2013. Pelaschier, cosa vuol dire essere un mito della vela

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Mauro Pelaschier: il leone del mare

Tratto dal Giornale della Vela del 2013, Anno 39, n. 2, marzo, pag. 72-79

Il Giornale della Vela premia Mauro Pelaschier, il velista/marinaio e racconta la sua mitica storia. Un destino segnato dalla nascita, avvenuta in un circolo velico. Una carriera straordinaria di successi in mare, un viaggio alla scoperta del timoniere di Azzurra che ha fatto conoscere agli italiani la vela.

Il grande giorno sarà Giovedì 21 marzo, quando al TAG Heuer VelaFestival di Livorno Mauro Pelaschier riceverà il primo Leone del Mare. Un destino segnato fin dalla nascita, avvenuta direttamente in un circolo velico. Una carriera di successi in mare, dalle classi olimpiche fino alla Coppa America al timone della mitica Azzurra. Un marinaio completo che della sua barca conosce tutto, fin dalle fasi di costruzione. E spiega ai giovani cosa serve per vivere di vela.

Mauro Pelaschier è altissimo. Il suo amico e compagno di equipaggio Davide Besana ne parla così: “Mauro Pelaschier è il nostro unico Dio. È autorizzato ad insultarci in ogni lingua, tanto ha ragione lui”. L’Altissimo, per l’appunto. Sono entrata in casa sua a Milano in punta di piedi. La nebbia lombarda e un appartamento meneghino non sono certo il luogo più adatto per intervistare il più grande velista italiano. Ma è stata sufficiente la sua faccia da lupo di mare intenta a ripulire dei calamari freschi per farmi sentire subito sull’acqua.

La deriva singola: scuola di vita

Mauro Pelaschier è nato alla Società Vela Oscar Cosulich, all’interno del circolo velico di Monfalcone. Un destino segnato il suo. Il padre Adelchi era un campione sui Finn e lo zio Annibale un mastro d’ascia, costruttore del primo Optimist italiano. Mauro è nato per vincere, per diventare un campione della vela. Nessuno in famiglia riusciva a immaginarsi per lui un destino diverso da questo. Il primo Optimist non era ancora stato costruito e quindi a sei anni inizia ad andare sul Finn seguendo le orme paterne. Cresce tra il profumo della salsedine e quello del legno del cantiere di famiglia. Impara come si costruisce una barca, per conoscere il suo mezzo anche fuori dall’acqua. Dal 1964 al 1977 non ha rivali, sul Finn vince tutto. La deriva singola è la sua scuola di vela, di vita. “Singolista” dentro e fuori dall’acqua, viaggia e regata solo: parte per le trasferte in macchina con la barca sul tetto, libero. In questi anni diventa un atleta olimpico e i suoi occhi brillano di agonismo quando si racconta: “Come salgo in barca voglio vincere. Faccio di tutto per vincere. Voglio sempre vincere. Sono un produttore naturale di adrenalina. Mi serve a dare sempre il meglio”. Questo è quello che gli ha insegnato suo padre, forse anche troppo bene. Durante un campionato italiano Finn, l’ultimo disputato dal padre Adelchi, i due si affrontano in regata. Il padre sta lottando con un altro atleta per il titolo e si gioca tutto durante l’ultima prova, deve vincere per aggiudicarsi il primo posto. Mauro in quella prova parte bene ed è subito in testa, approfittando della battaglia tra gli altri due. Alla boa di bolina si ferma con l’intento di far passare il padre che subito lo rimprovera incitandolo a ripartire e vincere la regata. Da quella prova Mauro Pelaschier non si è mai più fermato.

 

Mauro Pelaschier si allena sul Finn a Monfalcone durante la preparazione per l’Olimpiade del 1972

 

Azzurra e l’America’s Cup

Nel 1981 arriva la chiamata di Cino Ricci. La posta in gioco è altissima: selezionare il timoniere che condurrà Azzurra, prima barca italiana, all’America’s Cup di Newport. Per un velista la Coppa America vuol dire tutto. Dalla deriva singola all’equipaggio il cambiamento è radicale. Da questo momento la vela diventa per lui e per tanti altri una professione. Mauro Pelaschier si aggiudica il timone di Azzurra, perché ha una marcia in più: è un marinaio a 360 gradi, arriva da una cultura nautica per la quale il velista deve sapere fare tutto, non è un tecnico specialista. Il suo segreto è avere lavorato nei cantieri: conoscere come è fatta una barca. Aver disegnato e cucito a mano le vele per tanti anni gli ha fatto conquistare un intuito unico: quello di sapere cosa fare per rendere una vela più efficiente non appena viene issata. Naso, talento, fiuto, intuzione, umiltà, “manico”, come si dice in gergo. Questa è l’intelligenza marinaresca di Mauro Pelaschier: “So benissimo cosa vuole la barca perché la sento. Se sei timoniere senti che in quel momento la barca sta soffrendo e agisci di conseguenza”. Nel 1983 è terzo a Newport al timone di Azzurra, un risultato enorme per l’equipaggio italiano alla sua prima esperienza. Quello per il match race è un amore che da qui lo accompagnerà per tutta la vita e lo farà viaggiare per i campi di regata di tutto il mondo. Una disciplina divertente per chi la pratica e per chi la guarda, intuitiva, che mette in primo piano a fianco delle capacità tecniche, la conoscenza pratica del regolamento di regata.

 

Da sinistra: Mauro Pelaschier e una sua giovanissima tifosa; Mauro Pelaschier  al timone di Azzurra nel 1983; Mauro nel 1995 , dopo la vittoria vince della Rolex Maxi World Cup a Porto Cervo a bordo di Rrose Selavy.

 

L’esperienza oceanica

Il 1994 è l’anno in cui Knox-Johnston stabilisce il nuovo record di circumnavigazione a vela del pianeta in solitario: 74 giorni. Nello stesso anno Pelaschier partecipa per la prima volta a due tappe della Withbread Round The World Race, da Southampton a Punta del Este e da Punta del Este a Fremantle. “Ho sempre voluto provare tutto in barca a vela. Quando feci la Withbread partii perché volevo navigare in mezzo agli iceberg lontano dalla società civile. è un sentimento che ho dentro, che proviene probabilmente dai miei avi”. Un’esperienza che ha rischiato di trasformarsi in tragedia, a 2500 miglia dall’Australia nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, la verde Brooksfield timonata da Pelaschier rischia di affondare. “In quei momenti in mezzo all’Oceano scatta dentro di te lo spirito di sopravvivenza. È necessario essere stralucidi e saper fare le cose. Sapere dove intervenire immediatamente. Se tu sai come è fatta una barca perché per anni hai lavorato in un cantiere, sai immediatamente dove intervenire. Le ore passate a disegnare e costruire mi hanno aiutato tantissimo nella mia vela. Mi sento per questo un marinaio completo che conosce a fondo la materia”. Un amore per il mare incondizionato che gli fa ammettere di preferire il fascino di una notte stellata in mezzo all’Oceano all’adrelina delle partenze in regata. Proprio a lui, il regatante per antonomasia. Pensando all’Oceano e a quel record di Knox Johnston ha forse un unico rimpianto. Ha riflettuto molto sul giro del mondo in solitario, ma quando aveva l’età giusta per farlo, in Italia era ancora impensabile mollare gli ormeggi da soli da Gibilterra, non si praticava quel tipo di vela: “Proprio perché sono un singolista, credo sarei riuscito molto bene a fare il solitario, perché era il mio mondo, mi veniva naturale”.

 

Da sinistra: i festeggiamenti dopo la vittoria della medaglia d’argento alle Preolimpiche di Kingston in Canada; Mauro Pelaschier a La Spezia durante la premiazione delle “10.000 vele di solidarietà”, regata di beneficienza dopo l’alluvione del 2011; Mauro durante una prova di Match Race della Liberty Cup a New York nel 1984.

 

“Solo in mare sono me stesso”

Mauro Pelaschier è il nostro Leone del Mare per tutti i suoi successi ma soprattutto per la sua grande passione. Un amore che riesce a trasmettere con gli occhi e con il sorriso quando parla di barche a vela: “Io quando vado per mare sono diverso. Non sono lo stesso uomo che stai conoscendo oggi in un appartamento di Milano. Quando non sono in mare sono triste, quando invece sono in barca mi si apre immediatamente il sorriso, mollo gli ormeggi e rido. Penso si chiami passione”. Un sentimento davvero contagioso accompagnato dalla lucidità nel saper riconoscere il grande privilegio di chi pratica la vela come sport e come divertimento, perché poche persone al mondo possono vedere quello che noi velisti vediamo quando siamo in mare. “Il nostro è lo sport più bello, ogni giorno abbiamo uno stadio diverso. Una pista di atletica è sempre lunga gli stessi metri, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi”. Un’unica preoccupazione è rivolta a quei giovani che decidono oggi di fare della vela la loro professione. “Il consiglio è quello di seguire in parallelo due strade: quella delle regate e quella della realizzazione professionale in una specialità inerente all’ambito della nautica, frequentando scuole come quella di Southampton o La Spezia. Questa è la strada oggi per fare della vela una professione completa, perché permette ai giovani di mantenersi e dà loro la possibilità di portare avanti i propri sogni“. Il futuro di Pelaschier oggi ha lo sguardo rivolto al passato, alle sue origini, al legno, a quella che chiama “la sua vela”. Il fascino delle barche d’epoca consiste nella sfida di riuscire a portarle al massimo delle loro performance come è successo l’anno scorso con la vittoria del trofeo Panerai su Leonore, uno sloop Marconi lungo 15 metri, costruito in Norvegia nel 1925. Mi dice che non lo chiamano più per timonare le barche moderne. Io rido, non ci credo. “È inutile che provi ad andare sui catamarani. Non è il mio mondo. Invece su una barca dislocante sono ancora Mauro Pelaschier. Sono ancora uno dei più bravi. Più è pesante la barca più bravo sono”. Grazie Mauro, a presto, la prossima volta ci vediamo in mare.

 

Da sinistra: Mauro prepara il suo Finn in vista delle Olimpiadi del 1972; Mauro Pelaschier con Mauro Piani a bordo di Azzurra III a Freemantle nel 1987; Mauro durante la preparazione per le Olimpiadi del 1972.

di Veronica Bottasini


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