2008. Joyon, così si diventa un mostro sacro della vela
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Joyon, così si diventa un mostro sacro della vela
Tratto dal Giornale della Vela del 2008, Anno 34, n. 02, marzo, pag 60-68 .
A 51 anni il navigatore solitario francese Francois Joyon polverizza il record del Giro del Mondo in 51 giorni a più di 19 nodi di media. Vi raccontiamo la storia di uno dei mostri sacri della vela mondiale, massiccio come una pietra grezza con gli occhi a forma di alga marina.
Il racconto del record del giro del mondo e del suo eroe
È il marinaio meno affascinante del globo, l’uomo che ha polverizzato il record del giro del mondo in solitario, in poco più di 57 giorni, alla fantastica media di oltre 19 nodi all’ora. Francis Joyon è massiccio come una pietra grezza, ha gli occhi a forma di alga marina e non è neppure un ragazzino, ha 51 anni.
Per fargli dire una parola bisogna tirargliela fuori col cavatappi, fugge i giornalisti come la peste, “mi fanno venire l’ansia” dice. Eppure Francis Joyon dal 21 gennaio, quando ha tagliato il traguardo a Brest in Bretagna, è il mito, l’eroe di tutti i navigatori del mondo, l’uomo che ha stracciato, migliorandolo di 14 giorni, il record stabilito da Ellen MacArthur nel 2005. Questa leggenda vivente è nato nella grande piana agricola della piccola e sperduta regione francese della Eure et Loir. Da adolescente vive le avventure di mare per procura, divorando i libri di Moitessier (grande navigatore hippy francese degli anni ’60, ndr). Scopre il mare, a 17 anni, andando in bici sino a Concarneau, in Bretagna, dove ha sede la scuola di vela più famosa del mondo, i Glenans. Finalmente va per mare, impara a fare i nodi e a costruire uno scafo. Ha già 32 anni quando comincia a trafficare seriamente con le barche. E capita su Elf Aquitaine, il catamarano ex Marc Pajot, che è un vero ferrovecchio. Ma Joyon non si perde d’animo, memore del suo precedente mestiere di carpentiere, recupera le traverse di un altro tri, il Roget Gallet, e issa le vele di Biotherm. Sembra incredibile, ma la sua prima barca sta a galla. Ci navigherà per otto anni, nessuna vittoria, molte rotture. Lo sponsor, sfiduciato gli regala il trimarano di 60 piedi con cui nel 2000 si aggiudica la Transat inglese (ex Ostar), facendo pure il record. Sempre solo, senza un soldo, senza assistenza, senza compiangersi. Non è uomo di comunicazione, un vero disastro per uno sponsor. Sembra che faccia apposta a fare l’antipersonaggio. Così lo ritroviamo nell’inverno del 2003 su di un piccolo gommone, mentre pittura lo scafo del trimarano del 1985, ex di Olivier de Kersauson, con i colori di uno sponsor che è finalmente riuscito a trovare, Idec. Con questa barca, senza modifica alcuna, senza l’aiuto di nessuno a terra, tantomeno di un meteorologo, Joyon gira intorno al mondo da solo in 72 giorni, senza scalo, stracciando il precedente record del 1989. La sera dopo il suo arrivo, non partecipa ai festeggiamenti, è sul tetto della sua casa a rimpiazzare le tegole che l’inverno si era portato via. Un anno dopo il record sarà battuto da Ellen MacArthur. Di un solo giorno. Nel 2005 si aggiudica anche il record dell’Atlantico, ma poco tempo dopo il suo vecchio trimarano si schianta sulle rocce di Pointe de Penmarc’h, in Bretagna. È la sua fortuna. Francis Joyon perde la barca, ma ha trovato uno sponsor, Idec, che non gli chiede nulla se non di fare quello che sa fare, andare per gli oceani. E cercare di battere nuovamente il record del giro del mondo in solitario, che gli ha strappato la MacArthur.
Nasce l’incredibile impresa
Così nel 2006 prende vita il progetto Giro del Mondo 2007/08. Joyon si trova ad avere, per la prima volta nella sua vita, un vero team professionale che lo supporta. E finalmente un nuovo trimarano costruito apposta per lui, come vuole lui. Non dovrà più navigare su di un ferrovecchio. La progettazione viene affidata al duo franco-inglese Benoit Cabaret e Nigel Irens. Sono loro ad aver disegnato la barca con la quale Ellen MacArthur ha battuto Joyon nel 2005. Per rendere vincente, sulla carta, il nuovo Idec giocano sulla lunghezza e sul galleggiamento. Sulla barca di Ellen (Castorama) avevano già allungato gli scafi: tre metri davanti e un metro dietro. Visto il buon risultato questa volta osano ancora di più. Idec sarà lungo ben 29,70 m contro i 22,90 di Castorama. Gli scafi saranno ancora più lunghi e, soprattutto, finissimi, come una lama di coltello. Il punto critico di un multiscafo oceanico è la stabilità longitudinale, più si riesce a mettere lunghezza davanti meglio è. Sulla barca della navigatrice inglese i progettisti si erano concentrati su questo aspetto, riuscendo ad aumentare la sicurezza, specialmente durante la pericolosa navigazione nei mari del sud. Su Idec, Cabaret e Irens, decidono di spingersi ancora più in là: lavorano sul passaggio dell’onda con mare formato. Riducono la resistenza all’acqua degli scafi, con lo scopo di aumentare la velocità, migliorando anche la navigazione con tempi duri. Gli skipper con mare grosso riducono la velatura per diminuire la velocità ma, quando entrano in una grossa onda, i tradizionali multi tendono ad accusare una vera e propria “frenata” piantando gli scafi nel cavo, con il rischio di ribaltarsi “da poppa verso prua”. Sul nuovo trimarano di Joyon si cerca di ritardare il più possibile la riduzione della tela e quindi della velocità, spostando più in là la pericolosa “frenata”. Ma c’è di più: quando il finissimo scafo centrale di Idec penetrerà poi nell’onda i progettisti vogliono che esca in modo più dolce, infilandosi e uscendo un po’ come fa un tappo di bottiglia, accelerando. Tutto questo non era mai stato realizzato concretamente su scafi così lunghi. Nelle simulazioni al computer Idec non è lo scafo più veloce possibile quando il mare è piatto, ma è incredibilmente rapido e sicuro quando il mare è molto grosso. Ed è dimostrato, le regate attorno al mondo, si vincono nei tempestosi mari del sud. La scommessa progettuale è grande. Su modelli teorici i progettisti pensano che Joyon possa battere il record di tre, quattro giorni al massimo.
Finalmente c’è un routeur
Per la prima volta per il progetto Idec 2007/2008 Francis può finalmente contare durante la navigazione, a caccia del record, dell’aiuto del migliore specialista di meteorologia oceanica del mondo, Jean-Yves Bernot, detto lo Stregone. Nella sua ventennale carriera ha assistito i migliori regatanti francesi e stranieri per le regate più prestigiose (Figaro, Vendée Globe, Volvo Ocean Race, ecc.) ed è autore di numerosi libri sull’argomento meteo. Regatante esperto, corre da più di vent’anni su qualsiasi imbarcazione che abbia uno, due o tre scafi. È stato artefice della vittoria francese nell’Admiral’s Cup. Ed era a bordo durante due giri del mondo in regata degli ultimi anni (The Race e Volvo Ocean Race). Il suo motto per i record attorno al mondo è “fai meno strada possibile, sempre. Con qualsiasi mare”.
Nessun motore a bordo
Joyon si affida, per la prima volta a esperti di ogni campo. Su una sola cosa è irremovibile e decide lui: a bordo non vuole il generatore per produrre energia. Si affida a un generatore eolico combinato con pannelli solari e a una pila a combustibile. All’arrivo spiegherà bene questa sua scelta ecologica: “Il sistema ha funzionato a meraviglia e avevo l’impressione di non inquinare. E poi, il motore fa rumore. Bisogna farlo girare per almeno due ore per ricaricare le batterie. Trovo tutto questo nocivo. Nel sud ero contento che tutto andasse bene e che non ero io ad alterare un ambiente che è rimasto come all’origine del mondo. Non ho lasciato alcuna traccia, nessun residuo. È stata una grande soddisfazione navigare a vela senza inquinare, mai”. In più risparmia circa 400 chili di peso.
La massima semplicità
Il navigatore francese durante la progettazione non ha messo il becco su nulla, se non richiesto di un parere. Escluso che sulle attrezzature e disposizioni del pozzetto. Joyon, ha voluto tutto all’insegna della massima semplicità, memore degli insegnamenti del più grande marinaio della storia, Eric Tabarly. Nessuna strumentazione elettronica in più oltre a ciò che è strettamente necessario, su Idec non c’è nulla di più di quello che è installato in un dieci metri da crociera. Il pozzetto di manovra e comando lo ha voluto il più piccolo e semplice possibile. “I limiti sono anche di budget” spiega Joyon “ma soprattutto mi sono abituato a navigare con poco. Ridurre il materiale significa ridurre i rischi di rotture e diminuire il peso”. Le dimensioni sono di 2,15×1 metro di larghezza, ridottissime. Una sola ruota, quattro winch, tutto a portata di mano. La manovra di riduzione della randa non l’ha voluta rinviata in pozzetto, ma posta a piede dell’albero. Una curiosità, Joyon fa installare la stessa ruota del timone del trimarano del suo precedente record. Scaramanzia?
L’allenamento non esiste
Il navigatore cinquantunenne per il giro del mondo non fa nessun allenamento particolare. “Sono ormai anni che passo più mesi dell’anno in alto mare. So che devo far andare il più veloce possibile la mia barca e quello che mi piace di più in un multiscafo è che è la vela più veloce che ci sia. Queste superbarche scivolano sull’acqua e sono in armonia con gli elementi” sentenzia.
E’ ora di partire
Tutto è pronto. Il 23 novembre alle 10,05 Idec taglia la linea di partenza e si lancia verso il giro del mondo passando per i tre capi che fanno da ipotetica boa: il capo di Buona Speranza all’estremità sud dell’Africa, Cap Leeuwin, propaggine a est dell’Australia e, dopo aver circumnavigato l’Antartico, doppiare Capo Horn, lembo estremo dell’America del Sud. Ripercorriamo direttamente con Joyon i momenti chiave della sua incredibile cavalcata per gli oceani del globo.
30 novembre: L’Equatore
6 giorni, 16 ore, 58 minuti: mai nessuna barca, anche in equipaggio, aveva raggiunto l’Equatore così velocemente nella storia delle regate d’altura. “Mi fa impressione di aver già percorso la distanza equivalente a quella di una traversata atlantica e in realtà non sono che all’inizio del tragitto. Ho già nostalgia dei miei figli e ho sognato di raccontargli questa piccola storia: Ho sognato che la deriva del trimarano si sia impigliata nella linea dell’equatore e l’abbia tagliata. Improvvisamente tutti i paralleli del globo non hanno avuto più sostegno e il pianeta ha cominciato a deformarsi. È per questo che al passaggio dell’equatore per sicurezza, ho alzato la deriva e ho pensato: che cosa c’è di più bello del riso di un bambino che si disperde per il mare mentre gli racconti una storia?”.
12 dicembre: Record
“Non avevo nessuna intenzione di cercare di battere il record di velocità a vela nelle 24 ore (616,07 miglia a una media di 25,66 nodi all’ora), ma mi trovavo in una condizione meteo favorevole per camminare il più possibile. Mi trovavo davanti a un fronte che mi permetteva di fare 600 miglia al giorno, grazie anche a un mare perfetto. Il fronte piano mi stava raggiungendo, dovevo cercare di accelerare il più possibile. Il record è stato solo una ciliegina sulla torta”.
19 dicembre: A metà stada
“Ho tirato un bordo per montare sopra il 52° sud e poi sono sceso il più velocemente possibile per non farmi beccare dai venti deboli che sono dietro di me. Ottimo, il barometro comincia scendere di nuovo. È l’interesse di una barca veloce come la mia: giocare con gli elementi, mettendosi in rapporto diretto con loro. Sono felice di essere arrivato a metà percorso. Adesso comincia il Pacifico!”.
24 dicembre: Tra gli Iceberg
“Ho avuto della fortuna al livello del 56° con gli iceberg e senza visibilità. Ne ho visti quattro dopo aver passato una notte infame in una tempesta. Ero a quattro miglia da quello più vicino e non vedevo nulla, accecato dalla pioggia mista a grandine, per fortuna c’era il radar. Ho zigzagato tra loro, concentrandomi a osservare l’acqua alla ricerca di growler (pezzi di ghiaccio alla deriva semisommersi, ndr). Conosco bene un natale tutto bianco passato così. Mi era capitato quattro anni fa. È incredibile pensare che navighi tra gli iceberg, pezzi di Antartico vaganti per il mare”.
25 dicembre: Tempesta
“Onde di 7 metri vento fisso sui 50 nodi. Mi rendo conto che con questo tempo non serve avere tela a riva. Navigo a 20 nodi con la randa ammainata! Togliere la randa è stata una fatica enorme e accuso la fatica. Sono all’80% di quello che posso fare”.
11 gennaio: Avaria
“Sono salito in testa d’albero per passare una nuova drizza della randa e mi sono reso conto che l’attacco della sartia di dritta è svitato. La barca sbatte talmente che mi sono fracassato contro l’albero, ferendomi alla caviglia mentre cercavo di riparare il danno. La situazione è pericolosa. Ho ridotto la velatura e ho messo in tensione una drizza sulla dritta, nel caso l’attacco della sartia non regga. Speriamo che il tempo migliori per fare la riparazione. Intanto navigo a velocità ridotta”.
16 gennaio: Riparazione
“Sono finalmente salito in testa d’albero e, come mi ha detto il costruttore dell’albero, ho dato delle martellate sull’attacco della sartia. Poi ho fatto una legatura stretta attorno all’albero con della cima in Spectra. Sono tranquillo”.
21 gennaio: Arrivo
“Sono stanco e snervato” dichiara dopo aver tagliato il traguardo a mezzanotte e quaranta. In banchina a Brest lo attendono migliaia di persone. Lui rimane a bordo, si fa portare all’ormeggio e va a dormire nell’umido giaciglio della sua barca. Per le interviste c’è tempo domattina.
di Luca Oriani
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1 commento su “2008. Joyon, così si diventa un mostro sacro della vela”
bello, forse troppo “asciutto”. non ricordavo il record di jojon.
spiace leggere ancora l espressione “tot nodi all’ora”, come si sa, basta dire nodi.