1990. Io, Mauro Pelaschier la penso così
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Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.
Io, Mauro Pelaschier la penso così
Tratto dal Giornale della Vela del 1975, Anno 16, n. 9, novembre, pag 54/61.
Nel 1990 Mauro Pelaschier, il timoniere di Azzurra, ha 41 anni. Ma ha già talmente tante miglia percorse sotto il sedere, vittorie e sconfitte, gioie e dolori che si può permettere di dire la sua senza peli sulla lingua. E la fa in questa intervista esclusiva.
Il saggio
Pochi uomini come Maurizio Pelaschier possiedono il cosiddetto “fisico del ruolo”. Lui è alto, bello, biondo e con la barba. Esattamente come ci si aspetta debba essere un campione del nostro sport. Oggi, a 41 anni, con la saggezza che gli deriva dall’età, Pelaschier può permettersi di osservare il mondo della vela con l’occhio disincantato di chi ha visto tutto e niente è più è in grado di sorprenderlo. Eppure, c’era una volta, neppure troppo tempo fa, prima di Azzurra e della grande fama, un ragazzo “rosso” che andava in Finn da mattina a sera e sognava le Olimpiadi…
Saggio, simpatico, a volte caustico, certamente affascinante. Mauro Pelaschier è uno dei simboli, forse il “simbolo” della maturazione della vela agonistica italiana dopo il boom seguito alla felice avventura di Azzurra alla Coppa America del 1983, dove il nostro interpretava il ruolo più ambito e difficile, quello del timoniere. Grandissimo velista. Mauro Pelaschier in un mondo di mediocri ha problemi di sovrabbondanza: di personalità, di carattere, di talento. Il che non può che avergli creato nemici; molti e agguerriti, perché l’invidia è contagiosa.
Oggi, a 41 anni, Pelaschier può dire di avere avuto quasi tutto dalla vela: la gloria di due Coppa America nel ruolo di leader, tre Olimpiadi, una One Ton Cup e molto altro ancora. Nonostante questo, è ancora li a sudare, su ogni tipo di barca, in ogni genere di manifestazione, spesso in testa al gruppo, e se non capita di vincere non importa. Ama la vela e il suo lavoro Pelaschier, ed ha la splendida abitudine di essere sincero. Chi vuole orientarsi nel mondo della vela italiana e internazionale non può prescindere dal suo pensiero, per il semplicissimo motivo che lui ne sa di più: di barche, vele e velisti. (Questa intervista è stata raccolta a Porto Cervo in una fresca serata di fine settembre sulla terrazza dello Yacht Club Costa Smeralda. È piacevolmente continuata, ormai quasi inarrestabile, davanti ad una pizza in un ristorante dal nome ad hoc: Spinnaker).
Vela – Vorrei cominciare con una provocazione, Mauro. Quest’anno hai vinto il campionato italiano dei quinta classe, la Swan Cup su Eurosia e il Giro d’Italia a vela. Sono risultati ottimi per chiunque, forse non per chi si chiama Pelaschier?
Pelaschier – Non raccolgo la provocazione. È stato un buon anno, mi sono impegnato sui cruiser-racer e mi sono molto divertito, c’è parecchio da lavorare in quelle classi.
Vela – Diplomatico, ma sono certo che hai capito dove volevo andare a parare. Si è appena conclusa la Sardinia Cup che tu hai corso al timone di Marisa Osama, una barca del 1987, nella squadra Italia B. Dal momento che è chiaro che tu sei tra i primi tre timonieri italiani, perché non eri al timone di una barca della squadra A?
Pelaschier – Intanto nella squadra A (Brava, Larouge e Mandrake), su tre due sono timonieri italiani, ma per arrivare alla tua domanda, ognuno deve ed è libero di fare le proprie scelte. È chiaro che mi piace soprattutto vincere, ma i poco brillanti risultati di Marisa hanno permesso al suo armatore di crescere, di imparare molte cose che saranno utili in futuro.
Vela –Vuoi dire che…
Pelaschier – Voglio dire che la decisione della FIV di bloccare la squadra per l’Admiral’s Cup un anno prima non può trovarmi consenziente.
Vela – La divergenza di vedute tra te e la federazione è nota e di vecchia data.
Pelaschier – Sì, ma le divergenze riguardano sempre gli stessi argomenti.
Vela – Se qualcuno avesse perso le ultime puntate…
Pelaschier – Rimedio: la Federazione è composta da dilettanti puri che non capiscono i problemi per i quali sono chiamati a decidere. Non esiste programmazione, facciamo in ritardo quello che le altre nazioni hanno già fatto. Prendi l’allenatore, non ne esiste uno per l’altura.
Vela – Ci sarebbe Rod Davis…
Pelaschier – Forse Rod Davis ci farà anche fare una buona Admiral’s Cup, ma evidentemente dopo tornerà a casa sua e saremo punto a capo. Non dobbiamo inseguire lo sfizio di una Admiral’s Cup e basta, occorrerebbe creare le basi per una scuola per avere una continuità di risultati.
Vela – Mi viene spontaneo chiederti se tu faresti l’allenatore.
Pelaschier – No, non credo di possedere le caratteristiche di un allenatore.
Vela – Vogliamo parlare del Giro d’Italia?
Pelaschier – Il ciclismo è molto bello.
Vela – Intendevo quello a vela.
Pelaschier – Ho fatto le undici tappe conclusive, mi è piaciuto, mi sono molto divertito.
Vela – Tutto qui?
Pelaschier – Credo che il Giro d’Italia a vela sia destinato a crescere di importanza e spettacolarità nelle prossime edizioni. Serve solo gente più brava a bordo. La formula va già abbastanza bene come è: giusto il numero di tappe, giusto il numero dei partecipanti.
Vela – Cambiamo argomento. In questo periodo sta venendo alla ribalta un nuovo straordinario talento dalla tua città, Monfalcone, quello di Chiara Calligaris, solo diciannove anni ma già due titoli mondiali negli Europa.
Pelaschier – Monfalcone è una scuola eccezionale, ci sono stati buoni velisti prima di me, continueranno ad essercene dopo. C’è sempre qualcuno di Monfalcone nei primi posti di una regata italiana, servirebbe vederne qualcuno semmai in testa alle classifiche delle regate internazionali.
Vela – Ma tu faresti l’allenatore della Calligaris?
Pelaschier – Senti, Chiara è già bravissima e io la rovinerei. Poi non seguo molto l’Europa, e della mia concittadina conosco i risultati e so pure che è molto carina.
Vela – Ma tu come hai imparato la vela?
Pelaschier – Imparare a Monfalcone è più difficile che altrove. Io credo di avere una specie di “complesso dell’errore” che devo tutto alla mia città. Quando sbagli dalle mie parti le critiche sono feroci, le punizioni sin troppo severe. Comunque, se è questo che vuoi sapere, mio padre, che è stato olimpionico molto prima di me, non mi ha mai detto niente nei primi tempi del mio apprendimento sul Finn.
Vela – Sei un autodidatta?
Pelaschier – Al mio circolo uscivano sempre 15 Finn, io li aspettavo, e non perdevo una parola di quanto veniva detto. In questo modo assimilavo tutto, trucchi, idee, segreti, modi diversi di portare la barca.
Vela – Torniamo a tuo padre, il leggendario Adelchi Pelaschier. Che cosa ricordi dei tempi delle sue Olimpiadi?
Pelaschier – I giocattoli, i giocattoli meravigliosi che mi portava dalle Olimpiadi e dalle regate più importanti.
Vela – Ma lui è stato uno stimolo per te?
Pelaschier – Torniamo al discorso di Monfalcone, delle critiche severe. Mi ricordo che dopo una delle prime regate a cui partecipavo mi sgridò in maniera violenta per un mio errore di bordeggio. Io mi misi a piangere e dalla rabbia gli dissi: “lasciami in pace, tu sei un campione, io devo imparare”. Allora era mia madre a spingermi ad andare in barca. Mio padre ha preso a seguirmi quando già andavo abbastanza bene. Poi lui ha smesso quando aveva 41 anni.
Vela – Perché lo battevi?
Pelaschier – No, questo lo dice lui. La realtà è che negli ultimi tempi lui non pensava già più alla sua regata, cercava di farmi capire da che parte andare, mi pilotava insomma.
Vela – Che effetto ti fa oggi pensare al tuo modo di andare in barca di allora?
Pelaschier – . E’ strano, praticamente non mi ricordo niente, si trattava di puro istinto.
Vela – Istinto di marinaio?
Pelaschier – Quello ce l’ha mio padre. Lui vive il mare nel modo giusto, è nato, ha vissuto e morirà sul mare, che è stata tutta la sua vita. Ma credo che certe cose si abbiano nel sangue, ti ho mai raccontato della storia di mio nonno?
Vela – No.
Pelaschier – Mio nonno è nato a Pola, ha avuto la bellezza di 14 figli. Faceva il macstro d’ascia, era socialista, e quando aprirono il cantiere navale a Monfalcone fu trasferito con altri suoi colleghi. La prima cosa che mio nonno e i suoi compagni fecero a Monfalcone fu la costituzione del club nautico, della SVOC, della quale infatti risulta uno dei fondatori.
Vela – Dal nonno hai preso anche la passione per la politica?
Pelaschier – No, la politica non mi appassiona, ma ho vissuto il ’68 come operaio in cantiere e devo dire che mi è piaciuto. Io mi sento di sinistra, anche se una volta si diceva che uno di sinistra non può andare in barca a vela. Io avevo il mio ciondolo d’oro con la falce e martello, e non me ne separavo mai.
Vela – Mi rendo conto che è banale, ma come ti sentivi, tu giovane di sinistra, nell’esplosione consumistica di Azzurra? La tua faccia sui poster, le fotografie accanto all’avvocato Agnelli…
Pelaschier – Potrei dirti che i tempi sono cambiati.
Vela – Non lo dici, ma lo pensi: sono cambiati in peggio.
Pelaschier – Mah, in fondo Azzurra non era soltanto quello che dici tu. Mi ricordo che nel 1983 partecipai come ospite ad una festa dell’Unità. Ci andai con piacere anche se in fondo ero preoccupato perchè non sapevo bene come mi avrebbero accolto, invece andò benissimo, l’esaltazione per l’impresa sportiva ebbe giustamente il sopravvento su tutto il resto.
Vela – Appunto, il resto.
Pelaschier – Guarda che io ho sempre dato il giusto peso alle vicende. Andare in barca con Agnelli faceva parte delle regole del gioco che devi accettare, ma quando sparano il colpo dei 10 minuti alla partenza ti assicuro che di Agnelli e di tutto il resto non ti importa niente, pensi solo alla regata.
Vela – Non volevo parlare adesso di Azzurra, mi ci hai tirato dentro tu. Comunque… Azzurra ha cambiato la tua vita.
Pelaschier – Trovi?
Vela – Voglio dire che la Coppa America ha cambiato completamente il volto della vela italiana. La tua faccia è molto conosciuta. Gli autografi, e le ragazzine e le signore sognanti che magari si farebbero “un giro” con te soltanto perché sei il bel velista, il bel velista di Azzurra.
Pelaschier – Tu stai parlando di uno che perde la testa e che quindi decide di imbrogliare se stesso giocando a far l’attore del cinema per qualche avventura in più. Certo è successo. Non a me.
Vela – Com’è andata col primo autografo?
Pelaschier – Mi ha fatto molto ridire.
Vela – La popolarità è per te solo una risata?
Pelaschier – Io sono indubbiamente favorito dall’aspetto, eppure subito dopo l’anno d’oro di Azzurra, il 1983, mi riconoscevano nei bar, era divertente.
Vela – Questo ti faceva sentire importante?
Pelaschier – No, ma tornare al circolo a Monfalcone e trovare dieci pensionati che mi facevano domande e mi chiedevano pareri, questo sì mi faceva sentire importante.
Vela – Ouando è stata l’ultima volta che ti sei tagliato la barba?
Pelaschier – L’ho fatta crescere per la prima volta nel 1972, ma l’ultimo taglio risale al 1980, sono dieci anni giusti.
Vela – Il mito di Azzurra ebbe vita breve. Dopo la buona estate della Coppa America del 1983, l’inaspettata sconfitta in casa, a Porto Cervo, nel mondiale dei 12 metri.
Pelaschier – Guarda, io non ricordo mai le regate, solo una mi è rimasta fissa nella memoria: quel campionato mondiale. Ci si è rotto un moschettone del genoa sulla linea del traguardo, abbiamo dato uno spinnaker per la bugna. Una regata incredibile. A parlarne adesso è evidente che non avremmo dovuto partecipare, eravamo fusi con tanto bisogno di riposarci. Ma non ci fu permesso. Azzurra era ormai una macchina impazzita, del tutto senza controllo.
Vela – Colpa dei vertici?
Pelaschier – Sì, i due consorzi italiani erano guidati da due uomini, Riccardo Bonadeo per Azzurra e Massimiliano Gritti per Italia, che tenevano alla poltrona, alla vetrina.
Vela – Cioè…
Pelaschier – Non ho problemi a dire che non erano all’altezza del ruolo che occupavano.
Vela – Cino Ricci invece era un bravo skipper?
Pelaschier – Cino Ricci resterà nella storia della vela italiana, ha cambiato molte cose. Del Cino Ricci degli esordi ho un buon ricordo.
Vela – Non lo metto in dubbio. Per il posto di timoniere di Azzurra nel 1983, il ruolo più ambito, sei stato in lizza sino alle ultime settimane con Flavio Scala. Poi Ricci scelse te e Scala abbandonò il consorzio.
Pelaschier – Guarda che io ho un ottimo rapporto con Flavio…
Vela – Scusami se ti interrompo, ma è già un po’ che parliamo è ho notato una cosa, non hai ancora usato la parola “amico”
Pelaschier – Gli amici sono quelli con cui cresci, gli altri sono conoscenti.
Vela – Allora, col tuo buon conoscente Flavio Scala…
Pelaschier – … andavamo persino agli allenamenti insieme. E vero che miravamo entrambi allo stesso ruolo, ma la nostra rivalità era leale. Infatti quando Flavio seppe da Ricci che io sarei stato il timoniere mi venne a dire per primo che lasciava il consorzio.
Vela – Ma tu eri sicuro che saresti stato scelto come timoniere?
Pelaschier – No, per niente. Ho fatto di tutto per meritarlo, ma non ero sicuro. Non sono ruffiano, non mi piace parlare tanto, preferisco i fatti.
Vela – Scusa se torno per un attimo a parlare di tuo padre, che mi sembra una figura affascinante. Come visse lui Azzurra?
Pelaschier – In modo viscerale. All’inizio faceva l’indifferente, poi fu travolto. Mi ricordo che una volta gli capitò di ascoltare un quiz alla radio che diceva “qual è il vero nome del timoniere di Azzurra’. Non so come quelli erano riusciti a sapere che il mio vero cognome è Pelaschiar, per un errore di trascrizione all’anagrafe. Comunque mio padre telefonò vincendo il premio. Disse, orgoglioso suppongo, “ve lo dico io come si chiama mio figlio“.
Vela – Di nuovo Coppa America. Dopo la sconfitta al mondiale dell’ 84 (che fu anche la vendetta di Scala che timonava il vincitore Victory) ci fu un lungo periodo nero. Prima le dimissioni da Azzurra, poi il gran ritorno come timoniere/skipper.
Pelaschier – Bel periodo davvero.
Vela – Perché lasciasti Azzurra?
Pelaschier – L’episodio che mi fece decidere fu un abbordaggio. Eravamo in allenamento con Freedom e Stefano Roberti, che timonava l’altra barca, orzando da sotto arrivò alla collisione, del tutto inutile, ma significativa dello stato di esaurimento di tutto il gruppo. Era chiaro che Stefano non agiva di sua iniziativa ma era stato consigliato a comportarsi in quel modo. Per me comunque l’abbordaggio in allenamento tra due barche dello stesso consorzio era inconcepibile. Per questo me ne andai.
Vela – Aveva deciso l’equipaggio?
Pelaschier – Anche tu credi a quello che nel calcio chiamano lo spogliatoio? lo penso che sia ridicolo.
Vela – Forse però l’equipaggio è il primo ad accorgersi se lo skipper non è bravo.
Pelaschier – Sì, ma bravo a far che? E’ vero, Cino Ricci non è un campione di vela, ma anche Baggio gioca meglio a pallone di Vicini, e allora?
Vela – Mi pare che i segni dello stress della Coppa America siano ancora visibili.
Pelaschier – Senti, io sono tornato su Azzurra in Australia perché mi offrivano tanti soldi. La regata era persa molto tempo prima, con la follia di Azzurra 4. Ma li le decisioni venivano prese da un Ricci ormai non più lucido, come dire, deteriorato…
Vela – Le prime tre Azzurra furono disegnate da Andrea Vallicelli, la 4 da Sciomachen. Non ne è uscita una buona. Avranno anche loro delle responsabilità.
Pelaschier – Azzurra 4 andava molto piano, ma non andava neppure costruita in così poco tempo. Però non riuscirai a farmi parlar male di Sciomachen, io ho una sua barca, un Pierrot, che mi piace moltissimo. Quanto a Vallicelli, la sua Azzurra 2 non era neppure tanto male, la migliore delle nostre barche, ma poi non fu utilizzata.
Vela – Per superficialità?
Pelaschier – C’eri anche tu.
Vela – Ma non c’erano i lettori.
Pelaschier – Lo skipper di Italia era Aldo Migliaccio, un bravo ragazzo, un bravo velista, ma tremendamente incompleto. Nessuno si è mai chiesto che cosa ci facesse in quel posto, del tutto allo sbaraglio, uno come lui. Certo non era colpa sua, ma di chi lo aveva messo lì, accidenti, sì.
Vela – Allora, riveliamo che nei mesi scorsi sei stato chiamato dal Moro di Venezia per partecipare alla Coppa America. Volevano fare di te il timoniere collaudatore di Paul Cayard.
Pelaschier – Senti, io non so perché mi hanno cercato la prima volta, non so neppure perché in seguito non mi hanno più richiamato.
Vela – Qualche idea te la sarai pur fatta.
Pelaschier – Credo che al di là del grande budget, di tutto il contorno, chi comanda (Paul Cayard, Ndr) è troppo giovane, ed ha paura di chiedere aiuto. Posso anche sbagliarmi, ma Cayard sta facendo cose che non sono compito suo. Per reggere la tensione di una Coppa America devi essere spontaneo, non recitare. Devi svegliarti la mattina e dire: “io vincerò”, tutto il resto è televisione!
Vela – Mi par di capire che il Moro non potrà contare sul tuo tifo.
Pelaschier – Sbagli. Sarei il primo ad essere dispiaciuto se il Moro non dovesse andar bene. Io Gardini lo rispetto, quando lo incontro a Ravenna lo saluto. Ma credo di essere troppo lupo solitario per esser chiamato sul Moro.
Vela – Il che, in fondo, ti dispiace.
Pelaschier – Beh, è vero che mi piace cambiare sempre, e il Moro è oggi qualcosa di nuovo dove si può imparare moltissimo.
Vela – Ma tu, al posto di Gardini, avresti fatto ugualmente disegnare il Moro da German Frers?
Pelaschier -No, avrei scelto Bruce Farr.
Vela – Sul Moro di Venezia spopolano i fratelli Chieffi, entrambi godono della fiducia incondizionata o quasi di Cayard, il quale invece è affiancato da Gabriele Rafanelli. Che ne pensi di un organigramma del genere?
Pelaschier -Rafanelli è…, come dire, ben inserito!
Vela – I Chieffi saranno per la vela italiana degli anni novanta quello che Pelaschier è stato negli ottanta?
Pelaschier – Cos’è, vuoi che ti scriva il mio necrologio? Cambia il mondo e cambiano gli uomini. Io ho vissuto un mondo dove veniva privilegiata la fantasia alla tecnica. I Chieffi sono i figli di questo tempo. Certo che una soddisfazione mi resta, quella di aver inventato un mestiere che prima di me non esisteva. Chi arriva oggi ha la strada spianata. E per concludere sui Chieffi ti dirò che non li conosco bene, ma mi sembrano un po’ presuntuosi.
Vela – L’altro grande personaggio della vela italiana è Lorenzo Bortolotti.
Pelaschier – Bortolotti è un bravo velista.
Vela – Hai detto la stessa cosa di Migliaccio.
Pelaschier – Sì, però per Bortolotti aggiungo che è nato come timoniere, ma poi nella sua carriera ha fatto scelte diverse, dato che ha capito in tempo che uno non può timonare, fare lo skipper, mettere la barca a punto e tenere i contatti con l’armatore contemporaneamente restando lucido. Oggi Lorenzo Bortolotti è un grande assemblatore di equipaggi, secondo me il migliore in circolazione. E poi è uno che ha subìto molte sconfitte ma ha saputo ritrovare la strada giusta.
Vela – Un “buon conoscente” anche lui…
Pelaschier – Oh sì, ai miei occhi con un difetto: troppo inglese, troppe parole in inglese, ma Bortolotti che fa, sogna in inglese?
Vela – Tra le tue esperienze ce n’è una sorprendente, in barca con Giorgio Falck.
Pelaschier – È durata poco. Solo la Rotta del Descubrimiento due anni fa.
Vela – Sì, ma conoscendoti è stupefacente soltanto che sia iniziata.
Pelaschier – Giorgio Falck è un uomo molto impegnato, alla vela dedica troppo poco tempo e ne consegue che non è un buon velista. Una cosa è andare per mare, una cosa è essere dei campioni.
Vela – Abbiamo toccato sembra i due punti cruciali, in negativo, della tua carriera agonistica. Falck e l’ultima Azzurra. Quale il peggiore?
Pelaschier – Con Falck non si trattava di vela agonistica. Abbiamo parlato adesso di Bortolotti, uno che come Falck ha sbagliato molto. Però quello che conta alla fine è il raccolto, e Bortolotti oggi ha un ottimo raccolto: evidentemente impara qualcosa anche quando perde. Al contrario di Falck.
Vela – Sei molto duro.
Pelaschier – No, sono molto invidioso. Giorgio Falck ha fatto tre Whitbread ed io neppure una.
Vela – Sei capace di odiare?
Pelaschier – L’odio è una perdita di tempo. Non c’è spazio per l’odio nel mio cervello.
Vela – E quando subisci dei torti professionali, come reagisci?
Pelaschier – Aspetto. Se sei coerente i conti tornano sempre.
Vela – Basta con le esperienze negative. Parliamo d’altro. Secondo me la più bella regata della tua vita è la selezione per le Olimpiadi del 1972 a La Maddalena, sei d’accordo?
Pelaschier – Per forza, fu esaltante. Fabio Albarelli era molto più bravo di me, ma io, come emergente, tirai fuori il meglio di me stesso. Vinsi 10 regate su 14, dimostrando in quel momento di essere più forte. Albarel reagì con un quarto posto al mondiale poco dopo, dimostrando che in fondo era potenzialmente più bravo, ma meno cattivo di me.
Vela – Di te si diceva che stavi sempre in barca ed eri, di conseguenza, allenatissimo.
Pelaschier – Falso, figurati che in quel periodo lavoravo come operaio a Monfalcone Tempo per la barca ne avevo poco.
Vela – E’ Albarelli il miglior talento della vela italiana dopo Straulino secondo te?
Pelaschier – Insieme a Picchio Milone e anche Gorla, uno che va in barca con la stessa naturalezza con la quale cammina.
Vela – Oggi, a parte Chieffi, chi vedi?
Pelaschier – Francesco De Angelis è un fuoriclasse ma non lo sa, e per questo ha molta paura di sbagliare. Viene da Napoli, un posto difficile per la psicologia di un velista. Ma i fuoriclasse vengono fuori dai posti difficili.
Vela – Credevo che i fuoriclasse venissero fuori dagli Optimist.
Pelaschier – Non ne ho mai visto uno. A 12 anni sono stressati come un quarantenne.
Vela – Chi sono gli uomini importanti della tua carriera di velista?
Pelaschier – Di mio padre abbiamo parlato abbastanza. Mi piace ricordare Marcello Campobasso, vice presidente della FIV nel 1971, e Pasquale Landolfi, l’armatore della serie dei Brava. Campobasso l’ho incontrato a Napoli mentre facevo il militare. Ero demoralizzato, lui mi fece acquistare un Finn nuovo di Lanaverre (numero velico 460) che fu determinante per il mio salto di qualità velico. Landolfi merita non solo la mia riconoscenza, ma quella di gran parte della vela italiana. Mi ricordo ancora il suo primo discorso in banchina a Punta Ala nel 1979, “Ti voglio affidare la mia barca – mi disse – perché voglio far crescere un equipaggio tutto italiano, su una barca disegnata da italiani“. Ho timonato il suo Brava per qualche stagione, ed è stato Pasquale a portarmi sino alla Coppa America.
Vela – Dopo questa dichiarazione mi domando come mai non corri più sulle sue barche.
Pelaschier – Lui ha un altro timoniere, non credo ora come ora che sia possibile.
Vela – Una curiosità: che giornali leggi?
Pelaschier – Spesso la Gazzetta dello Sport, leggevo anche La Repubblica, ma durante il Giro d’Italia ci ho trovato un articolo pieno di falsità che mi riguardava e ora non la leggo più. Quando sbaglio un bordo pago, ma quel giornalista scrive ancora, non mi pare giusto.
Vela – Croce, Rolandi, Gaibisso. Sono gli ultimi tre presidenti della FIV, che ne pensi?
Pelaschier – Con Croce ho avuto dei contrasti ma era un uomo notevole. Rolandi non mi pare possa essere ricordato per radicali mutamenti nella gestione della Federazione. Dei tre preferisco Gaibisso. Potrà anche sbagliare, ma è sostenuto da una passione invincibile.
Vela – Siamo arrivati a Teresa e Margherita, le due donne della tua vita.
Pelaschier – Margherita è mia figlia, ha 12 anni. Teresa invece l’ho conosciuta nel 1981.
Vela – Grazie al mito Pelaschier.
Pelaschier – Venne ad Alassio con un gruppo di miei amici di Verona, chiese chi erano i velisti più famosi e così… l’ho conosciuta.
Vela – Lei segue le tue regate?
Pelaschier – Di solito non riesco a trattarla bene ad una regata, sono molto concentrato, penso solo a quello. Però alla Coppa America del 1983, per esempio, mi ha fatto molto piacere la sua presenza.
Vela – Teresa è una tifosa?
Pelaschier – Se perdo mi sgrida, quando vinco è felicissima. Anche io lo sono quando le riesce bene qualcosa.
Vela – So che vivi a Sona, vicino a Verona, che ci fa uno come te lontano dal mare?
Pelaschier – Infatti presto mi sposterò in Adriatico, mi piace la gente allegra, là ce ne è molta, e ci starò benissimo.
Intervista di Luca Bontempelli
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