Vallicelli è simbolo di eleganza e performance
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In occasione dei 50 anni del Giornale della Vela, le grandi eccellenze del mondo della vela si raccontano e svelano i loro progetti. In questa rubrica scoprite tutte le aziende e le persone che hanno fornito un importante contributo all’articolato mondo della vela, che permette a tutti noi di andare per mare, in ogni forma e contesto.
In questa puntata, vi portiamo alla scoperta della storia e delle novità di Vallicelli & C., uno dei più importanti studi internazionali di progettazione navale, tra i cui tanti successi ricordiamo Azzurra, protagonista della prima sfida italiana alla Coppa America.
Vallicelli & C., Giganti Nostrani

Dalla vela più “pop” alla progettazione d’elite, da Brava ad Azzurra, ecco come è evoluta la vela in Italia. Raccontata non solo da chi l’ha vista, ma fatta.
Half Ton Cup 1975, Trieste: il terzo gradino del podio è occupato da uno scafo progettato da studenti universi-tari: Ziggurat. È il loro progetto d’esordio, un successo. Nasce lo studio Vallicelli &C. 1981, sei anni dopo Ziggurat. Dopo il mancato tentativo del ‘62, l’Italia lancia la sua prima sfida all’America’s Cup (1983). A ricevere l’incarico, il più ambito del decennio, loro, Vallicelli & C.: progetteranno Azzurra… 1975-1981, il passo è molto più che breve. Questa è la premessa, uno step fondamentale per raccontare uno dei più importanti studi internazionali, un unicum capace di toccare e plasmare tanto il ‘pop’ quanto l’élite dello sport. Per farlo, però, è necessario partire dalle basi e parlare con Vallicelli stesso, e così tracciare il contesto in cui tutto nacque, raccontando al contempo la storia, l’evoluzione e la trasformazione della vela in Italia.

I progetti d’esordio
Il primo scafo firmato Vallicelli & C., Ziggurat nasce nel 1975 (lo stesso anno in cui nacque il Giornale della Vela). Una data non casuale, così come casuale non sarà il successo che il piccolo 9.15 metri andrà a generare. Ma, come sottolinea Vallicelli stesso, da buon maestro, va prima fatto un passo indietro. “Gli anni ‘60 furono un periodo eccezionale, ma anche un periodo di profonda transizione. Fu un momento di prima apertura al mondo della vela, caratterizzato dalla nascita di nuovi cantieri, dall’ascesa della serie e da un crescente numero di appassionati. La cultura dello yachting, però, per figure, filosofie e realizzazioni, era ancora e prevalentemente legata alla scuola classica, quella britannica o dell’élite del nord-est americano. Questo, fino agli anni ‘70, i cui primi anni portano invece una svolta, con scuole nuove, come la californiana (Peterson e Carter fra tutti), a cambiare i giochi. Da un punto di vista sociologico, con gli anni ‘70 cambia il clima e, con questo, l’attrattiva. Erano anni di fermento, anche anni duri, ed è forse in questa commistione che troviamo i semi per una nuova apertura: gli italiani scoprono davvero la vela e, con lei, un nuovo mondo aperto all’avventura, all’evasione”. Sono gli anni delle prime Whitbread, dell’altura e delle grandi regate. Ed è in questo frangente che, a Trieste, arriva Ziggurat. “Grazie a lei, ma non senza sorpresa, già a Trieste arrivarono le prime due commissioni: El Cid (One Tonner, vincitore di due edizioni della Barcolana) e Argento Vivo (Three Quarter Tonner, vincitore di due C.I. e secondo al Mondiale). Certo, Ziggurat era una barca ben concepita, forte degli insegnamenti delle nuove scuole, ma era un periodo di giganti: Sparkman & Stephens, Peterson, Carter, Holland… e noi, chi eravamo in fondo, se non dei ragazzi romani? Con il senno di poi, quest’opportunità fu l’evidente sintomo del tempo, forte di una capacità tutta armatoriale che sapeva rompere le barriere, aprendosi alla novità e all’azzardo. C’era una profonda differenza con quanto non avvenga oggi, il dilettantismo era tanto e, forse anche per questo, le scelte erano più azzardate. Le opportunità erano intrinseche all’aria che si respirava e quel clima fu in parte chiave dei successi successivi”. Ed è in questo clima che, nel giro di pochissimi anni, lo studio prende realmente vita. Sono gli anni di Gattone, Caccia alla Volpe, Nostra Signora dei Turchi e Blu Show, cui si affianca anche la grande serie con le sue piccole icone pop: lo Ziggurat 916, il Canados 33, il V-Cat 38… Tra queste e i successi in regata, con fine decennio un nuovo riflettore brilla sullo Studio Vallicelli, e nuove porte si aprono.

La chiave di volta
Napoli, One Ton Cup 1980. Vallicelli & C. firma Excelsior, LSD, e Filo da Torcere. Sarà quest’ultima (un 11.29 metri in lamellare) ad aggiudicarsi l’evento, la prima volta in assoluto per una barca progettata, costruita e condotta da un team interamente italiano. Ma la star del periodo, e chiave di volta di quanto seguirà, sarà il Prima Classe progettato per Pasquale Landolfi, Brava (13.40 m), futuro cult della vela italiana e indiscussa campionessa di tutta l’altura del biennio 1982-83. “Brava fu un passo importantissimo per lo studio. Fu la barca che ci fece crescere e fare il salto di qualità rispetto all’intero processo progettuale. Con la sua commissione, Pasquale Landolfi ci diede una chance d’oro: budget di primo livello, il gotha della cantieristica statunitense, esigenze di prim’ordine… Più che un armatore, Landolfi fu un mentore, un mecenate e uno sponsor essenziale. Ci offrì un’opportunità unica per ‘diventare grandi’ e, inconsapevolmente, divenne il trampolino per quanto successo subito dopo: Azzurra. E questa, probabilmente, non sarebbe arrivata senza la fiducia che Brava aveva instillato nei nostri confronti”. Azzurra, però, è una storia a parte. Una storia che, come Vallicelli stesso sottolinea, non sta tanto nel capire come sia nata, ma nel germe da cui questa seppe prendere vita. E, di nuovo, qui, fu fondamentale l’atmosfera, lo spirito del tempo. “È l’intero contesto intorno a cui Azzurra prese vita a essere rilevante. Le preoccupazioni erano tantissime, dal dove realizzarla fino all’opinione politica che un’operazione del genere potesse generare. Poi, però, ci fu la vittoria ai mondiali di calcio, gli Azzurri, Azzurra, e il seguito inaspettato. Un segno del clima forse, della sua ricchezza in termini di opportunità… e Azzurra fu certamente figlia di quel clima nato negli anni ‘70. Ma senza Brava, senza Landolfi, l’Aga Khan e Agnelli, Azzurra non ci sarebbe mai stata.” Quella di Azzurra – delle ‘Azzurra’– è però un’altra storia, una per cui servirebbero altrettante pagine anche fosse solo per un esame superficiale. Ma non per questo non manca di condividere quanto segue, quel percorso che, dagli anni ‘80, ci porterà all’ultimo decennio del secolo e ai fondamenti della vela odierna e, con lei, dello studio.

Lo spirito del tempo
Brava, Azzurra, Gemini, Springbok, poi la serie, con i Canados, i Comet… Gli anni ‘80 furono un periodo d’oro, tanto per lo studio quanto per la vela. Ma qualcosa si incrina e lo IOR entra in crisi. All’orizzonte profilano nuove regole. Da una parte, l’evoluzione tecnologica porta all’IMS, dall’altra, lo sport si parcellizza: l’altura non è più ‘singolare’ e nascono le Classi Libere, più svincolate e ‘pure’ rispetto ai parametri di una formula come l’IMS. “Quella di fine anni ‘80 è una transizione molto contemporanea: da una parte muta il contesto sociale, compaiono i Maxi e la vela diventa più ricca, sempre più legata al Jet-Set; dall’altra, l’agonismo si iperspecializza e le classi minori scemano. Ma il fulcro del cambiamento sta nell’evoluzione tecnologica: gli strumenti di calcolo e di rappresentazione vedono una crescita esponenziale e la regola si fa meno puntuale. Strumenti e tecnologie nuove offrono capacità espressive differenti, e così succede per gli scafi. Emanuele Severino, filosofo, scriveva pagine importantissime sul rapporto con la tecnica, tra fine e mezzi, e le prospettive in cui se ne perde il controllo, in cui lo si rincorre. Sono gli strumenti che fanno evolvere ogni cosa. E questo vale anche per quelli che sono gli aspetti identitari di una cultura, basti guardare all’architettura, a quello che esprime… Ecco, forse, il tracollo dello IOR e la nascita dell’IMS derivano un po’ da questo”. In questo frangente, la parcellizzazione del panorama progettuale si espresse al massimo nelle classi libere, le cosiddette ‘Open’, assai meno rigide rispetto alla norma IMS e meno vincolate. Più aperte, per così dire, allo stato più puro dell’architettura navale, saranno queste a dar vita ai cult anni ‘90 firmati Vallicelli & C.: Brancaleone Open, Stradivaria, Gaia Legend, e l’eccelso Open 55 Riviera di Rimini. Contemporaneamente, il mondo del motore bussa alla porta, prima con Intermarine, poi con ISA, e i 120’ e 140’. Plastici e armonici, queste aprono a loro volta le porte ai mega yacht, e arrivano i giganti, tra cui il pluripremiato Okto, e Infinite Jest, vincitore dell’International World Superyacht Awards del 2024.

Progettare bellezza
Come tracciare l’inesorabile produzione dello studio, dallo IOR fino alle incredibili barche-scultura di fine anni ‘90 e degli anni 2000? Da Caccia alla Volpe (‘76) a Virtuelle (‘97), da H2O (‘06) a Infinite Jest (‘24), una linea indelebile, sottile, eppure solidissima, è il nostro fil-rouge: un approccio all’architettura navale che, nonostante la costante ricerca del limite, insegue ancora e sempre quel canone classico legato alla dimensione più importante, quella dettata dall’armonia complessiva, quella del bello. “Il bello è una questione che trascende le epoche e i tempi, è una questione di armonia, di equilibrio. E, per quanta innovazione si cerchi di fare, la componente estetica, quella scultorea, è essenziale in ogni barca. L’equilibrio e l’armonia vanno ricercati internamente a tutte le componenti del progetto, dal controllo degli elementi, delle loro complessità interne, fino al tutto che questi generano. L’armonia è data dall’equilibrio interno delle parti e, per quanto si possa inseguire la performance, il bello del complesso non può venire meno, perché è questo che trascende gli stili, i materiali e le epoche. È questo che caratterizza uno scafo e l’immagine che questo riflette, non solo di sé, ma anche di noi”. Una filosofia, questa, che ritroviamo in ogni singolo progetto e in ogni sua singola componente. Dal pozzetto scolpito di Virtuelle, allo specchio di poppa del Comet 41, dagli spigoli di Caccia alla Volpe fino all’eleganza di Azzurra… non uno scafo manca di quell’armonia, di quell’equilibrio che, con ogni dettaglio, continuano a riportarci a qualcosa che va oltre la vela stessa, oltre la performance: il sapore di qualcosa di semplicemente bello, a prescindere da tutto…
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2 commenti su “Vallicelli è simbolo di eleganza e performance”
Perché non citare tra i capolavori di Vallicelli il Genesi 43 della Comar. Barca che vinse innumerevoli regate, She IV, quella di cui sono felice armatore, vinse addirittura il Trofeo Nastro Azzurro nel Tirreno nel ’92, e lo scafo è esposto al American Museum of Natural History di New York. Sarò di parte, ma l’omissione è grave! Comunque bellissimo articolo.
Avete dimenticato lo Star Cat, sempre di vallicelli