2004. Il mondo della vela piange Giorgio Falck

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L’ingegnere che amava la vela

Tratto dal Giornale della Vela del 2004, Anno 30, n. 05, giugno pag. 18/20/22.

A soli 66 anni se ne va nel paradiso dei velisti Giorgio Falck a cui l’Italia della vela deve moltissimo. Grazie a lui abbiamo conosciuto la vela oceanica, imprese impossibili, angoli di mare sconosciuti. Un vero uomo di mare che viene ricordato dai suoi grandi amici, a partire dal mitico Pierre Sicouri.

Vogliamo ricordarlo così, felice, al timone di una delle sue imbarcazioni.

Lo scorso mese, all’età di 66 anni, è scomparso Giorgio Falck. Raccontare chi fosse Falck velista è un’impresa non facile. La vela italiana degli anni Ottanta e Novanta è strettamente legata a lui, alle sue barche e alle sue imprese. La sua passione, la sua voglia di vincere e di trovare e sperimentare nuove soluzioni tecniche era enorme. Nell’ultimo periodo della sua vita, alcune vicende personali lo avevano allontanato dalla grande vela, ma lui a Portofino era ripartito da zero e non si perdeva una regata con il suo dinghy. Abbiamo chiesto a tre suoi amici, con cui ha diviso la passione per la vela, di tracciarci un loro singolare e personale profilo. Un modo diverso per ricordarlo attraverso la parola di un amico ingegnere, di un amico velista e di un amico giornalista.

Ricordi d’infanzia

Giorgio e io ci siamo conosciuti sul lago di Como quando eravamo poco più che ventenni, dunque… molto tempo fa. lo, nativo di Gravedona, ero in “ritiro” per preparare degli esami e lui, appena laureato, aveva il suo primo incarico nello stabilimento di Dongo. Ci univano tre passioni: la vela, l’ingegneria e… le ragazze. Cominciammo subito a simpatizzare, a uscire insieme in vela e a corteggiare la stessa turista di Francoforte. Non ci interessava poi così tanto chi avesse più successo in amore, quanto chi avesse ragione in certe dispute d’ingegneria. L’abitudine alle discussioni tecniche non ci avrebbe abbandonato mai e a suo tempo diede buoni frutti. Era l’inizio degli anni Settanta, anni che segnarono una svolta notevole nel campo della vela. Fino a quel momento non esistevano sponsor miliardari, niente team di sperimentatori, laboratori all’avanguardia. Si sentiva comunque nell’aria che i tempi erano maturi affinché al più presto potessero avvenire cambiamenti tecnologici importanti. In quei tempi, nello studio e nella realizzazione di una barca c’era molto divertimento e anche molto senso di poesia. Giorgio, che aveva da poco acquistato la sua prima barca impegnativa, l’Al Na’Ir, decise proprio in quel periodo di costruire il Guia, che fu commissionato al cantiere Craglietto di Trieste. Ne conseguirono discussioni infinite e innumerevoli viaggi per vedere nascere la barca, per seguirla e attrezzarla al meglio (i nostri sforzi sono stati poi ampiamente premiati dai brillanti successi che la barca continuò a ottenere negli anni a seguire). Si dovevano cercare, provare e valutare tutte le novità che stavano nascendo sul mercato. Giorgio era sempre presente impegnandosi in prima persona, Gigi Viacava era sempre pronto a partire per reperire all’estero ogni primizia tecnica. Tutto quello che non si trovava sul mercato, che a nostro avviso era indispensabile, doveva essere costruito da noi in proprio arrabattandosi al meglio. Sul Guia furono realizzate le sartie utilizzando (novità assoluta per quel periodo) profilati, reperiti in Francia, in acciaio speciale con un alto limite elastico. Fu montato un albero in alluminio (anche questo importato dalla Francia), che solo allora cominciava a essere utilizzato. Poiché a quei tempi gli alberi erano rigidi costruimmo, come altra novità assoluta, un boma in lamellare deformabile a sezione piatta orizzontale, in modo da rendere possibile l’utilizzo di una randa più grassa: in caso di necessità la randa veniva tesa curvando il boma. Realizzammo il primo tendistrallo idraulico comandato con una pompa a mano. Questo marchingegno costruito da noi, posseduto solo dal Guia, ci rendeva orgogliosi e ci emozionava ogni volta che lo usavamo. Come pure ci rendeva orgogliosi ed emozionati governare con estrema facilità la barca grazie allo speciale timone snodato. L’amico Carlo Sciarelli ci veniva spesso a trovare in cantiere con i suoi preziosi consigli; anche in queste occasioni la comune passione ci faceva accalorare in lunghe chiacchierate e discussioni fino a dimenticare il tempo. Era ed è tuttora molto raro trovare una persona come Giorgio, tanto appassionata di navigazione quanto competente e preparata dal lato tecnico e scientifico. Giorgio univa al rigore dell’ingegnere la fantasia, l’intraprendenza e la creatività del navigatore. Sono passati tanti anni (purtroppo), è cambiato il mondo della vela, e non solo quello, ma ci sarà sempre bisogno di persone come Giorgio, che ci lascia in eredità la passione vera e l’entusiasmo. (Max Bianchi, ingegnere, velista proprietario della Max Prop).

Il Guia 200, protagonista di indimenticabili regate, tra cui la Portofino-New York.

Caro Giorgio ti scrivo

Che strano farlo ora sulle stesse pagine de Il Giornale della Vela che ha ospitato per oltre vent’anni i nostri racconti di viaggio. Il nostro primo folgorante incontro è avvenuto a Santa Margherita nel 1974. Tu tornavi vincitore trionfale del primo giro del mondo in barca vela, io ero solo un puntino nel buio della folla che gremiva la piazza. Le immagini sfilavano sulle schermo, onde, frangenti, scie senza fine, balene… Ero rapito, stregato, e capii che non sarei vissuto a lungo senza conoscere quei mari. Mi hai aperto la porta dell’Oceano. Mi aggiravo per le banchine allo Yacht Club Italiano, sempre in cerca di imbarco. Jepson mi mise subito a pulire la carena del tuo Guia 3. Era già un onore. Dopo alcuni giorni di duro lavoro, mi ero conquistato un imbarco. Dai tuoi Guia non scenderò più. Ti incontro per la prima volta a Lisbona dove ci porti uno skipper celebre, Ambrogio Fogar, e questo era un primo esempio della tua capacità di coniugare talenti, di raggruppare persone anche distanti e dalle diverse specialità in un unico progetto. Stai con noi fino alla partenza lungo il fiume Tage. Per me, sentina, cucina, prua, poi mi viene concesso anche il timone. Mi nutro dei racconti di Ambrogio e di Jepson, vivo in un sogno, mentre tu forni in ufficio alla Falck. A Cowes si imbarca (“ingegné” e il suo equipaggio di fiducia, diventai “Pie” per sempre e sotto la garanzia di Jepson, mi venne concesso di correre l’Admiral’s Cup. Ricordo la tua audacia, quei bordi incredibili tra le innumerevoli barche ormeggiate davanti al Royal Squadron per giocarsi delle correnti. Noi eravamo preoccupati e ansiosi di affondarne qualcuna, ma la tua incrollabile fiducia e tenacia ci regala la prima vittoria in un triangolo di livello mondiale. Avevi portato non solo te, ma tutto il tuo team alla felicità. Poi il mitico Fastnet, l’onda oceanica che frange sullo scoglio più temuto delle coste europee, la posizione brillante.. e lo spi che si attorciglia attorno agli stralli. Salgo in testa d’albero, resto per ore sballottato lassù e perdiamo un sacco di posizioni. Dispiacere di tutti, ma mai acrimonia o un rimprovero da parte tua. Hai capito subito questa grande passione che ci accomuna. lo ho tutto da imparare e tu sembri avere la vocazione dell’insegnare, guidare i giovani, educare la loro passione per il mare, creare delle opportunità. Si parte per il primo Triangolo Atlantico. Tu a terra e noi in mare. Allora le tappe duravano molto di più, 44 giorni per la sola prima tappa, Hotel Papa 1 Echo Victor, passavi le tue notti alla radio con noi. Consigli tattici e tecnici, non mollavi mai e non ci consentivi di farlo. Ti devo la scoperta di Cape Town, la Table Mountain coperta da una tovaglia di nuvole, e di un pezzo del Sud Africa. Ci consenti di girare il mondo non solo in barca, ma anche di prenderci ampi spazi per conoscere, imparare in assoluta autonomia. Ricordo ben pochi armatori che affidavano la propria barca al loro equipaggio, consentendogli di regatare in assoluta autonomia. Cape to Rio ’76, finalmente assieme, allegri, veloci, pesca, film, planate, alisei. Qui incomincia la storia infinita delle nostre partite a scacchi, un altro gioco in comune. Serviva a estraniarci e a tenere sveglia la testa. Vincevi quasi sempre, ma ci divertivamo entrambi. Ti ricordo pensieroso e accovacciato nelle tue strambe posizioni, con le ginocchia sotto il mento come quando timonavi con infinita pazienza e accanimento, molla un dito, cazza un dito, concentrato come in un triangolo olimpico. Oppure al carteggio a chiacchierare con chi era sottocoperta. A te piaceva vivere semplicemente, eri felice di un piatto di pasta in bianco e di un caffè bollente al risveglio. Essenziale e dedicato alla regata, ti piaceva vivere il mare ed eri sempre di buon umore. Ti rannuvolavi solo quando una bonaccia ci sbarrava la strada e la radio ci narrava di vento altrove. Quella regata, volevi vincerla a tutti costi, e così fu: Arriviamo terzi in reale con i nostri soli 13 metri, un solo giorno dopo i giganti Ondine e Pen Duick di 24 metri. Quanto abbiamo riso perché non volevano farci attraccare alla banchina degli onori, eravamo troppo piccoli! Guia 3 affondato da un’orca, e nasce Guia 4, forse la barca alla quale sono stato più legato. Lamellare di mogano, il fascino del legno che si intreccia con la tecnologia e il design, e mari, oceani, regale, paesi lontani. l’esordio è violento, coricati da un frangente al largo di Capo Corso. Sopravvissuto per miracolo. Ma sbagliando s’impara e sotto la tua guida lontana e vicina continuo a imparare tanto. Il Triangolo Atlantico questa volta non ci sfugge. Lo vinciamo alla grande, superando brillantemente rotture varie. Quando non sei a bordo, ci segui e ci motivi a qualunque ora del giorno e della notte. Ma ecco la grande sfida, il giro del Mondo. RollyGo è la barca che hai concepito per quel giro, robusta e vivibile. Un sogno. Tantissime miglia, tutti gli oceani, un disalberamento risolto con l’armamento di fortuna a ketch. L’incidente di Paola sulla Table Mountain che mi trattiene a terra, la tua visita in ospedale, parole non dette, la tua solidarietà. A bordo i nostri ruoli si sono ben divisi. A te la guida, la tattica. A me la gestione del mezzo e dell’equipaggio. Quando il vento supera un certo limite, ti rintani in cuccetta con le tue maledette sigarette. Ti fidi di me anche se ti so diviso tra fiducia e disapprovazione per le mie “pazzie” col vento forte. Ma entrambi vogliamo tirare, volare, piazzarci e i rischi sono una porta obbligata. E incredibile, quasi sconcertante scoprire che in 20 anni di una convivenza a volte strettissima, a terra nella preparazione della barca, in mare in regata, in condizioni difficili, non riesco a ricordare un solo litigio, una sola parola irata tra noi! Qui la svolta, le tue barche non sono solo per te, ma anche per chi ti è più vicino. Avevi prestato Guia 1 al tuo skipper del primo Giro del Mondo, Luciano Ladavas, ora mi presti il Guia 4 per la Ostar. Ti ricordo alla partenza con Rosanna, emozionati voi, paralizzato io. La transatlantica in solitario dei miti, un passo non reversibile verso la maturità. Arrivare da solo a Newport dopo tre violenti depressioni e uno scontro frontale con un peschereccio durante il sonno, è di colpo diventare un uomo e te lo devo tutto. Inghilterra, Sud Africa, Brasile, Caraibi, Bretagna, Spagna, Portogallo, Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Nord America, Svezia, dove non ci hai trascinati!. Guia 2000, le grandi regate internazionali e la Portofino-New York, la “tua” regata. Concepita, voluta, gestita da te. Con Paola, arriviamo con una sventolata nella grande baia allo stretto di Gibilterra, ti ricordo sul RollyGo a seguire la regata, passammo così vicino che riuscisti a lanciare a bordo al volo un pacco di cibo fresco! Ci davano ben poche chance di arrivare interi, ma stravinciamo, grazie a tutta l’esperienza acquisita con te sui mari del mondo, arrivando fin sotto il ponte di Brooklyn. E che emozioni quando ci consegni il trofeo in oro, nelle sale del ponte! Gatorade è un ultimo giro del mondo. Un maxi estenuante e una grande tappa. Mar del Plata, Perth: due oceani in un colpo solo, mezzo Antartico sempre nei Quaranta Ruggenti, uno dei tratti più estetici che si possa tracciare su una carta nautica.

Falck al timone di Gatorade.

Ancora la tua audacia ti aveva spinto ad acquistare questo maxi ai confini del mondo. Ma per te non esistevano solo gli oceani: amavi anche giocare con le brezze del Golfo del Tigullio, le Sardinia Cup, Admirals, le regate di Portofino, il dinghy e la ritrovata felicità con Silvia, persino alcuni campionati invernali ti vedevano accoccolato al timone, la sigaretta in bocca, una mano sulla ruota del timone e gli occhi incollati ai filetti del genoa. I ritorni dalle grandi regate a terra erano difficili. A te devo anche i primi timidi successi della mia attività di trading, le prime vendite di acciaio russo alla Falck, l’inizio di un’attività mutevole che va avanti da oltre 20 anni. Giorgio, come ringraziarti per tutta la sicurezza e l’autostima che mi hai dato, che mi ha permesso di affrontare le peripezie della vita e mi ha aiutato a preparare gli strumenti per superarli? Se mai dovessimo fare i conti quanto ho dato e quanto ho ricevuto, mi sentirei ancora e sempre in debito per quelle incredibili esperienze di vita: mi hai permesso di vivere quasi tutti i miei sogni. Ad accompagnarti per l’ultimo viaggio non c’era solo il mondo del lavoro che rispettava il tuo nome e la tua posizione e fingeva di dimenticare le tue lunghissime assenze, ma anche il mondo della nostra vela, persone che non vedevo da anni, tanti dei ragazzi diventati uomini che hai portato a vivere i loro sogni per i mari del mondo e aiutato a crescere. Salutandoti, mi sono reso conto che si girava per sempre una pagina della mia vita. Giorgio, è incredibile quanto ci mancherai… Tuo, Pié. (Pierre Sicouri, velista e navigatore oceanico).

A Giorgio: riservata personale

lo penso, anzi sono certo, che il Buon Dio, in tutti gli anni che ha avuto a disposizione per occuparsi di noi umani, abbia trovato il tempo di aprire per noi bravi cristiani un paradiso, diciamo pure “su misura”, per ciascuna categoria. Penso, anzi sono certo, che in quello dei velisti ritroverò Giorgio Falck. Perché un paradiso per noi velisti c’è sicuramente e Giorgio, ad abundantiam, se lo è guadagnato e San Pietro, pur bugiardo com’è stato con il suo Maestro, questa volta non ha avuto motivo di mentire e anzi sarà stato onorato di presentare al mio amico quelli che lui non conosceva di persona. Da Ulisse in avanti passando, senza badare alla cronologia, a Cristoforo Colombo, Magellano, Verrazzano, magari il pirata Morgan, o quelli della Tortuga con il Corsaro Nero in testa, e poi Chichester, Drake, l’ammiraglio Nelson, il gruppo dei Caphornier come lui, o i solitari come Colas, Tabarly e l’indimenticabile Luciano Pedulli. Non avrà mancato di abbracciare anche qualcuno con il quale gli sarà magari capitato di non essere d’accordo come il “gran vecchio” Beppe Croce. Tra velisti, prima o poi, si torna amici. E Giorgio era un velista davvero. Ancora poco tempo fa l’ho visto in dinghy a Portofino sfilare gli scogli di Punta Cajega. E uno che ha fatto il Giro del Mondo, che ha attraversato l’Atlantico come un gioco, che ha girato il Fastnet in tempesta e lascio nella penna (perché lo spazio è tiranno) il “tutto” per mare che l’ha visto protagonista strappando il timone anche agli amici per godersi il piacere di vincere il vento con le vele delle sue adorate barche, Guia, soprattutto. Appollaiato, più che seduto, come faceva da me in redazione quando ci veniva, “bigiando” gli uffici austeri di Corso Matteotti, dove era il boss, per raccontarmi i suoi progetti che non erano quasi mai sogni, come si conviene a un bravo ingegnere. Come il giorno, tanto indietro nel tempo, in cui mi parlò di quello che avevano inventato lui e Max Bianchi, la magica elica Max Prop. E se non erano barche, l’acciaio. Il suo secondo amore ereditato dai suoi “vecchi”. Ma torna conto io dica subito che tra il paradiso dei velisti e quello degli acciaioli l’ingegner Giorgio ha certamente scelto il primo dove, dicono i poeti, si è un po’ meno rigorosi nei confronti di certe debolezze terrene. E Giorgio in vita non è stato un seppur amatissimo, stinco di santo. Produceva acciaio, ma non aveva un cuore d’acciaio: da giovane è stato un vero “tombeur des femmes”, e anche da grande non si è fatto mancare, al proposito, niente di niente. Con l’invidia di tutti noi. Con altrettanta franchezza bisogna ricordare che non gli sono mancati i dolori e gli affanni. Uno, primo fra molti, la morte incredibile di Giovanni che il mare, proprio l’amato mare, gli ha rubato e poi, su un altro piano, l’addio all’acciaio a Bolzano e agli alti forni di Sesto San Giovanni cui è stato costretto. Nel paradiso dei velisti ha certamente trovato Giovanni anche se, pure lui era un ingegnere. Fosse andato con gli acciaioli, che avrebbe mai potuto fare? Forse giocare a scacchi dove, per la verità, non era un gran campione. Meglio dove tutti noi ci ritroveremo con un bel mare e una barca. Timoniere e Skipper ovviamente lui, appollaiato al timone. Ciao Giorgio. (Mario Oriani, giornalista e fondatore del Giornale della Vela.)

Il maxi Safilo, l’ex dominatore della Whitbread Steinlager di Peter Blake.

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