2005. Come cavarsela quando l’uragano ti insegue

IL REGALO PERFETTO!

Regala o regalati un abbonamento al Giornale della Vela cartaceo + digitale e a soli 69 euro l’anno hai la rivista a casa e in più la leggi su PC, smartphone e tablet. Con un mare di vantaggi.

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.


In quattro contro Alex

Tratto dal Giornale della Vela del 2005, Anno 31, n. 9, ottobre, pag  104-109.

La storia di una traversata oceanica fatta con la barca giusta ma nella stagione sbagliata, da Miami a Livorno. Una lezione di marineria, utile per tutti coloro che vanno a vela, per cavarsela quando ti trovi in una situazione “impossibile”, inseguiti da un uragano.

Uno Swan 55 “inseguito” da un uragano in Atlantico. È finita bene, grazie alla bravura di un giovane equipaggio e a un pizzico di fortuna. Ecco la storia di una traversata oceanica fatta con la barca giusta nella stagione sbagliata, quella degli uragani. L’autore viene contattato da un armatore italiano per trasferire Old Peasant, uno Swan 55. da Miami a Livorno. Il 23 luglio 2004 l’autore del pezzo con i suoi tre compagni d’avventura (Carla, Carlo e Beau) salpa dalla metropoli della Florida.

Per tutta la settimana precedente la partenza i cieli di Miami non avevano promesso niente di buono. Qualcosa nell’aria stava cambiando: correnti di aria calda e umida attraversavano sistematicamente la città per poi spostarsi verso il mare. D’altronde la stagione degli uragani era alle porte e noi dovevamo quindi affrettarci a partire. Memore d’insegnamenti di marinai più esperti di me, decido di salire verso Nord per cercare i margini delle basse pressioni e metterci quindi nella condizione di avere del vento sempre portante. La prima settimana troviamo venti deboli da Nord-Est e risaliamo di bolina stretta verso Nord con l’obiettivo di raggiungere il 1° parallelo, il tutto senza pilota automatico. È il primo di agosto: passiamo Cape Hatteras, un luogo funesto a detta degli appassionati americani per via del fatto che lì molte barche sono colate a picco. La fatalità è che proprio da qui che comincia “l’avventura” nell’avventura. I groppi sopra di noi s’intensificano di ora in ora: decidiamo di ridurre tela e prendiamo due mani alla randa, a prua teniamo yankee e trinca. Il cielo è strano, sembra carico d’energia. Le nubi cominciano a circolare in senso antiorario, s’incupiscono e si accendono di un rosso fiammeggiante ma non è né l’alba né il tramonto. L’aria rinfresca e la barca risponde bene. Procediamo per il resto della giornata in direzione Est. Durante la notte aumenta il vento: arrivano 25 nodi N-NW con andatura 10° sotto il traverso. Si vola e si alza anche un onda strana. Non quelle che solitamente incontri in oceano ma corta e discretamente alta, in più frange.

Il sole scompare

Navighiamo a 12 nodi con una barca che pesa 22 tonnellate. Sono felice perché forse abbiamo smesso di soffrire nelle piatte anticicloniche e ora è tutta vita. Balle: la prima regola in mare è non gioire mai troppo nel buono e in egual misura non abbattersi nel cattivo tempo. Alle 6.30 il sole non sorge o meglio le nubi non ne fanno passare neanche un raggio. Per sei giorni non lo vedremo mai. Quattro-cinque miglia avanti a noi osservo un sistema di cumulonembi e penso al solito temporale da bassa pressione: con la nostra randa terzarolata ci entriamo e all’improvviso il vento che avevamo per 120° gira a prua e ruota rapidissimo sulle altre mura. Così mi trovo con yankee e trinchetta a collo. Potete immaginarvi la randa. Sventiamo le vele di prua e tiro al centro la randa: mi metto in poppa, chiudo lo yankee, orzo e prendo un’altra mano. Nel frattempo il vento è salito a 40-45 nodi ma ho un equipaggio fantastico che in 20 minuti riesce ad assettare la barca. Comincia a piovere e il vento si stabilizza sui 40 nodi. Siamo di bolina larga e la barca sbanda sotto raffica. Ma tiene. Scendo sottocoperta e tristemente mi accorgo che i paglioli galleggiano: l’acqua entra dall’osteriggio di prua e da molti altri punti della coperta. Non accendo la pompa di sentina elettrica perché le batterie sono quasi a livello dell’acqua, comincio a sgottare con quella manuale. Così per 36 ore poi siliconiamo tuto il possibile. Di notte intuiamo che ci stiamo infilando in qualcosa di poco piacevole.

Una tromba d’aria fotografata durante la Volvo Ocean Race del 2001.

Uno scenario indescrivibile

A un certo punto un lampo illumina l’orizzonte per 10 miglia: lo scenario è indescrivibile, ricordo solo che mi sono sentito perso in un punto piccolissimo e che tre secondi dopo il lampo, irrompe un tuono cosi violento che fa oscillare l’albero. Il vento aumenta d’intensità fino a 30 nodi. Continua a girare come una trottola: dobbiamo seguirlo stando attenti a non sbagliare per non finire in una straorza. Il mare comincia a schiumare, i tuoni si susseguono e dopo mezzora di trottola ci si assesta al traverso. In un istante, come uno di quei ceffoni che non sai da dove arrivano ma li senti, ecco 60 nodi. Carla scarrella e lasca tutta la randa, che si va a schiantare sul sartiame: il mare è un immensa schiuma bianca. Lei mi guarda e chiede se ce la faccio al timone. lo rispondo che faccio quello che posso, per un attimo non sento più la ruota: è forse in quell’istante che il Gps (ma lo vedremo dopo) segna 32,3 nodi di speed max. Siamo completamente in balia, credo, di una tempesta tropicale. Carlo e Beau, che stavano dormendo, saltano fuori coperta in fretta e furia non possiamo togliere completamente la randa perché siamo di poppa e poi non mi sento di mandare nessuno all’albero: le raffiche a 65 nodi, piene di acqua, ti spaccano la faccia. Proseguiamo in questa allucinazione per 20 minuti, a un certo punto mi rendo conto che così tacendo ci stiamo spostando con il sistema e, per fortuna, volto la testa a Sud: per una frazione di secondo vedo una finestra di cielo azzurro. Prendo la decisione in accordo con i miei compagni e facciamo rotta Sud. L’Old Peasant sale e scende come la barca che da bambino vedevo al luna park, il vento molla un po’ si “stabilizza” sui 50 nodi. Avanziamo grazie alla fantastica barca che abbiamo, il sistema s’incattivisce ogni volta che ci troviamo li per uscirne. Altre 24 ore di questo delirio e poi siamo fuori: ci troviamo al 38° parallelo, rivedo il sole. Ed è bellissimo: mai amato cosi il sole, ci lecchiamo le ferite. Continuiamo a imbarcare molta acqua: ci sarà sempre a turno una persona che sgotterà con la pompa manuale, ma siamo fuori ed è stupendo.

Una foto satellitare dell’occhio del ciclone di Alex. Un uragano simile può generare venti superiori a 80 nodi.

Nell’occhio del ciclone

Non abbiamo il tempo di gioire troppo: una telefonata al nostro satellitare ci dice che abbiamo 48 ore di vantaggio su un uragano di nome Alex. Increduli ci guardiamo, non ci sono parole: solo il silenzio. Un silenzio che racchiude le paure dei piccoli umani di fronte all’inesorabile destino eppure dobbiamo cercare di sfuggire a una delle più terribili manifestazioni della natura. I meteorologi, che da quel momento ci seguiranno giornalmente, ci dicono che il NOAA, l’ente meteorologico americano, ha stimato in 45-50° la rotta di Alex e che al momento ha una velocità di 18 nodi, quindi noi decidiamo per la rotta Sud-Est. Nella sfortuna c’è una sola fortuna: ci sono i 35 nodi da Nord, un vento perfetto perché Old Peasant esprima al meglio le sue qualità. Metto tutta la velatura che possiamo e la barca comincia a volare a 16 nodi di velocità: in 24 ore percorriamo 300 miglia, mentre Alex, incontrando quel sistema da noi lasciato, accelera sino a 40 nodi ma all’interno ne stimeranno 120. Il mare s’ingrossa: ora sono proprio onde oceaniche: muri di 9-10 metri d’acqua ci sollevano la poppa e dobbiamo planare diagonalmente per non finire nel “cavo” che ci farebbe infilare pericolosamente la prua nell’onda precedente. Non bastasse. il motore ci abbandona. Niente più elettricità a bordo, navighiamo senza strumenti e teniamo la poca riserva elettrica per accendere il Gps una volta al giorno per fare il punto e consolarsi un po’. Per fortuna, abbiamo una lampada a olio che ci regala luce per 10 giorni, facciamo i soliti turni ma non si dorme mai.

Un ottimo equipaggio

Sentiamo che stiamo incrociando l’uragano perché le onde aumentano ancora e il vento si porta sui 45 nodi. Per le restanti 48 ore non mi son voltato più a guardare quei muri d’acqua, pensavo solo a far viaggiare la barca. Ma non ero solo: Beau, un ragazzino di 15 anni, ha preso consapevolezza a 360° della sua maturità: Carlo si è rivelato una grande spalla per me, sempre pronto con il suo colpo d’occhio rapido e preciso: Carla, con la sua grande esperienza, ha saputo infonderci la serenità di cui noi tutti avevamo bisogno. L’uragano finalmente ci incrocia a 380 miglia dal suo centro: di colpo sembra che tutto sia passato, proseguiamo verso le Azzorre senza poterci servire più del Gps, visto che ormai le batterie sono completamente morte. Ma la nostra fantastica bussola ci fa mancare di sole 30 miglia l’arcipelago…. Quando avvistiamo l’isola di Graziosa ci sentiamo, non so perché, quasi a casa, anche se in verità quella vera è a più di 1500 miglia. Alex ci ha risparmiati, probabilmente, ma siamo stati bravi anche noi.

di Matteo Gervasoni


Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Iscriviti alla nostra Newsletter

Ti facciamo un regalo

La vela, le sue storie, tutte le barche, gli accessori. Iscriviti ora alla nostra newsletter gratuita e ricevi ogni settimana le migliori news selezionate dalla redazione del Giornale della Vela. E in più ti regaliamo un mese di GdV in digitale su PC, Tablet, Smartphone. Inserisci la tua mail qui sotto, accetta la Privacy Policy e clicca sul bottone “iscrivimi”. Riceverai un codice per attivare gratuitamente il tuo mese di GdV!

Una volta cliccato sul tasto qui sotto controlla la tua casella mail

Privacy*


In evidenza

Può interessarti anche

1976. L’orca assassina affonda il Guia III di Giorgio Falck

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela:

2022. Rondetto. L’incredibile barchina che non vuole morire

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela:

2012. Salvati in Atlantico. Una storia esemplare

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela:

Torna in alto