Dinghy, il colpo da Maestro (di violino) alla terza tappa di Coppa Italia a Monfalcone

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I dinghisti si dividono in due grandi categorie, con molte sfumature intermedie: ad un estremo ci sono “i cerebrali”, quelli che non smettono di cercare scientificamente la regolazione perfetta, fanno schemi, elaborano formule e non di rado si svegliano di notte pensando alla tensione delle sartie e quel centimetro in più o in meno sulla drizza del picco. All’estremo opposto ci sono “i sensitivi”, che si affidano alle percezioni più che ai calcoli, smuovono meno che possono oppure, meglio ancora, adottano regolazioni istintive, apparentemente inspiegabili. Anche e sopratutto per questo il Dinghy 12’ è una barca da velisti maturi: servono anni, molta saggezza e tanta pazienza prima di trovare la giusta quadratura del cerchio.

Ma che siano “cerebrali” o “sensitivi”, tutti sono alla perenne ricerca del “magico accordo”, quella sintonia perfetta tra il timoniere, la barca, il vento e l’acqua, quando il dinghy (che non è famoso per la sua reattività) sembra andare da solo, docile e obbediente ad ogni minima variazione del timone, pronto a trasmettere una sensazione di potenza su ogni refolo di vento.

Il violinista e il Dinghy

E di “magico accordo” Andrea Zerbin, insegnante di violino e fresco vincitore della 3^ tappa della Coppa Italia, è un buon intenditore. Sui campi di regata nazionali non si vede spesso perché- ci dice – non è giusto assentarsi troppo dal lavoro durante l’anno scolastico, m quando Zerbin  c’è, la sua presenza non passa inosservata. Nelle acque di casa, a Monfalcone, ha festeggiato il suo 57esimo compleanno salendo sul gradino più alto del podio dopo aver inanellato una serie di risultati ineguagliabili in tutte e 5 le prove: 1-2-2-2-2.

Il vincitore Andrea Zerbin, insegnante di violino

“Era la mia aria – ammette – la brezza dai 6 agli 8 nodi che soffia nel golfo di Panzano, quando non c’è bora. Con più vento soffro un po’. E indubbiamente la conoscenza del campo di regata è un fattore importante anche se a volte diventa un limite. Io spesso regato ‘a memoria’ e mi dimentico di guardarmi intorno. Ho mancato due ‘sinistri’, semplicemente perché non me li aspettavo e non li ho cercati. Poi mi tocca subire i rimproveri di mio figlio che è anche il mio allenatore: alla fine di ogni prova mi chiede tutti i dettagli, angoli, velocità, approcci alla boa, coperture ma io non sempre me li ricordo. Quando sono al timone guardo poco il resto della flotta e mi dimentico le strategie.  Non ho neanche la bussola. Cerco di andare più veloce che posso come se ogni prova fosse una regata a sé e questo mi basta

L’importante è l’armonia

Zerbin ha iniziato la sua carriera velica su Optimist e 470, poi un po’ di altura e una decina di anni fa ha impugnato per la prima volta il timone di un dinghy. “L’ho scelto perché potevo regatare in zona senza fare trasferte. Ho comprato un Lilia del 2007 con la sua vela e all’inizio andavo malissimo, come capita a tutti. Regolavo solo timone, scotta e vang e ho insistito, senza cambiare nulla,  finché, pian piano, non ho iniziato a ‘sentire’ la barca. E allora è scattata l’alchimia e mi sono accorto di essere veloce. Ma non so spiegare perché, non ho una formula magica anche considerando che non ci sono due dinghy e due timonieri che ottengano le stesse prestazioni con le stesse regolazioni. Se sento di andare male, non cambio le vele nè tanto meno la barca. Con il mio stipendio da insegnante non potrei permettermelo.  Cerco l’armonia e quando la trovo mi accorgo di avere tutta la flotta alle spalle”.

I Dinghy a Monfalcone

La regata

Ventisei le barche in acqua per la terza tappa della Coppa Italia. La distanza del campo di regata, alla periferia di Italia, ha scoraggiato più di un concorrente. Alla prova dei fatti, però, ogni chilometro percorso per raggiungere Monfalcone è stato più che ricompensato da condizioni pressoché perfette, sopratutto per i dinghisti che amano le arie leggere.

Cinque le prove disputate in due giornate di gara. Il cielo nuvoloso, nella mattina di sabato, scoraggia la brezza e obbliga la flotta ad aspettare qualche ora la partenza sotto un sole che intanto è tornato implacabilmente a splendere. Un ottimo Comitato di regata, a prevalenza femminile, ben guidato da Nicoletta Dovi, coglie l’attimo, modifica prontamente il campo e riesce a dare la partenza di tre prove, accorciando l’ultima, prima che si spenga l’ultimo refolo.

Alla fine della prima giornata Andrea Zerbin è al comando, ma alle sue spalle, a soli due punti di distacco, preme Federico Pilo Pais (C.V. Santa Margherita Ligure), un habitué dell’alta classifica, con due vittorie in altrettante prove.

Ancora più sole e brezza dai 6 agli 8 nodi, con qualche sprazzo più vivace,  nella seconda giornata di gara. Zerbin resta costante, Pilo Pais no ma riesce a difendere il secondo posto. Ad affondare la zampata finale é Luigi “Gin” Gazzolo (C.V. Santa Margherita Ligure) che dopo essersi lasciato sfuggire all’ultimo momento la vittoria del “Bombola d’Oro” nelle acque di casa, spodesta Alberto Patrone dal gradino più basso del podio, anche grazie alle sue ‘avventurose’ partenze in controtendenza,  mura a sinistra dalla boa.

Un risultato che porta Gazzolo al comando della classifica provvisoria della Coppa Italia, davanti ad Alberto Patrone (Club Velico Cogoleto), ad Andrea Falciola (C.V. Santa Margherita Ligure) e al compagno di circolo Federico Pilo Pais. Ma tutto può cambiare a settembre quando, nelle acque di Bari, si disputerà il Campionato Italiano dei Dinghy 12’, ultima e più “pesante” sfida per decretare il vincitore della Coppa Italia 2025.

La Società Vela Oscar Cosulich, il blasone e la passione

Non solo sfide e medaglie. La flotta dei dinghisti italiani non sarebbe così folta e pervicace, a dispetto dell’età matura dei regatanti, se ogni regata non diventasse una festa. E così è stato anche a Monfalcone, grazie all’ottima organizzazione e alla trabordante ospitalità della SVOC (Società Vela Oscar Cosulich), antico e blasonato circolo velico che vanta tra i suoi atleti Mauro Pelaschier (nell’albo d’oro il primo titolo vinto nel 1939 è proprio il tricolore della classe Dinghy 12’, ad opera di Adelchi Pelaschier, papà di Mauro) ma anche Alessandro Marega, attuale campione italiano ed europeo della classe FINN, Matteo Polli, campione mondiale, europeo ed italiano ORC C, Enrico Michel, per anni ai vertici italiani ed internazionali della classe SNIPE.

D’altra parte la SVOC è incastonata in quello che può essere considerato a buon titolo un tempio della vela, nell’ansa più a nord del Golfo di Trieste, con tre campi di regata e con oltre seimila posti barca, ovvero 198 ormeggi per chilometro, una densità 10 volte maggiore alla media nazionale. Non a caso a Monfalcone (poco più di 30mila gli abitanti) si sta lavorando per trasformare quella che fino ad oggi è stata considerata la città dei cantieri navali in distretto della nautica.

Ma a scrivere la storia di un Circolo Velico come la SVOC non è solo la geografia e il talento dei campioni, ma anche e sopratutto la passione dei volontari, spesso sconosciuti, che a quel mare e a quei pontili dedicano la vita.

Edi Rossetti oggi

Come per esempio Edi Rossetti, classe 1947. Con la chioma bianca e le sue spalle larghe da ex finnista è sempre lì a timonare le barche dell’assistenza e ad alare e varare i dinghy, fianco a fianco con il presidente ed altri membri del direttivo della società.

In una foto d’epoca, a sinistra Edi Rossetti, a destra un giovane Mauro Pelaschier

Ho iniziato anch’io sul Dinghy – ci racconta – ma le vele allora erano di cotone. La mia passione però era il FINN. Le mie prime regate a 15 anni insieme ad un amico dodicenne, tal Mauro Pelaschier. Partivamo alle 5 del mattino per navigare fino a Trieste dove si organizzavano le gare. Nel 1965 ho vinto il titolo italiano juniores. Poi sono stato per due anni nella squadra olimpica degli FD

Nel frattempo Edi (“per carità scrivilo senza la y – si raccomanda – altrimenti mi scambiano per una donna), era un “cantierino”, ovvero un operaio in Fincantieri, come gran parte dei monfalconesi.

A 65 anni ho iniziato la mia carriera di istruttore alla SVOC e per sette anni mi sono dedicato ai velisti disabili grazie ai sette 2.4 che erano stati acquistati dal Circolo. Vi assicuro che riuscire a rendere felici quei ragazzi regala più emozioni della vittoria di una regata. Due dei miei allievi sono andati alle Paralimpiadi. Ma non è facile. Oltre a fare l’istruttore andavo anche a bussare alle porte degli sponsor perché le spese erano notevoli. Adesso questa attività è pressocchè ferma ed è un vero peccato”.

Ma adesso non è più tempo di ricordi nostalgici. Bisogna andare a mettere giù le barche e a dare lezioni di sport e vita alla prossima generazione di velisti. Qualcuno di loro scriverà il suo nome nell’albo d’oro della Società, molti altri no. Ma gli uni non possono esistere senza gli altri. E questo un buon Circolo lo sa.

Daniela Tortella
Foto di Renzo Vassallo

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