e batte Colas di dieci giorni, portando il record a 159 giorni, 2 ore e 26 minuti. Quattro anni più tardi, nel 1986/87, è di nuovo Jeantot a vincere la seconda edizione del Boc Challenge e a battere se stesso, portando il record a 134 giorni di navigazione. Intanto, nel 1987, un ragazzo di 28 anni, Philippe Monnet, attacca il record di Colas sul trimarano Kriter Brut e Brut, 22.5 metri, e circumnaviga il globo da Brest a Brest in 129 giorni, 19 ore 17, battendo di 40 giorni il primato del suo predecessore. Nello stesso anno, l’australiano John Sanders parte da Fremantle su uno sloop di 14 metri, Parry Endeavour, e totalizza addirittura tre giri del mondo, in solitario, non stop e senza scalo… Nel 1988 Olivier de Kersauson sul trimarano Un autre regard, sfida Philippe Monnet sul giro del mondo in solitario fuori regata, e migliora il primato, portandolo a 125 giorni, 19 ore e 32 minuti. Ma è subito battuto da Titouan Lamazou, durante la nuova sfida, la più difficile, il Globe Challenge, la regata intorno al mondo in solitario, senza scalo. Il record viene abbassato a soli 109 giorni, otto ore e quarantotto minuti.

Il giro del mondo in 80 giorni

Quando le “ultimate adventures”, il Boc Challenge, il Globe Challenge diventano solo delle regate, la vela avverte il bisogno di nuovi obiettivi. Nasce così l’idea, pazza quanto divertente, di una corsa contro… Phileas Fogg, l’imperturbabile gentleman inglese protagonista del romanzo di Jules Verne, “Il Giro del Mondo in 80 giorni”. Non più in solitario, ma con una barca superveloce portata da un equipaggio. A lanciarla è la navigatrice francese Florence Arthaud. A tentarci sono in molti, ma alla fine, nella primavera del 1993, sono tre le barche che si lanciano nell’impresa, praticamente in contemporanea: Charal di Olivier de Kersauson, Commodore Explorer di Bruno Peyron, ed Enza di Peter Blake. Charal parte da Brest il 25 gennaio 1993. L’ex Poulain è stato modificato in fretta e furia: la lunghezza degli scafi viene portata a 27 metri e l’albero alare a 29.80 metri. Prima dello start ha navigato solo due volte, con al timone Raul Gardini, proprietario di Charal. Le prestazioni del trimarano sono impressionanti, secondo le dichiarazioni del recordman dell’equipaggio, Philippe Monnet. Ma il sogno di Kersauson si infrange il 16 febbraio durante una violenta depressione. Onde alte otto metri, quaranta nodi di vento: improvvisamente, la prua dello scafetto di dritta si spezza, e viene strappata fino all’altezza del braccio di collegamento. La collisione contro un growler, un oggetto galleggiante, un fenomeno di vibrazione, un cedimento strutturale? Charal, a 1.100 miglia a sud di Città del Capo, ripara in Sudafrica. Enza prende il via il 31 gennaio. L’ex Tag-Heuer di Mike Birch è stato modificato sotto la direzione del suo architetto, Nigel Irens. I due scafi del cat sono stati portati a quasi 26 metri e, con un albero allungato a 31 metri, fila come un aereo. I due skipper, uomini che hanno già scritto pagine brillanti nella storia del giro del mondo, Peter Blake e Robin Knox Johnston, annunciano giornate da 474 miglia… Ma il 27 febbraio, un colpo brutale nel nero della notte: una paratia è danneggiata, la deriva di sinistra spezzata, quella di destra in cattive condizioni; c’è una via d’acqua. Enza, probabilmente, ha urtato a tutta velocità contro un container galleggiante a pelo d’acqua. Anche a Blake non resta che il ritiro. Il primo a conquistare il record è perciò Bruno Peyron. Il suo mezzo è Commodore Explorer. il Jet Services V progettato da Gilles Ollier, con il quale Serge Madec ha stabilito l’ultimo record dell’Atlantico. La lunghezza del cat è stata portata a 25,66 metri, l’albero a 31 metri. A bordo, i componenti del Dream Team, già protagonisti di altri record con la stessa barca, vestiti come cosmonauti con la tuta di sopravvivenza, spingono il catamarano a velocità folli. Man mano che Commodore avanza sulla sua rotta, i record cadono uno a uno: La Manica-Equatore, La Manica-Capo di Buona Speranza… in tutto saranno 19 i primati conquistati dall’équipe francese. Neanche le piccole avarie dell’attrezzatura e della struttura riescono a fermare la loro corsa: dopo 27.372 miglia, Commodore Explorer taglia la linea del traguardo nella notte del 20 aprile tra scoppi di fuochi d’artificio.

 

Ecureuil d’Aquitaine II di Titouan Lamazou, ha compiuto il giro del mondo in 109 giorni.

 

La magia del record si ripete: con 79 giorni, 6 ore, 15 minuti e 56 secondi, una media di 345 miglia al giorno, cioè di 14.39 nodi, Peyron e i suoi uomini battono Fogg di 6 ore, 44 minuti e 4 secondi. Ma ci sono tre uomini ai quali la sfida persa ha lasciato l’amaro in bocca. E sono decisi a ritentare. Un anno più tardi, due multiscafi partono contemporaneamente da Brest per migliorare il record di Peyron. Sono il trimarano francese Lyonnaise des Eaux, ex Charal, portato da Olivier de Kersauson, e il cat neozelandese Enza, di Peter Blake e Robin Knox Johnston. La lotta è senza storia: già al primo passaggio dell’equatore, una settimana dopo il via, Enza ha superato Lyonnaise des Eaux. Batte il record, portandolo a 74 giorni, 22 ore e 17 minuti A Olivier de Kersauson e ai suoi rimane la soddisfazione di aver comunque migliorato il primato di Peyron, con 77 giorni, 5 ore e 3 minuti, mentre Peter Blake, anni più tardi, dichiarerà che su Enza ha vissuto i momenti più emozionanti della sua lunghissima carriera di navigatore.

Aspettando il 2000

I navigatori oceanici ora aspettano il 2000 e l’ultima sfida: The Race. La regata immaginata da Bruno Peyron per celebrare l’avvento del secondo millennio si configurerà come il record tra i record. Le barche partecipanti saranno selezionate non in base a parametri progettuali o costruttivi, non in base al numero degli scafi o alla lunghezza, ma solo per la loro velocità. Banco di prova per essere ammessi tra i concorrenti, il record dell’Atlantico. E bisognerà entrare nei primi dieci. Una regata velocissima, quindi su una rotta inedita, il giro del Mondo con partenza dal Sud Europa, probabilmente dal Mediterraneo. Senza scalo. Data di partenza, il fatidico 2001… sarà veramente “The Race!”, con in più uno sponsor d’eccezione: Euro Disney.

 

Il catamarano Explorer di Bruno Peyron.

I più veloci nelle 24 ore

Ancora una volta, si torna ai clipper. I capitani del secolo scorso ricorrevano al “24 hours run” per pubblicizzare le prestazioni delle loro navi e aggiudicarsi le commesse più favorevoli. A quei tempi, registrare con esattezza quante miglia avesse percorso una nave era piuttosto aleatorio, perché gli strumenti a disposizione rendevano alquanto approssimativi sia il punto nave che il calcolo della distanza realmente percorsa. La prima nave che annuncio di aver stabilito un primato di velocità sulle 24 ore fu Champion of the Seas, un 67 metri a vele quadre. Il suo capitano dichiarò 467 miglia in 24 ore, alla velocità media di 19,5 nodi, durante la navigazione tra Liverpool in Inghilterra e Melbourne, Australia, nell’oceano Pacifico meridionale. Ed era un gran bugiardo, secondo gli storici, perché per il resto del viaggio la sua media fu di 199 miglia al giorno, ovvero solo 8 nodi! Il più credibile dei vari primati reclamati dalle navi a vela è quello del clipper americano di 68 metri Flying Could, sulla rotta tra New York e San Francisco via Capo Horn, alla metà del secolo scorso. Il 58esimo giorno di navigazione, mentre risaliva la costa americana dopo il passaggio di Capo Horn, percorse 374 miglia in 24 ore, 19 minuti e 4 secondi con una velocità media di ben 15,4 nodi. Il record viene ritenuto veritiero, perché ampiamente documentato dai calcoli eseguiti con grande cura dalla moglie del capitano Josiah Cressy, il quale si era addirittura procurato tre cronometri per registrare i tempi. Deve passare più di un secolo perché una moderna imbarcazione si confronti con i clipper sulla velocità nelle 24 ore. Ma è tutto cambiato. I sistemi di misurazione, primo fra tutti quello satellitare Argos, trasmettendo automaticamente a terra la posizione della barca, consentono una registrazione molto precisa del punto nave e del log effettivo. Le barche utilizzano tecnologie d’avanguardia, lontane anni luce dal fasciame di legno dei clipper. Mentre le navi a vela esprimevano le massime velocità in poppa, le barche moderne danno il meglio di sé col vento al traverso. Infine, mentre le navi a vela navigavano sempre a pieno carico, con una quantità di merci che arrivava a raddoppiare il loro dislocamento, le barche contemporanee, costruite con materiali superleggeri, non trasportano altro che il minimo indispensabile per la navigazione e l’equipaggio. Naturalmente, è un multiscafo il primo a stabilire il nuovo record: nel 1984, Mike Birch batte Josiah Cressy su Formule TAG, il maxi cat di 26 metri, percorrendo 512 miglia in 24 ore, con la media di 21,35 nodi. Quattro anni dopo è Philippe Poupon il più veloce. Durante il tentativo di record dell’Atlantico, su Fleury Michon VIII, Poupon e i suoi, tra il 16 e il 17 giugno, registrano 517 miglia nelle 24 ore, con una velocità media di 21,5 nodi. Fleury Michon, racconteranno al loro arrivo, surfava sulle onde tra 25 e 30 nodi di velocità! Ma il record, attualmente, è detenuto dal francese Laurent Bourgnon, che ha compiuto un incredibile exploit con un trimarano di soli 18 metri, Primagaz in Nordatlantico. Tra il 28 e il 29 giugno del 1994, durante il record dell’Atlantico percorre in 24 ore ben 540 miglia, alla velocità sbalorditiva di 22,5 nodi. Un record assoluto, perché il monoscafo più veloce registrato dalla storia dei record, il WOR 60 Intrum lustitia, al comando dell’inglese Lawrie Smith, durante l’ultima Whitbread Round the World Race ha percorso negli oceani del sud 428 miglia nelle 24 ore alla media di 17.84 nodi.

 

il WOR 60 Intrum lustitia, al comando dell’inglese Lawrie Smith, durante l’ultima Whitbread Round the World Race ha percorso negli oceani del sud 428 miglia nelle 24 ore alla media di 17.84 nodi.

 

I record di velocità su base misurata

Le regole per accedere al record di velocità su base misurata di 500 metri sono abbastanza semplici. La barca deve avere come unico mezzo di propulsione il vento; deve galleggiare sull’acqua, non sul ghiaccio; deve trasportare almeno una persona; trovarsi già in acqua prima dello start; partire da ferma. Il margine per stabilire un nuovo record, il due per cento. Queste le condizioni fondamentali stabilite dall’ISAF per la registrazione di un record di velocità su base misurata. Una libertà che ha lasciato spazio alle più strane e fantasiose soluzioni progettuali da parte degli inventori delle “barche volanti”. La ricerca del record a vela è una disciplina giovane; ha circa diciassette anni. Era infatti il 1969 quando sir Peter Scott, presidente dell’allora IYRU, e Bernard Hayman, direttore della rivista inglese Yachting World, iniziarono un’animata discussione sui record di velocità sull’acqua stabiliti dal defender della piccola Coppa America, o da Scott stesso, anni prima, ma mai creduti o accettati del tutto per i sistemi di cronometraggio utilizzati. La discussione si concluse con la decisione da parte del giornale di sponsorizzare delle prove di velocità, mentre l’IYRU si sarebbe fatto carico di organizzarle e regolamentarle. Nacque così la prima prova, nel 1972, a Portland Harbour, nel sud dell’Inghilterra, località scelta per l’ampiezza di specchi d’acqua protetti, nei quali era possibile lanciare la barca per mezzo chilometro, indipendentemente dalla direzione del vento. Il primo posto nell’albo d’oro va a Crossbow, uno strano proa asimmetrico, che poteva navigare solo su un bordo e arrivava sulla linea di partenza a remi, che raggiunge 26,30 nodi, battendo il foiler Icarus (21,5 nodi), il catamarano Tornado (19,5 nodi), il Trifle, un pesante trimarano Offshore (16,7 nodi) e Strand Glass, progettato dal pioniere degli idrofoil, Christopher Hook, equipaggiato con foil orientabili. Successivamente nascono nuove manifestazioni come Weymouth, in Inghilterra, e Brest, in Francia, che con Portland, restano a lungo le “classiche”. Nel frattempo I’IYRU definisce diverse classi da record. Ma per parecchi anni Crossbow resta imbattibile. Nel 1975 raggiunge 31,24 nodi. L’anno successivo, portato dallo stesso timoniere, Tim Colman, e progettato dallo stesso architetto, l’inglese Rod Macalpine Downie, compare a Portland Crossbow II, una stupefacente macchina da velocità di 18 metri, composta da due scafi gemelli asimmetrici, su ognuno dei quali svetta una sola, enorme vela, con un armo assolutamente inedito, che pone una delle due vele leggermente a prua dell’altra. La macchina, in tutta la sua vita, ha navigato solo tre ore, ma funziona: Crossbow II tocca i 36 nodi, record rimasto imbattuto fino al 1986. La fantasia si scatena. Qualche esempio? Jacobb’s Ladder è un catamarano che utilizza come vela… un aquilone. Nel 1981, la strana macchina “decolla”, con equipaggio e tutto. Nell’84, sotto l’aquilone non galleggia più un catamarano, ma una navicella montata su foil. Idea affascinante, ma, ahimé, non performante. Su Trecobat (1982) di una barca in senso tradizionale del termine non resta che la velatura e i tre punti di contatto con l’acqua di un marchingegno che sembra costruito con il meccano. Déferlante (1983) è un cat di 8 metri dotato di quattro alberi armati come un windsurf, ciascuno manovrato da un uomo di equipaggio. Gamapacemaker (1984) è un proa ad ala rigida, mentre Hydra (1984) è sempre un proa, ma con sei alberi curvi per un totale di quaranta metri quadri di vela su 11 metri e mezzo di barca. Se sono queste strane macchine, per la loro originalità e spesso la loro assurdità, a polarizzare l’attenzione, all’inizio degli anni ’80 appare chiaro che l’avvenire della velocità è nelle tavole a vela. Dapprima egemonizzano la classe dei 10 metri quadri, poi mirano al record assoluto. I surfisti sono i più numerosi, sono professionisti della vela, hanno alle spalle team organizzati; sostenuti dai produttori dei windsurf, in pieno boom, si avvalgono di ricerche condotte su scala industriale.

 

Yellow Pages Endeavour, il tripode detentore del record di velocità.

 

Nascono nuove basi: Port Saint Mouis, Sainte Marie de la Mer in Francia; Naxos in Grecia, Hwidesanda in Danimarca, Maui alle Hawai e Sotavento alle Canarie. È qui che il 21 luglio 1986, grazie anche a condizioni ottimali, il francese Pascal Maka, su una tavola Gaastra costruita appositamente, lunga 2,6 metri e larga 30 centimetri e di appena sei chilogrammi di peso; dopo una ventina di prove effettuate in due giorni strappa il record a Crossbow, raggiungendo i 38.86 nodi di velocità. Ora, il goal è “sfondare” i 40 nodi. La velocissima evoluzione tecnologica delle tavole centra l’obiettivo. Solo due anni dopo, a Sainte Marie de la Mer, Erik Beale supera i 40 nodi di 48 centesimi. Nel 1990 Pascal Maka, lo surclassa con 42,91! Sembra una velocità imbattibile, invece Thierry Bielak arriva a 43,06, successivamente a 44,66 e infine a 45.32, pari a quasi 90 km orari! Anche nella storia dei record, il fuoriclasse, capace di battere persino le tavole, arriva dall’emisfero Sud. L’australiano Simon Mckeon, già protagonista nella Little America’s Cup, nell’ottobre del 1993, sulla base di Sandy Point, tocca l’incredibile velocità di 46,52 nodi. Il suo rivoluzionario trimarano, Yellow Pages Endeavour, è composto da tre pattini, simili a quelli montati sugli aerei per atterrare sulla neve, collegati tra loro da un’esile struttura metallica, sovra stati da una sorta di ala rigida inclinata… è ancora una barca a vela???

di Paola Pozzolini


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1 commento su “1997. La storia della febbre dei record della vela”

  1. Bellissimo articolo. Il Giornale della Vela sono stato abbonato per quasi tutta la mia carriera velica, lo considero il migliore giornale del nostro meraviglioso sport che è la vela.

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