1975. Intervista a Giulio Cesare Carcano

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Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.


Mi chiamo Giulio Cesare progetto moto, ma vorrei fare barche

Tratto dal Giornale della Vela del 1975, Anno 1, n. 2, agosto, pag. 31.

Carcano dalla sua casa sul lago di Como vedeva le barche mentre lavorava alla Moto Guzzi. Velista scarso ma appassionato, un giorno decide che, dopo aver vinto con le sue moto, avrebbe vinto anche con le sue strane barche. Così fu.

Giulio Cesare Carcano, l’ingegnere, abita a Mandello Lario. Nel mondo della vela Carcano è notissimo, e la sua vera fama di tecnico se l’è fatta proprio qui a Mandello Lario, quando, come direttore tecnico della Moto Guzzi dei tempi d’oro, ha progettato e costruito le moto campioni del mondo. Carcano da tempo ha abbandonato i motori: eppure non gli sono mancate certo le proposte di lavoro, soprattutto dal Giappone e dagli Stati Uniti. Chi si reca a trovare questo giovanile ultrasessantenne, lo scopre sempre immerso in calcoli e disegni. Non più, tuttavia, per i rumorosi motori, bensì per la progettazione di barche a vela. Decisamente un salto, diremmo anche qualitativo, abbastanza netto, e che ha le sue radici nella passione che Carcano ha per la vela da quando, ragazzino con i calzoni corti, si recava sul lago, appunto a Mandello, e passava praticamente le sue giornate su un dinghi 12 piedi. Da grandicello ha proseguito in campo velico con la partecipazione a regatine locali, ma senza grande impegno agonistico. Dopo la guerra ha avuto uno Star, con la quale ha fatto molte regate, dalle quali lo ha distolto nel ’49 la gestione del reparto corse della Guzzi. Solamente nel ’58, dopo che Guzzi, Gilera e Mondial avevano congiuntamente deciso di smettere di correre, Carcano si è riavvicinato alla vela comperando il Violetta, l’ultimo 6 metri SI costruito in Italia: era di Baglietto. Fu più o meno in quel periodo che Carcano cominciò a progettare barche. E’ da questo ricordo che prende l’avvio l’ intervista che l’ingegner Giulio Cesare Carcano ha rilasciato a Giovanni Garassino per Il Giornale della Vela.

 

Lo stabilimento della Moto Guzzi a Mandello Lario, dove Giulio Cesare Carcano ha lavorato a lungo come direttore tecnico.

 

GdV: Ingegnere, quando è arrivato alla progettazione di barche a vela?
CARCANO: La prima barca progettata da me era un 5,50 SI, e l’idea è nata nel 1959 in un modo un po’ curioso. Siccome noi della Guzzi avevamo impiegato nelle moto da corsa, e direi con ottimo esito, leghe pesanti, che avevano cioè un peso specifico superiore a quello del piombo, come contrappesi degli alberi a gomito e per altre cose, mi era venuta l’idea di fare una barca che avesse la pinna in materiale sinterizzato a base di tungsteno.

GdV: Cosa vuol dire materiale sinterizzato?
CARCANO: E’. detto nel modo più semplice possibile, un processo di lavorazione in cui si impiegano polveri di metallo per ottenerne prodotti dotati di peculiari caratteristiche: per esempio, pezzi meccanici compatti molto resistenti e relativamente facili da costruire. Quando la costruzione della barca era già avviata, ho fatto chiedere dalla FIV alla federazione mondiale se era possibile utilizzare materiali con peso specifico superiore al piombo. La risposta è stata no, e la mia «brillante» idea è andata a pallino. Ormai però mi ero appassionato a questa barca, che ho finito ovviamente per fare con la pinna tradizionale, e così è nato il primo della serie dei Volpina, le barche con cui ho ottenuto risultati molto buoni. Certo che se non mi fosse venuto in mente di utilizzare quel materiale, probabilmente non avrei mai progettato barche.

GdV: E quando è arrivato alle barche d’altura?
CARCANO: Nel 1960. Ho smesso lavorare come «motociclista» e allora, come pensionato, ho approfondito il disegno delle barche, non più a formula come i 5,50 ma con le regole di stazza di allora, quelle del RORC. La prima barca che ho disegnato è stato il Vampa, che, secondo la stazza di allora, aveva un rating di 22 piedi. Poi, da cosa nasce cosa, e così mi sono trovato l’etichetta di progettista di barche… Un’etichetta che mi piace.

GdV: Lei è il più anziano dei progettisti italiani. E però disegna le barche più giovani, più anti-convenzionali.
CARCANO: Se io dovessi vivere con i proventi di progettista dovrei fare barche tradizionali che assomigliano a quelle di Stephens, Nicholsons e via dicendo. Io invece ho la fortuna di poter fare le barche come le sento. Se un committente viene da me, debbo subito dirgli che la barca che farò sarà probabilmente scomoda, magari anche brutta esteticamente, e mi è quindi difficile chiedere a un coraggioso di tal genere anche una robusta parcella. Del resto, è tutto relativo: anche per quanto riguarda l’estetica, dove pure c’è una tradizione affermata. Ricorda quando è uscita l’Aprilia, con le sue linee inconsuete? Tutti rimasero scioccati e solamente dopo qualche anno riuscirono ad apprezzarne la vera bellezza. In sostanza, il mio concetto è questo: chi copia arriva sempre dopo. E mi ha fatto molto piacere che il Vihuela, una barca molto anti-tradizionale, si sia brillantemente guadagnata la qualificazione per l’Admiral.

GdV: Indubbiamente il Vihuela è una barca che va molto forte. Ma è anche impressione generale che sia una barca « difficile » e che ottenga i migliori risultati quando c’è lei al timone.
CARCANO: Il Vihuela è una barca che per rendere al massimo deve essere regolata alla perfezione, ma non è assolutamente una barca difficile. Diciamo che è una barca che meno di altre perdona gli errori del timoniere e dell’equipaggio. Ma è una barca poco faticosa anche in condizioni dure e sono certo che altri timonieri saprebbero farla rendere molto di più di quanto possa fare io. Mi piacerebbe proprio che questa mia barca fosse provata da tipi come Straulino: il loro giudizio mi interesserebbe.

 

Tra le barche progettate da Giulio Cesare Carcano ci sono il Vampa, Vihuela e Vanessa.

 

GdV: Un’altra accusa che le viene mossa è quella di costruire barche a dislocamento molto leggero, barche adatte a triangoli e non a regate lunghe e impegnative.
CARCANO: Certo che se si pensa di fare una barca altamente competitiva per una regata breve o di triangolo non si fa una barca buona per il giro del mondo. Tuttavia le mie barche sono strutturalmente molto robuste, anche come attrezzatura, e ciò è stato ampiamente dimostrato in questi anni di regate. Salvo la rottura di una strallo in una Middle Sea Race e la rottura di un albero durante una passeggiata, incidente dovuto alla cattiva regolazione delle sartie, le mie barche non hanno avuto altre avarie importanti. Certo che quando una barca è leggera anche il suo armamento è leggero: l’equilibrio del rapporto va sempre salvato. Comunque, se vuol saperlo, mi accusano anche di altre cose: per esempio, mi è capitato di leggere che le mie barche, e il Vihuela in particolare, vanno forte solamente con le andature portanti. Ridicolo. Il punto di forza del Vihuela, come si è visto a Marsiglia e alle selezioni di Porto Cervo, è proprio l’andatura di bolina dove riesce a stringere più delle altre senza perdere in velocità. Le dirò che durante la progettazione mi preoccupo soprattutto che una barca vada forte in «salita». Se poi va bene nelle altre andature tanto meglio. Mi accusano anche di fare barche con poca vela. Una caratteristica delle mie progettazioni è quella di fare andar bene le barche con molto vento. Una barca da vento, se ha un buon equipaggio e buone vele, può difendersi; in caso contrario non può proprio fare nulla.

GdV: Lei, che tra l’altro avrebbe dovuto progettare un eventuale 12 metri italiano per la Coppa America, pensa che questa famosa manifestazione porti benefici alla vela «normale»?
CARCANO: La Coppa dell’America porta alla vela gli stessi benefici che la Ferrari formula 1 porta alle auto normali: questo però non vuol dire che non bisogna avere il massimo rispetto della Coppa dell’America da una parte e della Ferrari dall’altra.

GdV: Mentre negli altri campi della tecnologia si è molto avanzati, non le pare che nella vela i progressi appaiano minori?
CARCANO: In parte è vero. Ma questo perché il problema è molto più difficile di quello che può sembrare a prima vista. Prendiamo, per esempio, la vasca. E’ un mezzo utilissimo, al quale non si può negare una sua validità, ma è uno strumento a doppio taglio e di difficile interpretazione. Se noi poniamo in vasca i modelli di due barche con rating 40, per esempio quello del Vihuela e quello di un Mandrake ingrandito, avremo risultati diversi, ma non sapremo scientificamente quale delle due barche è la migliore, perchè il comportamento di una barca va riferito al mare, con tutte le sue immense variazioni, e al vento che incontrerà: un fattore ancora più variabile. In vasca, cioè, non si riescono a ricreare tutte quelle condizioni che si possono trovare in mare. Non è come nella galleria del vento, dove è possibile ricreare il vortice che una macchina, una moto incontreranno in strada.

 

Un giovane Giulio Cesare Carcano.

 

GdV: Cosa può dire ai giovani velisti?
CARCANO: Tante cose… Ma comincerei col rilevare che in Italia purtroppo c’è una mentalità sbagliata. Se due velisti hanno una barca della stessa classe dovrebbero spesso uscire assieme, provare e riprovare vele, attrezzature e tutto. Che questo sistema dia risultati ampiamente positivi io l’ho constatato quando correvo nei 5,50. Un anno avevo qui sul lago il Volpina II e il Volpina III e ho passato le mie ferie in agosto provando e riprovando. Ho ancora qui i quaderni sui quali ho annotato tutto. A fine mese sono andato con il Volpina III, che era la barca migliore, a Santa Margherita per una regata dove ho incontrato i soliti amici, Oberti, Croce, Reggio, Salata. Ho fatto sei regate e ho fatto sei primi, le assicuro con estrema facilità, perché la barca era veramente a punto. In Italia invece c’è l’abitudine di mettere a punto la barca in regata, il che è meglio di niente, ma non fornisce certo i risultati che danno le prove che io suggerisco. Da noi, se un velista propone a un amico delle prove a due, l’amico pensa subito: «Quello lì mi frega, non va certo come dovrebbe andare, lo fa apposta per farmi credere che la mia barca va più forte eccetera… ».

GdV: Una curiosità: perché i nomi delle sue barche iniziano tutti con la «V» e finiscono con la «A»?
CARCANO: Niente di misterioso. Semplicemente che quando ho fatto il mio primo 5,50 non sapevo come chiamarlo. Una coppia di miei amici avevano una figlia che noi affettuosamente chiamavamo Volpina. E’ stata questa bambina che mi ha chiesto di chiamare la barca con il suo soprannome. Visto che il nome, in fondo, aveva portato buono, ho proseguito con questa che è diventata una regola. Questa è la semplice storia dei Villanella, Veronica, Vanilla, Vihuela, Vanessa, Vibrissa

 

Vanessa, prima classe IOR di 15 metri realizzato nel 1975 dal cantiere Gallinari di Anzio, in lamellare di mogano, porta la firma di Giulio Cesare Carcano, uno dei più geniali progettisti italiani. Patrizio Bertelli l’ha restaurata e riportata all’antico splendore.

Intervista di Giovanni Garassino


NDR – Giulio Cesare Carcano è morto il 14 settembre 2005, all’età di 94 anni, nella sua casa di Mandello Lario.


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1 commento su “1975. Intervista a Giulio Cesare Carcano”

  1. Gianni Cariboni

    L’ingegnere era un genio, ho avuto l’onore di andare in barca con lui, di assorbire la sua filosofia progettuale. Un grandissimo uomo, un grandissimo progettista, grazie di aver fatto parte della mia giovinezza

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