2004. Olin Stephens, la storia delle barche a vela è qui
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Olin Stephens, la storia delle barche a vela è qui
Tratto dal Giornale della Vela del 2004, Anno 30, n. 8, settembre, pag 66-73.
La storia di Olin Stephens, il progettista più famoso del mondo che festeggia 75 anni di professione. Un viaggio tra le barche che hanno fatto la storia dello yachting, dagli anni ’30 agli anni ’80. Tra Coppa America, i suoi mitici Swan e…
Inseguendo un sogno
È il progettista più famoso al mondo, e in 75 anni ha disegnato le barche che hanno fatto la storia della vela. Ecco la sua vita…
Mi considero un uomo fortunato perché ho sempre avuto dei sogni da inseguire. Chi parla è Olin J. Stephens II, il più grande progettista navale della nostra epoca. Una vita trascorsa al tavolo da disegno e più ancora sull’acqua, a studiare le forme perfette della barca ideale. Sparkman & Stephens, lo studio di yacht design da lui fondato sulla “Quinta” di New York, festeggia quest’anno il settantacinquesimo compleanno. Per celebrarlo si è messa in moto una straordinaria macchina organizzativa che, a luglio, ha richiamato nei templi dello yachting americano i nomi più illustri della vela. Padroni di casa sono stati Olin J. Stephens II e Bruce Johnson, il passato e il futuro dello studio di architettura navale più celebre al mondo. Ma poco prima che iniziassero i festeggiamenti Olin Stephens ha fatto “una scappata” a Porto Santo Stefano per non mancare all’appuntamento annuale con le vele d’epoca dell’Argentario Sailing Week. Quest’anno poi, oltre a timonare Al Na’lr III, barca vincitrice nella categoria classici, doveva anche firmare i volumi della sua autobiografia, da poco pubblicata in italiano; una scusa in più per affrontare il viaggio.
Una passione che nasce da ragazzo
La vita e le barche sono per Olin Stephens un tutt’uno di cui neanche lui riesce a ritagliare i confini: un indivisibile binomio che è già leggenda. Nato nel 1908 a New York, Olin comincia a navigare sin da ragazzino sul Lake George, con il padre e il fratello Rod, che con lui dividerà la passione per la vela e le regate. Quella di disegnare barche non è stata una scelta dettata dalla ragione o dall’interesse, quanto dal bisogno, innato, di soddisfare un istinto pulsante e mai sopito.
A bordo di Cork, il primo sloop di famiglia, Olin e Rod imparano i rudimenti della vela, navigando nella baia di Cape Cod. Le linee d’acqua, le forme della carena e la loro influenza sulle prestazioni attirano l’interesse del giovane Olin per non abbandonarlo mai più. Come tutte le persone dotate di un’intelligenza superiore e di un fiuto naturale, Olin era insofferente tra le mura dell’autorevole MIT, costretto a un’educazione rigida e manualistica: la sua insaziabile fame di conoscenza non poteva essere soddisfatta dall’insegnamento scolastico, ma dall’apprendimento sul campo. La lacuna matematica e stata compensata dall’esperienza in mare, da intuizioni geniali e, come lui stesso ammette, da un “pizzico di fortuna”.
Con tanta forza e una punta di “cinismo” …”E’ terribile ammetterlo ma la guerra ci ha permesso di sopravvivere in un momento in cui gli altri cantieri chiudevano, grazie alle commesse militari“‘. Lo studio supera la Grande Depressione e una guerra devastante, per arrivare indenne ai giorni nostri. Illustrare la produzione di Stephens in poche righe è un’impresa titanica: più di quattromila progetti, centinaia di scafi vincenti, sei Defender di Coppa America: i celebri Swan, tre barche vittoriose alla Whitbread (tra cui Sayula II), e ancora i 6, gli 8 e i 12 Metri S.I. Olin Stephens è stato tra i fondatori del sistema di stazza IOR condividendone i successi e i limiti e oggi partecipa attivamente al perfezionamento dei regolamenti esistenti. Scrive libri e tiene lezioni e conferenze, entusiasmando i giovani studenti che pendono dalle sue labbra; ancora adesso, nonostante i grandi cambiamenti avvenuti nel mondo della progettazione il suo parere è tenuto in grande considerazione e la sua bocciatura scotta come fuoco. Dall’alto di un età e di un’esperienza che suscitano ammirazione e rispetto, Olin Stephens è libero di raccontare e di raccontarsi senza falsi pudori, se non quelli naturalmente dettati dalla sua indole riservata.
Nel 1929 nasce lo studio Sparkman & Stephens
Era il 1929, anno della Grande Depressione e Olin, aveva appena fondato, insieme con l’amico di famiglia, Drake Sparkman, il famoso studio Sparkman & Stephens di New York, che proprio quest’anno celebra il suo settantacinquesimo anniversario. La prima commessa è per una classe di piccoli scafi One Design per la Junior Yacht Racing Association, del Long Island Sound. Affidare nelle mani di un giovane progettista la realizzazione di ben 20 unità non era responsabilità da poco ma Drake Sparkman lasciò fare, fidandosi ciecamente del genio del suo pupillo. Quando si alzava dal tavolo da disegno, Olin lo faceva per visitare la redazione del giornale Yachting. che sorgeva nello stesso edificio. Li, tramite la raccomandazione di Sam Wetherill, riuscì a farsi invitare a bordo di Malabar IX ed ebbe l’opportunità di regatare insieme con il “mitico” John Alden nella Bermuda Race del 1929. Le ottime prestazioni delle barche firmate dal giovane designer sono il suo miglior biglietto da visita e le commesse aumentano. Il lavoro procede bene e le soddisfazioni non mancano, specialmente nella Classe degli 8 Metri S.l., dove Conewago s’impone sul resto della flotta, ma Olin era impaziente di spiccare il salto verso il mondo delle grandi regate internazionali.
L’inizio di una carriera leggendaria
Il progetto che farà da trampolino di lancio verso una carriera leggendaria è certamente quello di Dorade: commissionata dal padre, che credeva fortemente nelle capacità dei suoi due ragazzi, la barca segna un punto di non ritorno nel mondo della progettazione e dopo la vittoria della regata transatlantica Newport-Plymouth, terminata con due giorni di anticipo sulle concorrenti, il nome di Olin è sulla bocca di tutti.
“Il disegno di Dorade era molto diverso da quello delle golette di Alden o di Hand, ma non era quel rivoluzionario progetto che in tanti hanno applaudito” commenta Stephens: “si basava sul metodo di costruzione di Herreshoff, aveva un baglio ridotto e un pescaggio superiore, rispetto ai canoni dell’epoca ma se osserviamo il modello di Dora (G.L. Watson, 1890), esposto nelle sale del New York Yacht Club, troveremo delle somiglianze straordinarie“.
Forse non tutti sanno che Dorade fu la prima barca a montare le cosiddette “maniche a vento” (che in inglese si chiamano Dorade, per l’appunto), escogitate da Rod. Se chiedete a Olin quali sono le barche cui è più legato risponderà “Dorade perché è stata la prima imbarcazione di successo e Stormy Weather, perché ha riportato a casa mio fratello Rod sano e salvo da tante regate d’altura”. Eppure, il suo giudizio asciutto e imparziale non risparmia delle critiche: “Nonostante la velocità e la morbidezza di Dorade sull’onda, devo ammettere che il suo rollio divenne proverbiale e che era spesso molto bagnata”.
Comunque sia, le imprese di Dorade avevano fatto il giro del mondo e dopo la conquista del Fastnet britannico arriva il tanto atteso successo internazionale: rientrato in America a bordo di un transatlantico, l’equipaggio di Dorade riceve, infatti, l’accoglienza riservata agli eroi e sfila in macchina, sotto una pioggia di coriandoli, per le strade di New York.
Nel 1935 Stormy Weather segue le orme di Dorade, bissandone i successi. Nel 1937 Olin firma, insieme con il maestro Starling Burgess, il “Super J” Ranger, l’ultimo dei J-Class chiamato a difendere la Coppa America dagli attacchi dell’inglese Endeavour II. L’anziano progettista era un po’ riluttante nei confronti dei test in vasca dei modellini in scala piccola ma l’entusiasmo e le capacità del giovane Stephens lo convinsero a provare. Ognuno avrebbe prodotto tre modelli ma la paternità del prescelto sarebbe rimasta segreta per sempre. Questi erano gli accordi, ma Olin non li rispettò: dopo la morte di Starling Burgess, infatti, quando Mike Vanderbilt dichiarò che la barca era nata da un progetto di Stephens, lui si affrettò a smentire la notizia, svelando così il padre dell’ultimo J-Class. I racconti della vita quotidiana ai tempi di Ranger sono un illuminante spaccato di una realtà che poco ha a che vedere con l’attuale Coppa America: il pozzetto, formato anche da Gertrude Vanderbilt, nel ruolo di osservatrice, si consultava in continuazione sulla strategia di bordo e Olin doveva essere sempre pronto a rispondere alle continue domande di Harold “Mike” Vanderbilt: “Viriamo o continuiamo così?“. L’equipaggio era costituito da sedici massicci ma “anonimi” pescatori norvegesi, che solo d’estate “praticavano lo yachting”.
Nascono barche indimenticabili
Quando non erano in regata i fratelli Stephens lavoravano sodo. Olin preferiva il tavolo da disegno, mentre Rod era perennemente in viaggio per controllare i lavori dei cantieri. Chi lo ha conosciuto non può dimenticare la pignoleria con cui annotava tutti i dettagli in un inseparabile taccuino giallo, ma anche la sua straordinaria bravura nell’armare le barche, nell’ottimizzare un rig, nell’inventare nuove soluzioni. Nel 1938 Sparkman & Stephens firma i suoi primi 12 Metri S.l. Nayala e Northern Light, ma anche Baruna e Blitzen, il fortunato 6 Metri S.I. Goose e ancora Vim, il 12 Metri S.I. che vinse 21 regate su 28 disputate. Nel 1958, quando i 12 Metri vengono scelti per correre l’America’s Cup, Olin Stephens è libero di abbandonare i progetti militari e ritornare alle familiari linee d’acqua di yacht a vela. Constellation e Columbia; Intrepid e Liberty, Dennis Conner, Bus Mosbacher e Ted Turner: nomi che chiunque ami la vela associa con facilità a sfide indimenticabili e alle più emozionanti pagine della recente storia di Coppa America.
Olin Stephens ha vissuto da privilegiato: durante le match race dormiva a bordo di Vara, la navetta appoggio dei Vanderbilt, ma allo jogging mattutino con il magnate della finanza preferiva il lauto buffet della prima colazione. Era tenuto in alta considerazione dai personaggi eccellenti e fu addirittura presentato a Nixon, dall’allora primo ministro inglese, come “l’uomo che conta“. La sua vita è stata costellata di successi, fama e gioie, ma gli eventi tragici non lo hanno risparmiato, come la prematura scomparsa della moglie Sue e poi del fratello Ron.
Un uomo di classe e cultura amante dell’Italia
Chi lo conosce traccia il profilo di un uomo di gran classe e cultura, del tutto refrattario alle luci dei riflettori, semplice e umile, che tende a rifuggire dalle domande troppo personali e a illuminarsi di fronte a quelle tecniche. Nel 1978 arriva il ritiro dalla professione ma non dall’attività, come dimostra l’agenda personale di Olin Stephens, talmente fitta d’impegni che si accavallano da un punto all’altro del globo, da far girare la testa: il restauro di una sua barca, una regata, i match di Coppa America in Nuova Zelanda, la nascita o la revisione di un sistema di stazza, la stesura di un libro. Tra tutti questi impegni Olin Stephens trova comunque il tempo per viaggiare in paesi sconosciuti, per visitare i musei o per godersi un buon bicchiere di vino (rosso) in compagnia dei suoi innumerevoli amici.
L’Italia su di lui ha un fascino magnetico, per via della storia, dell’arte e della letteratura che qui respira e su cui poi a lungo riflette, indugia, commenta. Ma l’Italia è innanzitutto Porto Santo Stefano e il Cantiere Navale dell’Argentario, “una seconda casa“, come lui stesso ammette. Lì ha provato l’emozione di assistere al secondo varo delle sue barche più amate (Dorade, Stormy Weather, Sonny, Nayala), dopo averne seguito il restauro dal suo residence negli USA, Iì ha incontrato amici nuovi eppur già ‘vecchi’ e sinceri: lì ha scelto di trascorre un mese da solo ed è sempre lì che vorrebbe potersi fermare un po’ più a lungo, “per imparare la lingua… “. Ma è già tempo di ripartire: altri luoghi e altri amici lo attendono con trepidazione.
Bianca Ascenti
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1 commento su “2004. Olin Stephens, la storia delle barche a vela è qui”
E che dire di Mabelle, Levantades, Tarantella, Nita…..solo per citarne qualcuno