1990. Quando è nato il mito del Moro di Venezia

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Quando è nato il mito del Moro di Venezia

Tratto dal Giornale della Vela del 1990, Anno 16, n. 3, aprile, pag  44/53.

Un grande reportage del varo più eclatante della storia, quello del Moro di Venezia. Musiche di Morricone, scenografia di Zeffirelli e l’ultimogenita di Raul Gardini, Maria Speranza, che fa da madrina. Un momento epico e felice della vela italiana. Noi c’eravamo.


Quando mi’innaMORO

Voglio vincere la Coppa America“, ha detto il presidente della Montedison, 56 anni da Ravenna. Lo ha detto quando erano passate da poco le cinque del pomeriggio dell’ultimo 11 marzo, dopo aver ammirato a lungo il suo nuovo Moro di Venezia, durante la sua prima uscita lungo il Canal Grande. “E se non vincerò – ha aggiunto Gardini dopo un sospiro – ci proverò ancora“. Gli ultimi dubbi sono caduti, travolgendo Venezia con le sue entusiasmanti esagerazioni, in una delle feste marinare più maestose degli ultimi anni, Raul Gardini lancia la sfida velica italiana più ambiziosa della storia. E’ cominciata dalla repubblica della Serenissima, con la benedizione della primavera, l’arrampicata italiana alla regata più difficile che esista, la Coppa America. II Moro, colorato di rosso con un leone d’oro, c’è. Naviga. Issa lo spinnaker, enorme.

Cayard, il più bravo velista del mondo, ha addirittura imparato l’italiano per poter dire al suo tattico Tommaso Chieffiche ne pensi di strambare?”. Sembrava di sognare a Venezia. Tutto bello, perfetto, la regia di Franco Zeffirelli, le musiche di Ennio Morricone, anche l’umanissima esitazione di Maria Speranza, ultimogenita di Raul Gardini, se nel momento decisivo del varo, è riuscita a spaccare la tradizionale bottiglia di champagne soltanto al secondo colpo sulla prua. Ma la sensazione più bella e più speciale era data dal vedere una barca di Coppa America di nuovo navigare. Ancora poche settimane e la Corte di New York, nel suo ultimo e non più appellabile giudizio completerà con il tassello che ancora manca, il puzzle della regata, scegliendo la sede della sfida tra San Diego in California e Auckland in Nova Zelanda. Si correrò, ormai è certo, quale che sia il luogo, all’inizio del 1992. La lunga attesa è finita. Questa era l’emozione, nei lunghi mesi di oscure dispute tribunalizie ad un certo punto era anche balenata la paura di non vedere mai più una regata di Coppa America. Non è successo, per fortuna. In Francia, Pajot ha varato il suo “F1”. In settembre ci sarà un campionato europeo col “Moro di Venezia” e qualche altro che si aggiungerà lungo il cammino. Ce ne è abbastanza per dire è resuscitata la Coppa America. Anche per questo, evviva “Moro”!

La mattina dell’undici marzo, una domenica, il Moro di Venezia di Raul Gardini, la sua prima barca per la Coppa America, si è presentato al mondo, dalla sua città. Sedeva su un invaso caricato su un pontile, completamente fasciato in teloni bianchi. Era arrivato così la sera prima, superando la prima difficoltà di una nebbia fitta, direttamente da Marghera, dal cantiere Tencara, dove è stato costruito. Accanto gli si è ormeggiato un altro pontile, sul quale trovano posto un gruppo di musicisti che indossano i costumi storici della Serenissima. Di fronte, sulla punta della Salute, a pochi metri da Piazza San Marco, un altro pontile, il terzo e il più grande, per ospitare tutti gli invitati alla festa. L’organizzazione è “colossal’. Franco Zeffirelli, regista fiorentino di gran fama è la mente dello spettacolo. Le musiche che da lì a poco andranno a cominciare portano la firma di un altro maestro, Ennio Morricone, autore acclamato di colonne sonore zuccherose e memorabili. Arrivano le centinaia di cronisti accreditati, poi gli invitati. In testa l’avvocato Gianni Agnelli, accompagnato dall’inseparabile Luca di Montezemolo e dal giornalista Jas Gawronski. Agnelli, vecchio appassionato vuol vedere la barca da vicino e viene accontentato. Alle undici in punto Zeffirelli ordina il via. In un attimo il Moro di Venezia, spogliato dei teloni che gli cadono intorno, debutta in società. E’ grande, bello. Sembra difficile, di primo acchito, abituare gli occhi alle sue proporzioni. non è un Maxi yacht e neppure Gatorade anche se ha praticamente la stessa loro lunghezza. E’ rosso, un rosso speciale (da oggi probabilmente “rosso Moro”), e la testa del leone della Serenissima sulla prua, in oro. Un sacerdote, con l’equipaggio schierato in coperta, lo benedice. Poi, da una piattaforma prende la parola lo skipper. Paul Cayard.

Paul, per molti il miglior velista al mondo, è americano di San Francisco, ma risiede in Italia. Lo ha fatto per il Moro, per Gardini e anche forse per un ingaggio principesco e segreto. Il regolamento della Coppa America pretende due anni di residenza nel Paese per il quale si gareggia. E ora Cayard presenta la sua barca in un buon italiano. Dopo di lui parla l’armatore, Raul Gardini, ai velisti e alla città. Nelle pause, ci pensano i “fiati” di Morricone. Siamo al momento cruciale. Una gru solleva Il Moro, che ha la chiglia protetta da sguardi troppo curiosi e lo porta, facendolo volare, a portata di mano del suo armatore. Da buon padre, Gardini ha lasciato che l’onore di essere madrina dalla sua barca più importante toccasse all’ultimogenita Maria Speranza, vent’anni giusti, studentessa di Scienze Politiche a Bologna, elegantissima nel suo tailleur blu con i revers bianchi. Gardini le lascia il passo, sussurrandole “e ora dacci una bella botta“. Si riferiva alla bottiglia di champagne, che secondo tradizione la madrina deve infrangere sulla prua della barca da varare. Maria Speranza impugna a due mani, ma, forse per l’emozione non “rompe” al primo colpo. Molti non se ne accorgono neppure, un attimo dopo, al secondo manrovescio, la bottiglia è in frantumi. Il Moro scende in acqua. E prende subito a vestirsi con le vele per la sua prima navigazione. Lo salutano parecchie decine di gondole, e poi prendono a seguirlo centinaia di imbarcazioni, per il Canal Grande, fuori fino al Lido. E’ uscito il sole. ed anche un filo di vento. Lo spettacolo è straordinario. Il debutto del Moro non è facile. Uno slalom infinito e impegnativo per una barca così grande, con 40 metri di albero e 185 metri quadri solo di randa (per intendersi, quanto la somma di 26 rande di Laser messe l’uno accanto all’altra). Ma il Moro, bello e disinvolto, issa lo spinnaker (430 metri, 60 Laser…) e riceve il suo armatore, e il marinaio da sempre di lui, Angelo Vianello, veneziano. Con poche raffichette di vento il Moro agguanta subito i 10 nodi di velocità e pare impossibile. Gardini a sera è soddisfatto, Cayard pure. E anche forse, Venezia, che ha vissuto una giornata ancora da Serenissima, grazie ad una barca a vela.

 

 

 

La vela è una delle grandi passioni del presidente della Montedison Raul Gardini, E’ così da sempre, dal 1971, da quando il magnate di Ravenna ordinò ad un progettista molto in voga allora, l’americano Dick Carter, un seconda classe, che chiamo Orca. Si trattava di una barca piuttosto insolita per i tempi, larghissima rispetto alla lunghezza, coperta completamente piatta e manovre rinviate in pozzetto. Non furuno subito trionfi, ma l’Orca, poco bolíniera, entusiasma il suo proprietario per le prestazioni al lasco. Il cantiere Sailbot nel 1972 ne decreta il successo iniziando la produzione di serie del modello Orca 43. Quell’anno in Sardegna, alla settimana delle Bocche, Gardini conosce uno dei marinai professionisti più famosi d’Italia, il veneziano Angelo Vianello. Vianello segue, e lo fa ancora adesso, tutte le barche del suo armatore. A cominciare dal 1973, quando Gardini commissiona allo studio newyorkese di Sparkman & Stephens, un piccolo prima classe, Naif, con il quale partecipa all’Admiral’s Cup di quell’anno. Naif viene costruito a Rimini, da Carlini, in legno, la sua coperta in teak, splendida e funzionale, viene copiata in tutto il mondo.

I primi passi di Raul Gardini nel mondo della vela sono molto decisi. Tifoso e competente, in campo velico accetta solo i consigli del suo fidatissimo Angelo. E in barca si diverte, si diverte parecchio, perché porta a bordo solo gli amici, gente dell’Adriatico, come lui. Ragazzi ai quali resta legato anche in seguito. E’ più facile incontrare il Gardini armatore degli anni ‘70 nel suo mare, spesso proprio davanti a Ravenna, che non in regate più titolate del Mediterraneo. E’ una scelta. Le ambizioni crescono nel 1975, quando Gardini approda alla super taglia dei Maxi yacht con il primo Moro di Venezia della serie, lungo 20 metri e 41. A ricevere la commissione del progetto è un giovane argentino che ha studiato da Sparkman & Stephens, il suo nome è German Frers. E’ una scelta molto coraggiosa per una barca tanto grande, ma di quella scelta, 15 anni e tre Mori dopo, Gardini non si è ancora pentito. La nuova barca, ancora testardamente fatta costruire in legno e ancora da Carlini, è una bomba. E al suo proprietario l’Adriatico comincia ad andare stretto. Il Moro gareggia ovunque, sino negli Stati Uniti, in Florida, dove si corrono le regate del S.O.R.C., il massimo per quei tempi. Il Moro tenta addirittura di battere il record della traversata atlantica, e fallisce di poco l’obbiettivo impiegando quindici giorni e mezzo per percorrere 2600 chilometri. Nel 1979, il 6 agosto Gardini è a Cowes, sull’isola di Wight, dove viene fondata l’International Class A Yacht Association (I.C.A.Y.A.) Due giorni dopo parte per la regata del Fastnet (605 miglia) più tristemente famosa della storia, nel corso del quale una decina di velisti perdono la vita per le terribili condizioni atmosferiche. Nel 1980, ancora tentato dallo IOR di piccole dimensioni, chiede un two tonner al genio dei tempi, l’estroso californiano Doug Peterson. Nasce il Moro Blu, un seconda classe ad armatura frazionata che fa dannare Angelo Vianello. Difficilissimo da mettere a punto, il Moro Blu fallisce la qualificazione per la Sardinia Cup e viene rispedito in Adriatico.

La piccola delusione del Moro Blu allontana temporaneamente Gardini dalle regate, la contemporanea morte del suocero Serafino Ferruzzi in un incidente aereo lo mettono di fronte a nuovi ed enormi impegni. Per qualche stagione il “velista di Ravenna” ha tempo solo per amministrare le sue proprietà. Ma la passione della vela è solo sopita. Riesplode alla grande alla fine del 1982 quando decide di ordinare un Maxi a German Frers. Il Moro di Venezia II, é un piccolo Maxi, non al massimo del rating, un’idea originale, ma ancora troppo nuova per poter vincere. Compare giusto allora a bordo un ragazzo di San Francisco, con i baffetti scuri e, all’epoca, con più ambizioni che risultati, Paul Cayard. Gardini ne indovina il destino vincente e gli affida il timone delle sue barche. Il Moro II è solo una tappa di avvicinamento verso la perfezione raggiunta dal Moro III, ancora di Frers, perfetta e imbattibile al mondiale del 1988. Nasce qui l’idea della Coppa America, con gli stessi uomini, con lo stesso obbiettivo, obbligatorio quando ci si chiama Gardini: vincere.

 

 

Sono scese in acqua ad una settimana l’una dall’altra. Prima “F1”, a Setè, la barca francese disegnata da Philippe Briand per l’ambiziosissimo Marc Pajot, divo della vela francese. Por il Moro, a Venezia, pensato da German Frers per lanciare Paul Cayard tra i più grandi velisti di tutti tempi. Chiariamo subito che le analogie tra “F1I” e il “Moro di Venezia” cessano dopo aver constatato la ravvicinata data dei loro vari. Se infatti il gruppo di Raul Gardini e Paul Cayard naviga nell’oro e può dedicarsi con profitto alla caccia dei migliori cervelli del mondo, in casa francese la situazione non è altrettanto rosea. Marc Pajot, 37 anni, ripropone in blocco, il gruppo che tanto bene aveva fatto nella Coppa America del 1987 con French Kiss. Al suo fianco c’è ancora il coetaneo Marc Bouet in veste di tattico, co-timonere e consigliere preferito. Poi Philippe Briand, 33 anni e fama eccezionale di innovatore, che ha potuto far costruire il “F1” al cantiere Multiplast di Vannes con alle spalle l’appoggio tecnologico della Dassault, industria d’avanguardia d’oltralpe. Ora la barca c’è, è interessante (profondamente, anche a colpo d’occhio, diversa dal Moro), e segue un programma di allenamento a Setè. Ma sono finiti i soldi, anzi, per dir la verità, i soldi non ci sono mai stati. E’ la Strategia scelta da Marc Pajot per rallestrare fondi dagli sponsor finora piuttosto freddi nei suoi confronti. La presenza fisica della barca, tra l’altro obiettivamente bella, dovrebbe convincerli. Solo così potremo vedere in regata insieme “F1” e “Moro”. L’appuntamento è per la fine di settembre (ancora incerto il luogo) quando si svolgerà il campionato europeo della nuova classe di Coppa America alla quale le due barche appartengono. Cayard ha molti mesi di tempo per allenarsi in vista della regata. Anche in attesa che nel resto dell’Europa scendano in acqua anche gli altri sfidanti, da oggi comunque già in grave ritardo.

Luca Bontempelli


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