2019. Come ho attraversato l’Atlantico da solo, senza niente

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Come ho attraversato l’Atlantico da solo, senza niente

Tratto dal Giornale della Vela del 2019, Anno 45, n. 03, aprile, pag. 72/79.

Dan Lenard, designer di superyacht, ha percorso in solitario 5.000 miglia, dalla Francia alla Florida, su un 10 metri “riciclato”: senza motore, elettronica, strumenti, bussola, pilota automatico. Cronaca di una navigazione a “naso”.

La barca utilizzata da Dan Lenard per la traversata, Scia, è un 33 piedi (10 metri) “Frankenstein”, assemblato nei cantieri Prelog da Dan con l’aiuto di amici artigiani.

Dan Lenard, designer di superyacht, ha percorso in solitario 5.000 miglia, dalla Spagna alla Florida, su un 10 metri “riciclato”: senza motore, elettronica, strumenti, bussola, pilota automatico. Cronaca di una navigazione “a naso”.

“Il bello della vela è che non è mai uguale: ogni giorno di navigazione è stato diverso. La vela è improvvisazione”. Mica male come ‘avventura improvvisata’, quella del designer velista Dan Lenard, 51 anni. Ha deciso di svestire i panni del progettista di megayacht (lo studio veneziano di cui è co-fondatore, Nuvolari Lenard, è uno dei più quotati al mondo) e lanciarsi in una traversata atlantica solitaria di 5.000 miglia (da Cadice, in Spagna, a Fort Lauderdale, in Florida, USA) a bordo di un dieci metri “Frankenstein” realizzato assemblando parti di barche diverse: ma non è finita, Lenard ce l’ha fatta senza avere a bordo motore, strumenti elettronici, pilota automatico e persino senza bussola e sestante (aveva solo un transponder con il quale chi lo seguiva da terra poteva visualizzare la sua posizione, ma lui non poteva usarlo per capire dove fosse): come vi spiegheremo in dettaglio nelle pagine che seguono, ha contato solo sulla propria vista, sul sole, le stelle e un fedele orologio. È salpato dalle coste spagnole il 20 gennaio scorso, dopo aver fatto i salti mortali per trasferire via terra Scia (questo il nome della barca) dal cantiere Prelog di Venezia a Cadice. L’idea era quella di arrivare a Miami in concomitanza con il Boat Show americano percorrendo la rotta del secondo viaggio di Cristoforo Colombo verso le Indie: un programma di massima, passibile di cambi perché, come ci ha detto Lenard, in mezzo al mare, senza aiuti esterni, senza previsioni meteo, devi improvvisare. Lenard è arrivato in Florida dopo 42 giorni di navigazione a una media – più che rispettabile – di 4,95 nodi e una piccola ‘pausa birra’ ad Antigua prima di destreggiarsi nel Mar dei Caraibi. Perché lo ha fatto? La motivazione ufficiale è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della navigazione a impatto zero: “Le barche a vela sono fatte per navigare a vela: sembra la scoperta dell’acqua calda ma non è così.”. Ma sentendo il suo racconto concitato al telefono, appena arrivato a Fort Lauderdale, noi ne abbiamo colto un’altra: semplicemente, Dan Lenard è un ‘”malato’ di vela. Una strana malattia che ti rende felice quando riesci a guadagnare mezzo nodo in bonaccia perché hai regolato bene il Code Zero o che ti pompa l’adrenalina a mille mentre stai surfando una gigantesca onda oceanica. Scopriamo chi è e come ce l’ha fatta a attraversare l’oceano “senza niente”.

Una foto aerea mostra Dan Lenard al timone di Scia, il 33 piedi (10 metri) con cui ha attraversato l’Atlantico in solitario, senza strumenti, da Cadice (Spagna) a Fort Lauderdale (Florida).

Chi è Dan Lenard

Designer per lavoro, marinaio per vocazione, Dan Lenard, 51 anni, è il co-fondatore assieme a Carlo Nuvolari di uno degli studi di progettazione di maggior successo. Dal 1992, Nuvolari-Lenard ha messo la propria firma su alcuni dei superyacht più iconici e acclamati. In 25 anni di attività Nuvolari-Lenard ha disegnato più di 350 barche, tra cui il ketch di 64 metri costruito da Perini Spirit of the C’s e l’impressionante 106 metri Black Pearl costruito da Oceanco. Dietro al suo look da “divo hollywoodiano” si cela un esperto velista: fin da ragazzino va in barca, ha mosso i primi passi su Laser e Flying Junior e a 19 anni ha progettato il suo primo 50 piedi a vela. Appena ha un minuto libero, si rifugia tra le isole dell’Adriatico in barca con la sua famiglia.

Dan in navigazione con Scia.

Scia, la barca dell’impresa

La barca utilizzata da Dan Lenard per la traversata, Scia, è un 33 piedi (10 metri) “Frankenstein”, assemblato nei cantieri Prelog da Dan con l’aiuto di amici artigiani. “La barca è unica e non replicabile”, ci ha spiegato, “semplicemente perché non è un progetto. Ma un patchwork di pezzi di imbarcazioni precedenti, la più ‘nuova’ ha otto anni. Lo scafo in carbonio deriva da un monotipo vecchio di dieci anni progetto dello sloveno Andrej Justin (il progettista degli RC44), la coperta è in larga parte frutto di mie modifiche, la tuga l’ho riprogettata io abbassandone il profilo: non mi interessava lo spazio sottocoperta perché, senza pilota automatico, non lo avrei mai vissuto se non per dormire. Abbiamo dovuto adattare anche la poppa. Le ‘ali’ laterali le ho aggiunte per evitare di imbarcare acqua in caso di onde al giardinetto (e hanno funzionato alla grande, devo brevettarle!) l’albero è di un Bavaria Match 35, il timone è di un’altra barca. Trattandosi di un albero più lungo dell’originale, ho dovuto spostare più a poppa la paratia interna dove è fissato l’attacco delle sartie”. Per creare la barca, sono stati usati 100 chili di resina per i vari accoppiamenti. “Poi con il nostro lavoro di designer abbiamo pensato a darle una forma esteticamente accettabile”. Conclude e scherza: “Ci è costata di meno di un Figaro!”.

Il 33 piedi Scia, visto di poppa.

Come è andata la traversata

Non utilizzando dei routier (esperti meteo) a sua disposizione, Dan ha dovuto affrontare più volte il vero nemico di chi naviga, la bonaccia. Ecco perché non è riuscito ad arrivare in tempo per il Miami Boat Show (14-18 febbraio: Lenard è arrivato a Fort Lauderdale il 3 marzo, 42 giorni dopo la partenza da Cadice): “L’unica ‘sfiga’ che ho avuto è stata il poco vento nella prima metà della navigazione. Sono rimasto a ciondolare otto giorni nella calma piatta. È stato un miracolo se in quel lungo lasso di tempo sono riuscito a macinare una cinquantina di miglia verso ovest, grazie a Code 0, Code 2 e Gennaker. Anche nelle giornate in cui soffiava un po’ di brezza, non l’ha mai fatto per più di 8-10 ore. Al tramonto, calava”. Poi, per fortuna, è arrivato l’Aliseo. Come si è comportata la barca? “In condizioni di mare poco mosso, è una bomba. In condizioni di vento leggero, dovendo affrontare le onde oceaniche, ampie e lunghe, soffriva un po’ la fase di risalita”. Un’ulteriore giornata Lenard l’ha persa quando ha avuto un’avaria al rollafiocco al largo delle Canarie: “Ho dovuto smontare il tamburo del rollafiocco e fissare lo strallo in prua prima di procedere alla riparazione”. Impegnative anche le ultime miglia si Caraibi: tra Portorico e la Repubblica Dominicana “mi sono trovato onda corta e vento in faccia: peggio che passare lo stretto di Messina con lo scirocco in prua”.

La vera impresa, ci ha svelato Dan, è stata quella di navigare senza pilota automatico.

Cosa ha imparato

Il senso della vela, quella pura. “Lascerò la barca ai Caraibi finché non riuscirò a trovare un cargo per riportarla in Mediterraneo a prezzi umani, viceversa potrei anche decidere di venderla” ci ha raccontato Dan dalla Florida. Ma che cosa ha imparato da questa avventura? Che “fare una traversata atlantica senza strumenti, se hai tanta esperienza alle spalle, è più facile di quanto ci si aspetti: un sacco di gente si è stupita e mi ha chiesto come ci sia riuscito, forse perché mi conosce più come designer che come velista. Il fatto è che mi sono sempre sentito in grado di farlo, tecnicamente sono preparato. Fidatevi di me, nasconde molte più insidie il nostro Mar Mediterraneo!”. Dan minimizza, ma la sua impresa va molto oltre. Ci ha restituito il senso della vela, quella pura. Un senso che ha colto bene Antonio Vettese: “Ci ha spiegato che il lusso delle passioni non è la passione per il lusso”.

di Eugenio Ruocco


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