2021. Noi più bravi, loro più veloci

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Noi più bravi, loro più veloci

Tratto dal Giornale della Vela del 2021, Anno 47, n. 03, aprile, pag 68-82.

Luna Rossa non ce la fa a vincere la Coppa America dove , come sempre vince il team (New Zealand) che ha la barca più veloce e non solo il più bravo tatticamente (Luna Rossa). Ecco perché è finita così.


Luna Rossa era bellissima, il suo equipaggio credibile e all’altezza della sfida. Ma in Coppa America, come sempre, vince il team che ha la barca più veloce e non solo il più bravo tatticamente. Questa barca ha fatto sognare di nuovo milioni di italiani e pazienza se non ce l’ha fatta. È stata una sfida credibile, molto italiana, che è riuscita a riaccendere il tifo dei velisti ma soprattutto anche quello dei non velisti. 

Nessuna barca italiana ci era mai andata così vicina. Eppure ancora una volta Team New Zealand è apparso così irraggiungibile. Si è chiusa con questo sentimento dolce amaro la finale di Coppa America per Luna Rossa, la seconda della sua storia e la terza di un equipaggio italiano. Nessun team tricolore prima d’ora si era spinto fino a vincere tre regate in finale. Eppure resta in bocca quel senso di incompiuto, quella sensazione che ancora una volta è mancato l’ultimo passo. Luna Rossa ha portato a termine una campagna solida, credibile, mettendo in acqua una barca performante e competitiva che ha sbaragliato gli altri due challenger senza appello. Un mezzo prima di tutto affidabile ed equilibrato, che puntava su alcune zone di forza come la manovrabilità e le capacità di partenza e tattiche del pozzetto. Tutte cose che in acqua, anche contro Team New Zealand, si sono viste eccome. Ma come spesso accade in Coppa America, a vincere alla fine è il mezzo più veloce. E quello dei kiwi lo era.

 

Ok, abbiamo perso ma…

In acqua l’equipaggio di Luna Rossa è apparso forse anche superiore. Su 10 partenze della serie finale, almeno 7 sono state vinte dalla barca italiana, che è molto spesso stata in vantaggio al primo incrocio e al primo gate di bolina. Epica la regata numero 9 della serie, con Luna Rossa capace di tenere i gomiti larghi, contro una barca nettamente più veloce, e dare lezione di match race ai kiwi per il 90% della regata, per poi venire beffata da un salto di vento. E il succo della sfida è stato tutto qui. Peter Burling e soci potevano permettersi di non vincere la partenza, di navigare sotto i rifiuti, di non prendere tutti i salti di vento, eppure rimanevano attaccati, costantemente minacciosi e a poche decine di metri dalla barca italiana. Ogni decisione tattica di Luna Rossa durante la finale è stata presa sempre sul filo del rasoio, sempre cercando di evitare il sorpasso dell’avversario perché il mezzo non consentiva mai di allungare quanto bastava per potere controllare meglio le regate in vantaggio. In una situazione come questa, alla minima sbavatura dei nostri Team New Zealand puniva l’AC 75 italiano con il sorpasso, proprio come avvenuto nella dolorosa race 9. Ci si è messa anche di mezzo un po’ di sfortuna, come il buco di vento in partenza di race 6, o quello alla bolina di race 8 quando Luna Rossa è finita in bonaccia cadendo dai foil quando aveva un vantaggio enorme. La serie è finita così per essere indirizzata verso la vittoria kiwi, anche perché i neozelandesi hanno mostrato una curva di crescita impressionante, e regata dopo regata hanno condotto la loro barca sempre meglio, anche con tecniche di conduzione fantasiose, come l’impressionante virata con rollio mostrata nelle giornate di vento leggero. La sensazione è comunque che l’equipaggio italiano sia stato quasi superiore alle stelle neozelandesi, almeno in diverse occasioni, insomma nessuno può certo dire che gli uomini di Luna Rossa non abbiano venduta cara la pelle. Se è stata regata vera e show in questa finale di Coppa il merito è della barca italiana che ha cercato in tutti i modi di tenerla aperta fino all’ultimo. Le previsioni di cappotto dei media neozelandesi sono infatti svanite subito. Resta però la sconfitta, che è alla fine lo stesso risultato di vent’anni fa pur arrivato con sfumature nettamente diverse. I kiwi hanno saputo osare di più sul design, hanno rischiato molto disegnando una barca parecchio complessa ma che alla fine ha funzionato meglio. I rischi si potevano pagare molto cari in questa Coppa America, come hanno dimostrato Ineos e American Magic che hanno puntato su barche sofisticate che si sono rivelate però un fallimento. Team New Zealand ha vinto la scommessa del design, inaugurando probabilmente una strada che vedrà lo scafo come parte molto più “attiva” nella performance della barca. Luna Rossa ha puntato invece su un mezzo che potesse diventare competitivo ma anche molto affidabile. Non a caso è stata la barca tra gli sfidanti che ha avuto la curva di crescita più costante e senza strappi. Una barca alla quale però mancava lo spunto finale per potere mettere l’equipaggio italiano nelle condizioni di giocarsela alla pari. Team New Zealand ha avviato un ciclo vincendo anche una scommessa generazionale. I neozelandesi già per la Coppa del 2017 hanno creduto in un team giovanissimo in acqua e a terra. È la vittoria di una generazione di fenomeni: Peter Burling (classe 1991), Blair Tuke (classe 1990), Josh Junior (1990), Andy Maloney (1991), per citare alcuni dei giovani talenti che erano a bordo. O come la giovane ingegnere delle performance Elise Beavis (classe 1994). Questi ragazzi, Elise non ha neanche 30 anni, hanno già vinto due volte la Coppa America. Sono i fenomeni della generazione di velisti 2.0. Dal 1995 a oggi in Coppa America i kiwi hanno quasi sempre avuto le barche più veloci, le più innovative, quelle con le tecniche di conduzione più fantasiose. Un dominio progettuale che dura da 26 anni e che, al momento, non sembra destinato a cadere.

 

Forse non sarà bella come Luna Rossa ma in fin dei conti l’estetica non conta nulla, conta solo la velocità e la barca di Team New Zealand era indiscutibilmente la più rapida.Tanto da rendere vana la stoica resistenza in acqua dell’equipaggio di Luna Rossa.

 

Anche i numeri dicono che…

Le differenze maggiori, emerse dall’analisi dei dati hanno mostrato due approcci differenti al design tra challenger e defender. Luna Rossa è apparsa come una barca con concetti alla base più tradizionali, improntati ad avere una barca performante di bolina, nel match race e nel vento leggero. Team New Zealand ha impostato il lavoro per creare una barca nata per correre senza compromessi. Ciò si nota guardando i numeri complessivi che riassumono le performance viste in acqua nelle 10 regate di finale. Te Rehutai (questo il nome della barca dei kiwi, in lingua maori “dove l’essenza dell’oceano rinvigorisce ed energizza la nostra forza e determinazione”) ha navigato con più velocità sia di bolina che di poppa, con Luna Rossa che è stata capace di difendersi di bolina con un angolo migliore, ma che in poppa ha dovuto solo lavorare con tattica sul vento e sul posizionamento, essendo l’avversario più veloce e capace di esprimere anche un angolo più basso. Particolarmente significativo per comprendere quanto accaduto nel corso della finale, è il dato dei metri percorsi dalle due barche. I 148 km percorsi di bolina da Te Rehutai trovano come contraltare i soli 142 di Luna Rossa, una differenza mediamente di 200 metri per ciascun lato di bolina, ma che ha superato i 350 nelle prove corse sotto i 9 nodi di vento, per poi annullarsi in quelle sopra gli 11. La forma dei foil di Luna Rossa a Y rovesciata, insieme all’utilizzo differenziale dei flap, consentiva al team italiano di contrastare in maniera più efficace lo scarroccio nel risalire il vento, rispetto ai neozelandesi in condizioni di poca pressione. E questo riusciva in gran parte a compensare il differenziale di velocità a sfavore. Ma quando il vento ha superato i 10-11 nodi di intensità, la differenza di metri percorsi diventava minima, mentre il delta di velocità in acqua rimaneva invariato, rendendo il gap prestazionale praticamente incolmabile per Luna Rossa. In poppa invece è stata una serie di scelte tattiche migliori volta per volta a consentire al team italiano di avere minori metri percorsi nonostante l’avversario fosse in grado di esprimere performance con circa 2.5 nodi di VMG di media migliore. Tale cifra è però una media di un valore cresciuto lungo la serie. Inizialmente infatti il vantaggio di VMG di New Zealand in questa andatura era di circa 0.7/1 nodo, ma la migliorata conduzione dei kiwi, frutto di una importante curva di apprendimento, fattore chiave sul risultato finale, ha prodotto una crescita di performance davvero significativa. Luna Rossa ha poi navigato con un’altezza media di volo minore ed un angolo di beccheggio più piatto (1.22 metri contro 1.44 e 1.5 gradi contro 2.65) a testimonianza di un lavoro importante di ottimizzazione su questo fronte, forse terreno che era ancora migliorabile per il defender. Quest’ultimo particolare aspetto si nota anche nei punti delle velocità massima assoluta della serie, ottenute da entrambi i team nella regata 2, nell’unico momento dove il vento ha superato i 15 nodi. In conclusione il progetto AC75 si è rivelato vincente in quanto capace di esprimere velocità simili a quanto visto coi multiscafi, ma con velocità di manovra tra il 90 e il 95% delle velocità target, al contrario del 70% degli AC50 di Bermuda e del 50% degli AC72 di San Francisco. La barca neozelandese è apparsa come il primo esemplare di una seconda iterazione del progetto AC75 e la curiosità per il futuro è vedere come saranno nelle prossime edizioni le successive iterazioni. Non è chiaro infatti ancora fino a dove possano spingersi queste barche, ma certamente hanno impresso un’accelerazione enorme a tutto il mondo della vela, perché dalla Coppa America l’onda lunga del cambiamento sembro andare in tutte le direzioni.

 

Ma adesso cosa succede a Luna Rossa?

Bertelli è pronto a lanciare un’altra sfida, che cambiamenti ci saranno nel team? Max Sirena non poteva che essere più chiaro non appena finita l’ultima regata della Coppa America: “Patrizio Bertelli ha intenzione di andare avanti, nelle prossime settimane capiamo come sarà il futuro della Coppa e speriamo di vedere Luna Rossa nuovamente in acqua presto”. Gli ha fatto eco Francesco Bruni, il timoniere. “Spero proprio che possiamo avere subito una nuova opportunità”. Insomma Luna Rossa c’è, prosegue la sua avventura in Coppa America, addirittura verso una settima sfida i cui contorni saranno probabilmente presto noti. Nel frattempo il nuovo Challenger of Record è Ineos, gli AC 75 sono confermati e Team New Zealand entro qualche mese renderà noto il Protocollo, sede e data della prossima Coppa. Si parla già di eventi di avvicinamento, un po’ come le tappe di un mondiale, prima della Coppa America vera e propria, un fatto che certamente ne aumenterebbe ulteriormente l’appeal e l’interesse da parte di eventuali paesi ospitanti. E Luna Rossa è affacciata alla finestra a capire cosa succede nelle prossime settimane, in attesa di conoscere i dettagli del nuovo Protocollo. Inevitabile per il sindacato italiano aprire una riflessione su quella che potrebbe essere la composizione del team futuro, a partire dai progettisti che sono i primi a dovere essere messi sotto contratto in un team da Coppa America. Il lavoro svolto da Martin Fisher, Horacio Carabelli, e da tutti gli altri progettisti del team è stato importante dato quello che si è visto in acqua. Ma è innegabile che è mancato qualcosa. Il know how degli AC 75 adesso è più diffuso, e c’è da scommettere che Max Sirena cercherà di aggiungere qualche elemento per potere fare quel passo in avanti al progetto della prossima Luna Rossa. Dal punto di vista della progettazione occorre indubbiamente progredire se si vuole veramente portare in Italia la Coppa America, anche perché alle sfide italiane che sono arrivate in finale, è sempre mancato quel guizzo per avere un mezzo alla pari o superiore all’avversario, fu così per il Moro di Venezia nel 1992 come per le due Luna Rossa, quella del 2000 che perse 5-0 e quest’ultima. Una tradizione assolutamente da interrompere arrivati a questo punto. Ma un mezzo dalle soluzioni innovative dipende anche dai velisti. Come avviene in Formula 1, ormai i velisti della Coppa America devono essere parte del progetto, perché è anche sulle loro caratteristiche, sulle loro intuizioni su come immaginano la conduzione della barca, che nasce il disegno. L’Italia ha la fortuna di avere nella classe Nacra 17, ma non solo, anche alcuni velisti/ingegneri di altissimo profilo come Vittorio Bissaro, come Ruggero Tita, o come il giovanissimo Ettore Botticini, che potrebbero portare nel team oltre che forze fresche anche idee nuove su come sviluppare la barca. La strada tracciata da Team New Zealand, ovvero innovazione progettuale e rinnovamento puntando sui giovani, può essere seguita anche da Luna Rossa. In futuro potrebbe essere un giovane velista come quelli citati ad affiancare Francesco Bruni o l’australiano James Spithill se verrà riconfermato? Presto per dirlo, anche perché Spithill ha dimostrato professionalità, consueta, e grande attaccamento alla causa, inclusi veri e propri messaggi d’amore verso l’Italia. Le regole del gioco però sembrano cambiate, gli AC 75 hanno modificato il modo di regatare e le abilità tecniche e tattiche di Bruni e Spithill, veri assi dal match race, potrebbero non bastare più se si vuole puntare al massimo risultato. Checco è certamente l’anima del gruppo, Spithill non è da meno, ma vederli ancora insieme sulla prossima Luna Rossa, non è così scontato, soprattutto nel caso dell’australiano, se Luna Rossa deciderà di fare ancora uno step avanti nel progetto “New Generation”, in cui Sirena sembrava credere molto fin dall’inizio.

 

Peter Burling la alza ancora, la seconda volta dopo Bermuda 2017. A soli 30 anni il giovane timoniere neozelandese ha già vinto due volte l’America’s Cup per il suo paese, trofei che si aggiungono all’oro e all’argento olimpico in 49er, oltre che a numerosi podi mondiali nella medesima classe e in Moth.

 

 

Ma le barche sono ancora barche?

Volano a 35 nodi di bolina, ne fanno 50 in poppa, gli AC 75 sono dei mostri a vela. “Occorrerà pensare a un nome da dare agli AC 75, dato che il concetto di barche classico non è più adatto”, ci ha detto in una delle nostre tante puntate de Il Giornale della Coppa (online su Facebook e YouTube del Giornale della Vela e nell’area eventi della Milano Yachting Week) Luca Bassani, il fondatore del cantiere Wally, uno che di innovazione se ne intende. E in effetti è così, gli AC 75 hanno rivoluzionato il concetto di barche inteso nel senso comune, proiettando la Coppa America nel futuro tramite dei mezzi mai visti prima. Certamente è cambiato il concetto di scafo. Rimanendo per la maggior parte del tempo sospeso in aria, o a sfiorare l’acqua, lo scafo deve necessariamente rispondere a regole diverse rispetto a una canonica barca a chiglia. Acqua e aria infatti non hanno la stessa densità, i volumi cambiano, ma la cosa più rivoluzionaria è che gli scafi degli AC 75 contribuiscono di fatto alla propulsione della barca. L’AC 75 dei neozelandesi, con la sua particolare carena scavata, con la sua forma si auto creava della portanza che lo aiutava a rimanere in aria, potendo così montare dei foil più piccoli, con minore spinta verticale che veniva compensata dallo scafo, e veloci. Lo scafo così non è concepito solo per avere la minore resistenza aerodinamica, ma anche per contribuire attivamente alle performance. E al tempo stesso non si può considerare la scocca di un AC 75 separato dal suo piano velico o dalle sue appendici, perché ogni elemento è una conseguenza dell’altro. Per questo i velisti di questa Coppa hanno parlato spesso di “pacchetto” quando parlano delle barche. Non si parla più solo dello scafo, ma ogni AC 75 ha una determinata forma di scafo perché ha un certo tipo di foil, e viceversa, e da questi elementi scaturisce un determinato piano velico.7
È un concetto diverso rispetto a quello dell’idea di una barca normale, anche da regata. Per questo va valutata la barca come “pacchetto” ed è fuorviante concentrarsi solo sullo scafo. Al netto di questa complessità, concettuale e pratica, gli AC 75 sono i vincitori di questa Coppa America. Hanno rivoluzionato il modo di fare match race portandolo su un nuovo livello ma senza perdere lo show del corpo a corpo. Alcune regate della finale di Prada Cup e di quella dell’America’s Cup entrano di diritto nella storia del trofeo. L’imprevedibilità di queste barche e delle azioni che possono sviluppare sull’acqua faceva si che non si faceva in tempo ad abituarsi a regate senza sorpassi, con il vincente in partenza che lo era anche all’arrivo, che nel match successivo arrivavano continui cambi al vertice. Da un giorno all’altro poche ottimizzazioni alle vele o alle regolazioni potevano fare aumentare o peggiorare le performance anche in modo importante, ma è proprio la complessità di questi mezzi che li ha resi affascinanti. Per la prima volta possiamo davvero applicare a una classe di barche a vela, o chiamatele come volete, il termine tanto abusato in passato di Formula 1 del mare. Gli AC 75 saranno le star anche della prossima Coppa America, pur con le ovvie eventuali novità alla boxe rules. “Sarebbe interessante capire se in futuro ci sarà la possibilità di stivare in modo aerodinamico da qualche parte un Code Zero, da usare in caso di caduta dei foil per ripartire velocemente e non falsare la regata”, ci ha raccontato Paolo Semeraro, un altro degli ospiti de Il Giornale della Coppa. “In alternativa alzerei il limite del vento”, sostiene invece Bassani, “alzando un po’ il limite minimo non c’è il problema della caduta dai foil e aumentando il limite massimo porteremmo queste barche ad esprimere i loro potenziali veri di velocità ancora inespressi. Fare cambiare anche i foil da un giorno all’altro è un’altra delle modifiche che secondo me ha un senso” ci ha spiegato Bassani. Insomma l’idea è chiara: la Coppa ha voluto lanciare questo concetto di barche che stanno rivoluzionando la vela e il modo di regatare in Coppa America, sono delle vere F1 del mare, lasciamole esprimere.

 

Luna Rossa.

 

Nasce il velista che guarda anche “sotto”

Cambiano in modo radicale le barche e anche i velisti. Team New Zealand ha puntato su una generazione di velisti nati tutti dopo gli anni ’90, abituati alla velocità fin da piccoli e a navigare sulle barche foil da quando hanno iniziato, come Peter Burling. Luna Rossa ha messo in campo alcuni giovani, affidando però i posti di comando del pozzetto a velisti della vecchia guardia che si sono riadattati alla nuova modalità foil. Checco Bruni negli anni è diventato uno dei grandi interpreti della classe Moth per esempio. In cosa sono diversi i velisti degli AC 75 e in generale quelli che regatano sui foiler? La principale differenza è quella di non pensare più in senso bidimensionale. Non conta più solo l’orza poggia, ma anche l’altezza del volo, la regolazione del flap dei foil. Per questo il velista degli AC 75 deve ragionare in tre dimensioni, aggiungendo tutta una serie di “skills” alle sue capacità tecniche. Il velista quindi non guarda più solo avanti ma deve guardare anche a tutto ciò che succede sotto la barca. Non a caso il timoniere di sottovento di Luna Rossa, che si occupava del trim dei foil, non staccava un attimo lo sguardo dall’acqua per monitorare il comportamento dell’appendice. Non è solo questa la nuova capacità richiesta ai velisti della Coppa. Le capacità decisionali devono essere in grado di valutare le situazioni in regata in poche frazioni di secondo. I rifiuti, che un tempo in poppa si davano navigando dietro l’avversario, con il vento apparente che sugli AC 75 è sempre in prua, adesso li dà la barca che al lasco è davanti. Non bisogna considerare solo il cono di aria sporca delle vele, ma è un rifiuto anche la scia della barca che può mandare in stallo il timone alla barca che segue. Sugli AC 75 poi ogni velista è caricato da una serie di compiti: il timoniere fa spesso anche il carrello della randa e si occupa dei movimenti degli arm o anche di regolare l’altezza del volo. Il randista su Luna Rossa, Pietro Sibello, è anche tattico, i grinders regolano anche il fiocco. Si tratta solo dell’inizio di una rivoluzione, l’avvento di una cultura del “vento apparente” che sta cambiando in modo profondo non solo la Coppa ma la vela in generale.

Luca Oriani

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1 commento su “2021. Noi più bravi, loro più veloci”

  1. No, mi spiace, ma in gara 9 non fummo “traditi” da un salto di vento. Errore madornale di Bruni su una jibe che non si poteva fare, stesso errore dei kiwi sulla stessa boa. Quello fu solo il colpo di grazia. Altri due errori di Bruni: il ritardo sulla manovra dei foil che portarono il punteggio sul due pari, l’unico che ha ammesso e poi quella litigata con spit che voleva mantenere la copertura e sempre Bruni che non aveva visuale diretta decise di splittare, l’unico sorpasso di tutta la serie. Li si è rotto qualcosa, non era più un equipaggio, c’erano uno spacchiuso che ha perso la brocca e gli altri. Poteva finire in modo diverso? Forse, sta che abbiamo regalato tre match ai kiwi. Con gli AC75 si decide tutto in partenza e al primo incrocio e Spit ha dato lezioni di match race a Tutti.

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