1975. Smascheriamo Fogar che copia i libri degli altri

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Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.


Fogar, ma è proprio tutto vero?

Tratto dal Giornale della Vela del 1975, Anno 1, n. 04, ottobre, pag. 4/6.

Il Giornale della Vela diventa famoso in Italia per aver beccato il navigatore Ambrogio Fogar a copiare nel suo libro la descrizione di una tempesta scritta nel ’63 da John Guzwell. Scoppia la polemica.

Uno spiacevole infortunio

Un clamoroso (e molto ingenuo) caso di plagio letterario tiene ancora alla ribalta della cronaca il nome di Ambrogio Fogar. Nel suo libro “400 giorni attorno al mondo”, edito qualche mese fa da Rizzoli, Fogar ha copiato, si può dire parola per parola, i fatti, le circostanze e persino le sensazioni interiori provate da John Guzzwell in una terribile tempesta nel mar di Tasmania, e descritte dal navigatore anglo-canadese nel libro “Trekka around the World”, pubblicato nel ’63 dalla Adlard Coles di Londra e in italiano nel 1971 dall’editore Mursia (“Trekka attorno al mondo”). La vicenda avrà un seguito, poiché gli aventi diritto intendono procedere a norma di legge per far cessare quello che essi ritengono un abuso. Il plagio (che documentiamo in questo articolo mettendo i due testi a fronte) fa purtroppo nascere ancora una volta qualche inevitabile interrogativo sull’attendibilità, almeno letteraria, delle altre avventure, numerose e drammatiche, subite dal Surprise durante il giro del mondo e descritte da Fogar. Del cui infortunio francamente ci doliamo. Vogliamo sperare che l’intrepido navigatore saprà dirimere, per il buon nome suo e della vela italiana, ogni dubbio: cosa che lo invitiamo ben cordialmente a fare. Naturalmente dalle nostre colonne, se vuole.

Le copertine dei due libri in questione.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 1

A più di 1000 miglia di distanza, nel bel mezzo del Mare dei Coralli, qualcosa di terribile si stava preparando per me. Una massa d’aria, riscaldata dall’intenso sole tropicale, si stava spostando verso l’alto, creando un gran vuoto nell’atmosfera. Questo spazio veniva occupato da masse più fredde, le quali, a loro volta, si riscaldavano e si sollevavano, causando un’intensa depressione che col passare del tempo andava sempre più accentuandosi. In attesa che crescesse d’intensità, poiché era appena allo stadio iniziale, rimaneva stazionaria e del tutto ignorata; ma, allorché la sua terrificante potenza ebbe raggiunto la maturità, cominciò a spostarsi deliberatamente verso sud-ovest per sfogare il suo spirito distruttivo sulla costa orientale dell’Australia. Questo gigante furioso, che aveva cominciato a muoversi con estrema lentezza, aveva cessato ora di essere una semplice depressione, diventando violento da meritare il nome di ciclone. Nel frattempo, perfettamente all’oscuro di ciò che mi stava venendo addosso, fui piacevolmente sorpreso la mattina del 5 giugno quando, al mio risveglio, trovai che stava soffiando una bella brezza costante.

La tempesta secondo Fogar – Parte 1

A più di mille miglia di distanza, qualcosa di terribile si sta preparando per me. Una massa d’aria, riscaldata dall’intenso sole tropicale, si sta spostando verso l’alto, creando un gran vuoto nell’atmosfera. Questo spazio viene occupato da masse più fredde, le quali, a loro volta, si riscaldano e si sollevano causando una intensa depressione che col passare del tempo va sempre più accentuandosi. In attesa che cresca d’intensità, poiché è appena allo stadio iniziale, rimane stazionaria e del tutto ignorata; ma, allorché la sua terrificante potenza raggiunge la maturità, comincia a spostarsi verso Sud-Ovest per sfogare il suo spirito distruttivo sulla costa orientale dell’Australia. Questo gigante furioso, che ha cominciato a muoversi con estrema lentezza, ha cessato ora di essere una semplice depressione, diventando abbastanza violento da meritare il nome di ciclone. Nel frattempo, perfettamente all’oscuro di ciò che mi sta venendo addosso, sono piacevolmente sorpreso la mattina del 23 maggio, quando al mio risveglio, trovo che sta soffiando una bella brezza costante.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 2

Issai le vele alla svelta e mollai il gavitello. Con la carena ormai pulita, il Trekka non impiegò molto tempo a passare tra i frangiflutti e presto cominciò a divorare le miglia. Brisbane distava soltanto 260 miglia e, con un vento come questo, sapevo che sarebbero bastati tre o quattro giorni di navigazione per raggiungere un comodo ormeggio nel fiume Brisbane. Le mie previsioni dovevano dimostrarsi del tutto errate. Per tutta la giornata il Trekka filò lungo la costa allo scopo di evitare le correnti sfavorevoli; ma, con l’approssimarsi dell’oscurità, puntai verso il largo affinché non mi capitasse di andare a finire in secca durante la notte. All’alba dell’indomani avevamo guadagnato altre utili miglia; ma, man mano che il giorno si inoltrava, presi a dirigere di nuovo verso la costa, e nel tardo pomeriggio avevo già superato la foce del fiume Clarence. La bella brezza costante era rinforzata e soffiava a circa 20 nodi da sud-est, il che faceva letteralmente volare il Trekka, ma quando il sole scomparve, il vento, invece di scemare, aumentò. Un sesto senso mi andava avvertendo che qualcosa non funzionava. Il bollettino meteorologico non aveva dato alcuna indicazione di tempo cattivo e il barometro era ancora alto, eppure l’aspetto del mare denunciava qualcosa di insolito. Dapprima non vi feci molto caso; ma, col passare delle ore, cominciai a notare un’onda lunga proveniente da nord-est. Questo tratto di costa non offriva alcun rifugio, e con crescente apprensione mi resi conto che, se il vento fosse girato un po’, ci saremmo trovati sopravvento alla costa.

La tempesta secondo Fogar – Parte 2

Con la carena ormai pulita ad Auckland, il Surprise non impiega molto tempo a prendere il suo passo, e comincia a divorare le miglia. La costa dista soltanto 160 miglia e, con un vento come questo, so che basteranno un giorno e mezzo di navigazione per raggiungere lo Stretto di Bass. Le mie previsioni dovevano dimostrarsi del tutto errate. Per tutta la giornata il Surprise corre alla sua massima velocità; ma, con l’approssimarsi dell’oscurità, punta, quasi per istinto, verso ovest nord-ovest alla ricerca di correnti favorevoli. All’alba dell’indomani ho guadagnato altre utili miglia; ma a mano a mano che il giorno si inoltra, prendo a dirigere ancor più verso nord-ovest, come ispirato da un angelo (che non sapevo se buono o cattivo). La bella brezza costante è rinforzata, e soffia a circa 30 nodi da sud-est, il che fa letteralmente volare il Surprise, ma quando il sole scompare, il vento, invece di scemare, aumenta. Un sesto senso mi sta avvertendo che qualcosa non funziona. II bollettino meteorologico non ha dato alcuna indicazione di tempo cattivo e il barometro è ancora alto, eppure l’aspetto del mare denuncia qualcosa di insolito. Dapprima non faccio molto caso, ma, col passare delle ore, comincio a notare un’onda lunga proveniente da sud. Questo tratto di costa anche se lontana, non offre alcun rifugio, e con crescente apprensione mi rendo conto che, se il vento fosse girato un po’, ci saremmo trovati sopravento alla costa.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 3

Cazzai la randa e il fiocco e imbrogliai la mezzanella, quindi cercai di guadagnare quanta più acqua libera possibile allontanandomi rapidamente dalla costa. Quella che si stava rivelando una piacevole navigazione si tramutava ora in un disperato tentativo di guadagnare il maggior numero di miglia possibile prima che fossimo costretti a metterci alla cappa. Il Trekka veniva sospinto come non gli era mai capitato prima. Le sventagliate di spruzzaglia mi irritavano gli occhi e penetravano attraverso il colletto della cerata; numerose gocce d’acqua mi scorrevano giù per la schiena, fermate temporaneamente dalla cintura, che fungeva da diga, prima di straripare nel fondo dei calzoni. A un certo punto, una grossa ondata ruppe a mezza nave e mi inzuppò da capo a piedi, dopodiché fu perfettamente inutile cercare di rimanere all’asciutto. Man mano che il vento rinforzava, fummo costretti a dirigere più a nord che a est, e finalmente mi accorsi che era passato da un pezzo il tempo di terzarolare la randa. Attesi quello che parve essere un momento di tregua, quindi mollai rapidamente la drizza e azionai il cricco per terzarolare, facendo arrotolare la vela bagnata attorno al boma. Benché ne avessi ridotto notevolmente la superficie, ciò non parve produrre una gran differenza, e mezz’ora più tardi serrai la vela, comprendendo che, se l’avessi lasciata a riva ancora per poco, si sarebbe lacerata e mi avrebbe portato via una parte dell’attrezzatura. Il cielo, che a mezzogiorno aveva un aspetto così innocente, era ora completamente coperto e di tanto in tanto le raffiche di vento spingevano la pioggia in senso orizzontale, sicché era impossibile guardare controvento. II Trekka procedeva barcollando sotto la trinchettina e la mezzanella, tuffandosi nell’onda lunga che arrivava rotolando da nord-est.

La tempesta secondo Fogar – Parte 3

Teso a ferro la scotta di randa e il fiocco, quindi cerco di guadagnare quanta più acqua libera possibile allontanandomi rapidamente dalla costa. Quella che si stava rivelando una piacevole navigazione si tramuta ora in un disperato tentativo di guadagnare il maggior numero di miglia possibile prima che fossimo costretti a metterci alla cappa. II Surprise viene sospinto come non gli è mai capitato prima. Le sventagliate di spruzzaglia mi irritano gli occhi e penetrano attraverso il colletto della cerata; numerose gocce d’acqua mi scorrono giù per la schiena, fermate temporaneamente dalla cintura, che funge da diga, prima di straripare nel fondo dei calzoni. A un certo punto, una grossa ondata rompe a mezza nave e mi inzuppa da capo a piedi, dopodiché è perfettamente inutile cercare di rimanere all’asciutto. Man mano che il vento rinforza, siamo costretti a dirigere più a Nord che a Ovest, e finalmente mi accorgo che è passato da un pezzo il tempo di terzarolare per la terza volta la randa. Attendo quello che pare un momento di tregua, quindi mollo rapidamente la drizza e aziono il cricco per terzarolare, facendo arrotolare la vela bagnata attorno al boma: peccato non aver previsto tre mani di matafioni! Benché ne ho ridotto notevolmente la superficie, ciò non pare produrre una gran differenza e mezz’ora più tardi serro la vela, comprendo che, se l’avessi lasciata a riva ancora per poco, si sarebbe lacerata. II cielo, che a mezzogiorno aveva un aspetto cosi innocente, è ora completamente coperto, e di tanto in tanto le raffiche di vento spingono la pioggia in senso orizzontale, sicché è impossibile guardare controvento. II Surprise procede barcollando sotto la tormentina, tuffandosi nell’onda lunga che arriva rotolando da Sud.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 4

A volte, quando ci arrampicavamo lungo il pendio di una onda per rituffarci dal lato opposto, si aveva l’impressione di correre sulle montagne russe. Il turbamento di stomaco non si fec attendere: colazione e pranzo furono rigettati sottoento e andarono a mescolarsi con gli elementi. Lasciando il Trekka in balia di se stesso, me ne scesi dabbasso tutto intirizzito e mi disfeci degli indumenti fradici prima di distendere le mie stanche ossa nella cuccetta di sottovento. Dormire era di fatto impossibile, ma la cuccetta, se non altro, era calda e asciutta, e la tremula luce della cabina faceva del suo meglio per infondere un po’ di allegria. Per tutta la lunga notte il Trekka si allargò dalla costa, finché, all’alba del sabato, l’unica vela che poté conservare a riva fu il minuscolo fiocco da tempesta. La nostra velocità non superava i due nodi, ma questo era sempre meglio che rimanere alla cappa e lasciarsi andare alla deriva verso la terra. I miei peggiori timori si avverarono quando, nella tarda giornata di sabato, il vento saltò a est. Raggiunsi carponi la prua e ammainai il piccolo fiocco, quindi legai la barra sottovento e lasciai che la mia barchetta affrontasse da sola il mare al traverso. Secondo la mia stima, distavamo dalla costa circa 35 miglia. lo calcolo di solito che, durante una burrasca, il Trekka possa scadere sottovento alla velocità di circa un nodo; pertanto, ci restavano soltanto trentacinque ore prima di finire sui frangenti della costa. Era una prospettiva lugubre.Per tutta la notte guardai ansiosamente verso terra a più riprese, aspettandomi di avvistare il faro Capo Byron, che ha una portata di 26 miglia, ma neppure la luce del giorno rivelò alcun tratto di terra; però, a causa della foschia, la visibilità era limitata a circa tre miglia.

La tempesta secondo Fogar – Parte 4

A volte, quando ci arrampichiamo lungo il pendio di un’onda per rituffarci sul lato opposto, si ha l’impressione di correre sulle montagne russe. Nella tarda giornata il vento gira improvvisamente a Sud-Ovest: raggiungo carponi la prua e ammaino il piccolo fiocco, quindi lascio che Surprise affronti da solo il mare al traverso. Scendo in cabina tutto intirizzito e mi tolgo gli indumenti fradici prima di stendere le mie ossa stanche sulla cuccetta di sottovento. Secondo la mia stima, distiamo dalla costa circa 50 miglia; io calcolo di solito che, durante una burrasca, Surprise possa cadere sottovento alla velocità di circa 2 nodi. Dormire è impossibile, ma la cuccetta, se non altro, è più asciutta della coperta, e la tremula luce della cabina fa del suo meglio per infondere un po’ di conforto. Guardo ansiosamente verso terra a più riprese, aspettandomi di avvistare il faro di Capo Howe, che ha una portata di 23 miglia, ma neppure la luce del giorno rivela alcun tratto di terra: però a causa della foschia, la visibilità è limitata a circa 3 miglia. Il vento si calma un poco verso mezzogiorno, permettendomi di alzare di nuovo la tormentina e di lasciarvela per circa 3 ore, guadagnando altre poche miglia prima che le condizioni peggiorino e mi costringano a ritirare la piccola vela. Trascorre così un’altra notte di ansia, una notte passata ad ascoltare la nota stridula del vento nel sartiame, il tambureggiare delle drizze contro l’albero e l’improvviso sibilo di un’onda che rompeva prima di abbattersi contro la fiancata. Continuo intanto a scrutare verso Ovest, sforzando la vista per scoprire una eventuale luce sulla costa, ma giunge il mattino senza che la terra si faccia vedere.

Il ritorno del Surprise dopo il giro del mondo.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 5

Il vento si calmò un poco verso mezzogiorno, permettendomi di alzare di nuovo la tormentina e di lasciarvela per circa tre ore, guadagnando altre poche miglia prima che le condizioni peggiorassero e mi costringessero a ritirare la piccola vela. Trascorse cosi un’altra notte di ansia, una notte passata ad ascoltare la nota stridula del vento nel sartiame, il tambureggiare delle drizze contro gli alberi e l’improvviso sibilo di un’onda che rompeva prima di abbattersi contro la fiancata. Continuano intanto a scrutare verso ovest, sforzando la vista per scoprire una eventuale luce sulla costa, ma giunse il mattino del lunedì senza che la terra si facesse vedere. Accesi la radio per ascoltare il bollettino meteorologico ed appreso per la prima volta che non si trattava di una normale burrasca, bensì di un ciclone tropicale. L’occhio della tempesta era situato a circa 500 miglia di distanza verso nord-est e andava avvicinandosi alla velocità di circa dieci nodi. Il giornale radio parlò di danni arrecati alle attrezzature costiere e comunicò che le spiagge e i moli foranei erano stati spazzati da enormi frangenti in vari tratti del litorale. Il mio morale era precipitato. La nostra posizione era a est di Punta Danger, un nome di per sé non molto allegro (in inglese danger significa pericolo); ma non avevo nessun mezzo per sapere quanto ne distavamo. L’unica cosa sensata da farsi era quella di mantenere il più possibile la distanza con l’aiuto di un’ancora galleggiante; ma, poiché non ne possedevo una, feci del mio meglio utilizzando quello che avevo. Assicurai alle bitte di poppa e di prua due cime di manila e ne congiunsi le estremità libere a uno spezzone di legno ci cm 5xg e di m 2,5 di lunghezza, il che ebbe l’effetto di mantenere aperta sull’acqua un ansa di notevoli dimensioni, senza che affondasse. Dal mutato movimento del Trekka mi accorsi subito che i quasi 100 metri di cavo riuscivano a frenarne lo scarroccio sottovento, benchè il comfort della barca non fosse più quello di prima.

La tempesta secondo Fogar – Parte 5

Accendo la radio per ascoltare il bollettino meteorologico e apprendo per la prima volta che non si tratta di una normale burrasca, bensì di un ciclone. L’occhio della tempesta era situato a circa 300 miglia di distanza verso Ovest-Nord-Ovest e andava avvicinandosi alla velocità di circa dieci nodi. Il giornale radio parla di danni arrecati alle attrezzature costiere e comunica che le spiagge e i moli foranei erano stati spezzati da enormi frangenti in vari tratti del litorale. Il mio morale è precipitato (Saprò più tardi di due navi spezzate e decine di morti.) La nostra posizione era a Est di Capo Howe ma non avevamo nessun mezzo per sapere quanto ne distavamo. L’unica cosa sensata da farsi è quella di mantenere il più possibile la distanza con l’aiuto di un’ancora galleggiante; ma poiché Surprise non la gradisce, faccio del mio meglio utilizzando quello che ho. Assicuro alle bitte di poppa due cime e ne congiungo le estremità libere, il che ha l’effetto di mantenere aperta sull’acqua un’ansa di notevoli dimensioni, senza che questa affondi. Dal mutato movimento del Surprise mi accorgo subito che i quasi 200 metri di cavo riescono a frenare lo scarroccio sottovento, benché il comfort della barca non sia più quello di prima.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 6

Per tutta la giornata di martedì il vento soffiò violento come non mai e allora, conscio che da parte mia non c’era nient’altro da fare, mi buttai in cuccetta cercando di immergermi nella lettura di un libro. La notte di martedì fu una delle più sfibranti che io ricordi. All’esterno, la folle violenza degli elementi era di per sè abbastanza terrificante, ma il pensiero di essere sbattuto in costa con quel mare e nella completa oscurità lo era ancora di più. Avevo l’impressione che si trattasse di un incubo dal quale mi sarei presto risvegliato; ma, intanto, esso continuava un’ora dopo l’altra senza accennare ad alcun mutamento e lasciandomi ben poche speranze. Giunse finalmente l’alba del mercoledì, e un attento scrutare e ponente fugò i miei timori, giacchè non c’era ancora nessuna terra in vista. Notevolmente rallegrato da questa constatazione, consumai una piccola colazione: fu il primo vero cibo che avessi assaggiato da quando era cominciata la burrasca. Il bollettino meteorologico precisò che il centro della burrasca era situato a 500 miglia ad Est di Brisbane e che andava spostandosi sempre più verso il Sud.

La tempesta secondo Fogar – Parte 6

Per tutta la giornata di venerdì il vento soffia violento come non mai, e allora, conscio che da parte mia non c’è nient’altro da fare, mi butto in cuccetta. La notte di venerdì fu una delle più sfibranti che io ricordo. All’esterno la folle violenza degli elementi è di per sé abbastanza terrificante, ma il pensiero di essere sbattuto in costa con quel mare e nella completa oscurità lo è ancora di più. Ho l’impressione che si tratti di un incubo dal quale mi sarei presto risvegliato; ma, intanto, esso continua, un’ora dopo l’altra senza accennare ad alcun mutamento e lasciandomi ben poco buon umore. Giunge finalmente l’alba del sabato e un attento scrutare a ponente allontana i miei timori, giacché la terra è in vista ma molto lontana. Notevolmente rallegrato da questa constatazione consumo una piccola colazione: è il primo vero cibo che assaggio da quando è cominciata la burrasca. Il bollettino meteorologico precisa che il centro della burrasca è situato a 100 miglia a Sud di Brisbane e che va spostandosi sempre più verso Est.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 7

Evidentemente la tempesta tendeva a portarsi sempre più verso il mare aperto. A mezzogiorno ne ebbi conferma quando la coltre di nubi comincio a rompersi, lasciando comparire un paio di chiazze azzurre grandi quanto un fazzoletto. Per alcuni istanti, il sole fece capolino attraverso uno di questi spiragli, e ciò mi permise al fare delle osservazioni col sestante, benché il mare fosse ancora molto agitato, L’osservazione ci pose sulla stessa latitudine di Capo Byron, ma non ero ancora in grado al determinare la nostra distanza dalla costa. Il vento aveva preso finalmente a girare da Est a Sud-Sud-Est, e vi erano persino dei periodi in cui esso scemava notevolmente di forza. Nel pomeriggio tenni su il fiocco da maltempo per circa quattro ore, prima che un’altra serie di raffiche mi costringesse ad ammainarlo nuovamente. La radio segnalò che il Trekka era dato per disperso e aggiunse che alcuni aerei, che volavano lungo la costa, erano stati avvertiti di tenersi all’erta per me. Ero alquanto preoccupato da questa notizia, poiché l’ultima cosa che desideravo era una costosa ricerca aerea a marittima, che avrebbe potuto risolversi nella perdita della vita da parte dei ricercatori. Era colpa mia se mi trovavo in mare con questo ciclone e non vi era motivo per cui altre persone dovessero rischiare la loro vita per soccorrermi. Poiché il vento soffiava ora dal quadrante si Sud-Est, il pericolo di essere spinto in costa era grandemente diminuito, così quella notte i buttai a dormire in uno stato d’animo molto più rilassato che non nelle ultime cinque notti.

La tempesta secondo Fogar – Parte 7

Evidentemente la tempesta tende a portarsi sempre più verso il mare aperto. A mezzogiorno ne ho conferma quando la coltre di nubi inizia a rompersi, lasciando comparire un paio di chiazze azzurre grandi quanto come un fazzoletto. Per alcuni istanti il sole fa capolino attraverso uno di questi spiragli e ciò mi permette di fare delle osservazioni col sestante, benché il mare sia ancora molto agitato. L’osservazione molto approssimativa ci pone sulla stessa latitudine di Capo Howe, ma io non sono ancora in grado di determinare la nostra distanza dalla costa. Il vento ha preso finalmente a girare a Su -Sud-Est, e vi sono persino dei momenti in cui esso scema notevolmente di forza. Nel pomeriggio tengo su il fiocco da maltempo per circa 4 ore, prima che un altra serie di raffiche mi costringa ad ammainarlo nuovamente.  Poiché il vento soffiava ora dal quadrante di Sud-Ovest, il pericolo di essere spinto in costa era grandemente diminuito cosi quella notte mi buttai a dormire in uno stato d’animo molto più rilassato che non nelle ultime cinque notti.

La tempesta secondo Guzzwell – Parte 8

All’alba, la luce rivelò la stessa scena di onde frangenti e di spruzzaglia volante, ma l’aspetto del cielo era migliorato, e quando il sole si levò sull’orizzonte, esso rimase visibile per lunghi periodi attraverso le nubi. Dopo una rapida colazione a base di porridge, crostini e caffè, uscii in coperta per vedere se potevamo procedere in direzione di Brisbane. Il vento soffiava ancora oltre i 30 nodi e il mare era piuttosto grosso; ma, dopo essere stato alla cappa per tanto tempo, ero ansioso di mettermi di nuovo in movimento. Col vento proveniente da Sud, non avevo che da corrergli davanti, cosi decisi di tenere a rimorchio la mia ancora galleggiante improvista e di issare il fiocco da tempesta. Qualche momento più tardi, mentre filavamo a circa 3 nodi, scorsi una grossa onda che sopraggiungeva. Questa, avvicinandosi, spinse in avanti il rimorchio fino a dargli un notevole imbando; poi la cresta raggiunse il Trekka, che prese a correre in surf sul pendio dell’ onda. Con la barra in mano cercai di mantenerlo nella giusta posizione, finché scivolò sul dorso della cresta e si sedette nel cavo. Poco dopo venne avanti una cresta simile alla prima, che però ruppe sulla poppa,
inzuppandomi da capo a piedi, e mi avrebbe cacciato in mare se non mi avessero trattenuto le draglie della battagliola. Ero ancora intento a sputare acqua salata quando un’altra onda fece lo stesso scherzo. Prima che la cosa potesse ripetersi, ammainai la vela e legai la barra sottovento. Era troppo pericoloso lasciar correre il Trekka in quelle condizioni e decisi di attende re che mare si ammansisse un po’. (Da “Trekka attorno al mondo” di John Guzzwell. Traduzione di Giuseppe Pannacciulli. Pubblicato in Italia nel 1971 da U. Mursia & C. Prima edizione inglese edita da Adlard Coles Ltd, Londra).

La tempesta secondo Fogar – Parte 8

All’alba la luce rivela la stessa scena di onde frangenti, ma l’aspetto del cielo è migliorato e quando il sole si leva all’orizzonte, esso rimane visibile per lunghi periodi attraverso le nubi. Dopo una rapida colazione a base di latte condensato e ovomaltina, esco in coperta per vedere se potevamo procedere in direzione Sidney. Il vento soffia ancora oltre i 60 nodi e il mare è piuttosto grosso: ma dopo essere stato alla cappa per tanto tempo, ero ansioso di mettermi di nuovo in movimento. Col vento proveniente da sud, non ho che da corrergli davanti, così decido di tenere a rimorchio la mia ancora galleggiante improvvisata e di issare il fiocco da tempesta. Qualche momento più tardi, mentre filiamo a circa 5 nodi, vedo una grossa onda che sopraggiunge. Questa, avvicinandosi, spinge in avanti il rimorchio fino a dargli un notevole imbando; poi la cresta raggiunge il Surprise, che prende a correre in surf sul pendio dell’onda. Con la barra in mano cerco di mantenerlo nella giusta direzione, finché scivola sul dorso della cresta e siede nel cavo. Poco dopo viene avanti una cresta simile alla prima, che però rompe sulla poppa, inzuppandomi da capo a piedi, e mi avrebbe cacciato in mare se non mi avessero trattenuto le draglie della battagliola. Sono ancora intento a sputare acqua salata quando un altra onda fa lo stesso scherzo. Il frangente arriva rombando, scoppia alto sopra la poppa e mi prende tra le sue braccia buttandomi questa volta fuoribordo. La cintura di sicurezza è agganciata con il moschettone a un cavo lungo dieci metri e tiene; però, la barca lasciata libera dal governo, si traversa al mare. L’onda successiva si spacca sulla fiancata del Surprise indifeso, lo arrotola nella cresta e lo fa per un attimo sparire ai miei occhi. Quando anch’io risalgo a galla vedo la pinna nera della mia bella barca puntata verso cielo, poi per lunghissimi momenti vedo che l’albero riaffiorare fino a tornare dritto, mentre il mare tutt’intorno ribolle bianco. Credo di essere stato forse l’unico spettatore-equipaggio che possa dire di avere visto dal di fuori la propria barca rovesciata: comunque, cerco di recuperare il più velocemente possibile la cima che mi tiene collegato come un cordone ombelicale alla barca. L’acqua mi sembra tiepida, forse riscaldata dalla rabbia che ho dentro di me. Mi sento veramente perduto. La costa è vicina ma, sia a nuoto che con il Surprise in queste condizioni, le conseguenze sarebbero facilmente immaginabili. La costa bianca di spuma che sale fino a 20-25 metri è martellata dall’onda che si spacca spinta da migliaia di miglia di oceano; l’acqua sale in verticale con colonne di schiuma che rimangono alte per lunghissimi attimi, quasi non volessero più cadere. A bracciate riesco ad avvicinarmi al Surprise e risalgo a bordo aspettando che l’onda faccia inclinare dalla mia parte la falchetta: la barca rollando dall’altra parte mi metterà praticamente a bordo. (Da “400 giorni intorno al mondo” di Ambrogio Fogar, Rizzoli Editore Milano 1975.)


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