Una vita per la vela. Antonio Solero ha vissuto più in mare che a terra
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Passati gli 80 anni Antonio Solero ricorda alcune delle sue esperienze più significative di marinaio, velista, solitario. E fornisce utilissimi consigli frutto di esperienze infinite che finite ancora non sono.
Antonio Solero – La mia vita da velista
Mi chiamo Antonio Solero. Quest’anno ho festeggiato il mio 81° compleanno con dell’ottimo prosecco e la torta con una candelina. Che si può fare arrivati alla mia età oltre ad accompagnare i nipotini a scuola? Se si è sani, fatte le debite proporzioni, quanto si faceva prima.
Si possono anche ricordare le esperienze passate e cercare di capire le scelte fatte sia in chiave tecnica che psicologica. Spesso infatti le nostre scelte sono dovute più allo stato d’animo del momento che alla razionalità delle stesse. Ricordi, ecco quello che affiora.

Da solo con un sei metri per 78 giorni
Come nella mia prima doppia traversata da Imperia al Venezuela e ritorno quando sono rimasto ininterrottamente in mare da solo 34 giorni all’andata e 44 al rientro senza contatti con la terraferma. Tempi molto lunghi dovuti alla lentezza della barca di soli 6 metri. Nonostante l’impegno delle due traversate, specie del ritorno avvenuto nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, non ho mai sentito il mare come un avversario contro cui lottare ma una delle tante facce della natura con la quale confrontarmi. Ricordo i dubbi sulle scelte da fare ma ricordo anche di aver sempre cercato di mantenermi lucido e razionale. Le esperienze vissute in montagna o sott’acqua mi avevano temprato.

Barca, sott’acqua montagna uniti dal contatto con la natura
Tra mare e montagna ci sono differenze tecniche estreme ma il metodo necessario per gestirle è lo stesso. In parete le difficoltà da superare le incontri da inizio a fine scalata ma ogni metro di salita deve essere valutato e risolto con la giusta tecnica. L’errore non è tollerato, sbagli appiglio e sei morto, non c’è prova d’appello. Lo stesso avviene sott’acqua, sei in grotta, l’erogatore si guasta, ti rimangono solo uno o due minuti per riemergere. Si dice che il mare non perdona, è una affermazione senza senso, il mare non ti è né amico né nemico, non ti aggredisce. Le onde sono create dalla situazione meteorologica non da un dio nemico.

Spetta a noi il coraggio della scelta.
Come in montagna così al mare ci vuole preparazione e sangue freddo. Non basta leggere un manuale per acquisire le necessarie abilità, ci vuole tempo, pratica, dedizione e sintonia con l’ambiente. Quando arrampicavo mi sentivo in armonia con la montagna anche nei momenti più difficili e da navigatore sto vivendo le stesse emozioni.

Lezione sull’ancora galleggiante. Serve?
Non basterebbe un libro per analizzare tutte le situazioni di possibile pericolo.
Conosco skipper professionisti che in oceano, in situazioni di tempo molto duro con il mare libero a 360°, hanno affrontato il maltempo cercando, come qualcuno suggerisce ancora adesso, di rallentare la barca calando in acqua un’ancora galleggiante o, in alternativa, una vela legata a poppa per frenare la velocità e controllare meglio la barca. Grave errore, questa tecnica rallenta sì la barca ma la rende incontrollabile con il timone, la espone ai frangenti che, essendo quasi ferma, possono arrecare gravi danni alla sua struttura. La barca di cui parlo affonderà, l’equipaggio riuscirà a salvarsi con l’autogonfiabile. Questa tecnica si può o si deve utilizzare solo in casi estremi e se la rotta con il vento in poppa ti spinge a riva. Fortunatamente condizioni di vento e di mare così dure sono rare ma non impossibili.

Chiuso in cabina a cappa secca
Ricordo altri due episodi drammatici. Nell’autunno del 1976 avevo da poco faticosamente superato lo stretto di Gibilterra, a causa di una corrente contraria che può raggiungere anche i 5 nodi.

Non avendo motore solo al terzo tentativo riesco a raggiungere l’Atlantico. Come mia consuetudine festeggio le difficoltà superate stappando una bottiglia di prosecco per un brindisi solitario. Il giorno successivo, dopo un pranzo a base di tonno appena pescato, il tempo cambia. Il vento rinforza e arriva il mal di mare. Rendo al mare quanto al mare avevo preso. Non avendo anemometro non posso dire con certezza a quanto soffiasse sicuramente a più di 40 nodi. Mi metto alla cappa secca, blocco la barra del timone e mi chiudo in cabina abbracciato al bugliolo. Passato il maltempo riprendo a veleggiare in un mare attraversato da onde che non avevo mai visto prima, impressionanti e magnifiche.

La tragedia per una scelta errata
Nel frattempo, 100 miglia più a sud, si era consumata davanti a Casablanca una tragedia che un comportamento più ragionato e competente dello skipper avrebbe evitato. Un ketch tedesco con 5 persone di equipaggio era salpato con rotta verso le Canarie. L’arrivo del maltempo li coglie di notte. La situazione è impegnativa e la scelta fatta dal comandante drammatica. Invece che affrontare la tempesta in mare decide di rientrare in porto. Sbaglia l’ingresso, la costa è rocciosa e finiscono sugli scogli. Moriranno tutti. Al mio arrivo a Lanzarote vengo a conoscenza dell’accaduto e per la prima volta mi rendo conto che il mare non perdona se sbagli.

Nel 1979 ricordi della Mini Transat
Nel mese di settembre del 1979 mi trovavo in Inghilterra a Pensance in attesa della partenza della Mini Transat. La mia barca, il Blu Chiquita, si trovava in acqua nel porticciolo della città protetto da paratie mobili che vengono aperte o chiuse a causa dei forti dislivelli di marea. Non avendo molto da fare a bordo mi restava tempo per visitare la bellissima costa della Cornovaglia e guardare le barche concorrenti fraternizzando con gli avversari. Diventerò amico di Daniel Gilard, di Jean Luc Van Den Heede, conoscerò Loick Peyron allora ventenne e frequenterò gli altri in particolare Amy Boyer, coraggiosissima giovane americana.

In porto oltre alle nostre barche una di circa 10 metri era ormeggiata lungo il molo opposto al nostro. Era molto bella, in lamellare. Da come era attrezzata si capiva che si trattava di una imbarcazione veloce, da competizione. Era in pessime condizioni, aveva disalberato, un winch quasi staccato dalla tuga, danni alla coperta e allo scafo. Incuriosito chiedo informazioni. Aveva preso parte al drammatico Fastnet di quell’anno e l’equipaggio, viste le condizioni della barca, preso dal panico l’abbandona e sale sulla zattera di salvataggio. Non si salverà nessuno. Potrei raccontare altri episodi simili ma non è mia intenzione spaventare chi va per mare. Ci tengo a ricordare che la natura non è nemica ma va capita e rispettata.
Queste considerazioni si limitano a una veloce analisi sull’atteggiamento mentale da tenere quando si naviga.
Ma la vela ha condizionato la mia vita
L’esperienza che più di tutte ha condizionato la mia vita è stata la vela, quattordici traversate oceaniche. Tre in solitario su una barca di 6 metri senza motore nel ’76, partito da Imperia, raggiungo i Caraibi e il Venezuela per poi ritornare a Imperia nel febbraio del ’78.

Nel 1979 prendo parte alla seconda edizione della Mini Transat dall’Inghilterra ad Antigua.
Nel 1982 partecipo alla prima edizione della Transat des Alizées con equipaggio di ex azzurri di sci. Ci piazziamo ufficialmente secondi su circa ottanta partecipanti. Due anni dopo mi ripresento per vendicare la vittoria che ci aveva scippato un francese che a motore, sfruttando una settimana di bonaccia, aveva recuperato su noi 350 miglia. Arriveremo primi su duecento partenti, la seconda classificata arriverà un giorno e mezzo dopo noi.
L’anno successivo prendo parte alla Brooklin Cup, la Portofino New York, una regata con equipaggio misto: una donna e un uomo.
A causa della rottura di una paratia che mi obbligherà a una sosta forzata a Tolone, rottura subita quando eravamo in testa, ripartiamo ultimi. A New York arriveremo secondi, primi di classe.
Nel 1995 raggiungerò Quebec in Canada. Da allora solo charter in Mediterraneo con un’ultima traversata atlantica nel 2015. Il mio curriculum racconta quanta parte della vita abbia passato in mare o a stretto contatto con la natura.
Antonio Solero
Chi è Antonio Solero
Il Curriculum di Antonio Solero: 14 traversate atlantiche di cui tre in solitario tutte da skipper, primo italiano a partecipare alla Minitransat (1979), secondo classificato alla Transat des Alizee (1982), primo classificato alla Transat des Alizee (1984), secondo classificato alla Lui e Lei, Portofino/New York (Brookling cup, 1985). Venticinque anni di charter con barca propria navigando tra il Mediterraneo, i Caraibi ed il Nord America. Undici anni imbarcato come skipper su di un Franchini 63.
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5 commenti su “Una vita per la vela. Antonio Solero ha vissuto più in mare che a terra”
Ho lavorato per lui sulla sua LIFE , persona splendida che voleva formare velisti con “Università del Mare” nel golfo di Trieste . Tanti auguri Toni
Ciao Paolo, ho conosciuto Antonio nel 70, prima della sua traversata in solitario. Poi ci siamo frequentati per alcuni anni. Ora l’ho perso di vista e vorrei scrivergli o parlargli. Saresti così gentile da fornirmi un suo recapito?
Ti ringrazio
Aldo Sestieri (Al***********@******a1.it)
L’ho incontrato a Ustica la sera del 24 agosto del 1995. Io ero alla mia prima esperienza in mare aperto. Lui era amico di Flavio, un mio compagno di equipaggio. La sera, visto che stava arrivando brutto tempo da scirocco, Solero aveva mollato gli ormeggi e preso il mare, suggerendoci di fare altrettanto. Tardammo la partenza e subimmo diversi danni, ma imparammo la lezione. Da allora lo ricordo con rispetto. Un saluto.
Nell’estate del 1987 ero un membro dell’equipaggio del Life. Al tempo avevo 13 anni ed ero in vacanza con mio papà. Ho ricordi ancora vivissimi di quelle due settimane sul Life, che mi hanno ispirato a fare della vela una passione della vita. Partimmo da Otranto alla volta delle Ioniche. Ricordo come Antonio pescò una murena in apnea che cucinó poi per l’equipaggio.
Bello scoprire che il mio primo comandante aveva già un tale curriculum!
Conosco e mi piace definirmi amico oltre che collega di Antonio Solero , io non sono uomo di mare , ma di montagna , ma dove ci sono oggi le Dolomiti c’era una volta il fondo del gli oceani . E forse oserei dire che per noi dolomitici c’è un’attrazione fatale con l’infinito, sia che tu sia seduto in cima a una vetta, sia che tu sia seduto in coperta in barca .. Antonio a saputo farsi attrarre e vivere abbracciando l‘’essenza della vita, d’altronde è dall’acqua che nasce la vita e la vita nasce nell’acqua !