2009. Dee Caffari, la prima donna a girare il mondo all’incontrario

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Dee Caffari, la prima donna a girare il mondo all’incontrario

Tratto dal Giornale della Vela del 2009, Anno 35, n. 04, maggio, pag  72-77.

Dee Caffari è una ragazza irlandese di 26 anni. Non era mai andata in barca a vela, ma voleva realizzare un sogno: essere la prima donna al mondo a circumnavigare il globo in solitario e controvento. Ci è riuscita e racconta come ce l’ha fatta.


La solitaria inglese al timone in oceano con mare formato. Nata nel 1973, ha iniziato ad andare in barca a vela a 26 anni frequentando un corso per diventare istruttrice. Dopo cinque anni, a fine 2005, è partita per il Giro del Mondo in solitario controvento e lo ha concluso, prima donna della storia, dopo 178 giorni e 26mila miglia. Nel mese di febbraio 2009 ha concluso al 6° posto la regata attorno al mondo in solitario Vendée Globe ed è diventata la prima donna del pianeta ad avere fatto il Giro del Mondo a vela in entrambi i sensi.

A 26 anni una ragazza inglese, che non è mai andata in barca a vela, molla tutto per realizzare il suo sogno: essere la prima al mondo a circumnavigare il globo in solitario e controvento. Ci è riuscita. E racconta come ce l’ha fatta.

Dicono che esiste la navigazione satellitare e ci sono i piloti automatici, i telefoni satellitari e i magici equipaggiamenti che sul computer di bordo quasi incessantemente forniscono dati sulle condizioni atmosferiche. Oggi è tutto troppo facile e, se qualcosa va storto, gli uomini del salvataggio aereo vi tireranno fuori dall’oceano e vi faranno arrivare a casa in tempo per il tè. Forse hanno ragione. Forse la tecnologia ha tolto qualcosa all’attuale spirito d’avventura, ma certe cose non cambiano mai. Chi sorride e trova da ridire non si è mai sognato di sudare sette camicie per mesi per ottenere finanziatori, per costruire la barca e, ebbene sì, per metterci dentro tutta la migliore tecnologia. E non si è nemmeno mai sognato di intraprendere un viaggio in solitario. Ci piacerebbe vederlo al timone di una barca di 22 metri che di norma richiederebbe diciotto uomini di equipaggio, attraverso gli Oceani Antartici del mondo contro i venti e le correnti dominanti e contro l’intera rotazione del globo attorno al proprio asse. Ci piacerebbe vederlo immobile al timone pilotando per ore mentre il vento e le onde s’infrangono senza tregua contro la barca. Oppure lottare senza sosta in quei luoghi desolati in cui le onde sembrano grandi come case quando s’infrangono su di te e sulla tua barca, infischiandosene se è giorno oppure notte. In questi casi bisogna riuscire a mantenere la barca in rotta e contemporaneamente riparare i danni. Nessun telefono satellitare ha mai aiutato qualcuno a superare momenti come questi. Il «viaggio impossibile» potrebbe non essere più tale. Ma continua a essere duro, molto ma molto duro. Storicamente solo cinque persone hanno circumnavigato il globo da est a ovest contro i venti e le correnti dominanti. Dee Caffari è una di questi «impossibili» viaggiatori!
(Sir Chay Blyth – Il più famoso velista inglese, navigatore solitario e vincitore di regate oceaniche in equipaggio).

 

Qualcosa non va per il verso giusto

Qualcosa non andava per il verso giusto. Mi arrampicai lungo la scaletta e illuminai il pozzetto con la torcia elettrica. Aviva si sollevava a ogni onda e ricadeva nell’incavo sbattendo con un terribile tonfo. La barca sussultava violentemente e si fletteva prima di cominciare la risalita dell’onda successiva. L’acqua aveva invaso il ponte e si riversava nel pozzetto in torrenti scroscianti. Per la prima volta da quando avevo la sciato Portsmouth in novembre avevo paura. Il raggio della torcia illuminò una matassa di cime attorcigliate, alcune delle quali erano cadute a poppa. Afferrai il mio lifeline e mi misi a strisciare sulle ginocchia. Mentre mi allontanavo dal riparo della tuga, un muro di acqua gelata mi spinse lontano fino a che il lifeline non fu del tutto teso. Avevo il viso schiacciato contro la superficie fredda e dura di un winch. Lottai per rialzarmi e, quando ci riuscii, mi stupii della furia della tempesta.

Nel buio vedevo la spuma delle onde che si frangevano tutt’intorno a noi, mentre le creste venivano frustate dal vento e volavano via in lunghi getti schiumosi. L’aria era satura di sale e dovetti lottare per respirare. Lottai per recuperare le cime penzolanti con le mani gelate, strisciai ancora in avanti, mi sganciai dal lifeline e mi calai di nuovo nel quadrato. Sotto coperta il frastuono era meno assordante, ma destava maggiore preoccupazione. M’infilai dietro il tavolo da carteggio e osservai gli strumenti che indicavano l’intensità del vento in aumento. Non molto tempo prima il vento aveva raggiunto i 60 nodi. Ora, a ogni sfarfallio delle cifre sul quadrante, la velocità aumentava. Per la prima volta vidi apparire il numero 70. Avevo già attraversato l’Oceano Antartico a bordo di questa barca e la mia fiducia in lei era totale. Aviva era in grado di reggere la situazione.

Ma io? Affrontare un’avaria ora sarebbe stato pressoché impossibile. Misi della musica al massimo volume nella speranza di sovrastare il frastuono, ma non servì a niente. Non riuscii ad attenuare il tonfo profondo della caduta della barca fra le onde, il gemito acuto del vento attraverso le sartie, il brontolio dell’acqua sul ponte e tanto meno lo scricchiolio della struttura portante dell’albero che riecheggiava in quadrato. Spensi la musica. Per quanto mi tendesse i nervi allo spasimo, dovevo ascoltare tutti quei rumori. Il minimo cambiamento di modalità sarebbe stato il primo indizio di qualcosa che non funzionava a dovere…

 

Dee Caffari nasce nel 1973 nell’Hertfordshire, una zona agricola a poca distanza da Londra. Con i genitori e la sorella maggiore passa i weekend e le vacanze a bordo di una barca a motore di 12 metri, il Louis Philippe. Terminati gli studi, diventa insegnante di sport all’Harrow House College. A 26 anni, dopo la morte dell’amato padre, decide di dare una svolta alla sua vita, si iscrive a un corso della United Kingdom Sailing Academy per diventare skipper e istruttrice di vela. Un anno dopo naviga tra Inghilterra e Caraibi come skipper di barche a noleggio ed entra in contatto con i grandi navigatori solitari oceanici.

 

Circondata dal ghiaccio

Nei tre giorni successivi il vento non si placò. Attraversai le due tempeste, una dietro l’altra. A volte il vento superava i 60 nodi e mi lasciava esausta. Il rumore, il movimento e le preoccupazioni non mi facevano dormire né mangiare. Dopo tre giorni mi sentii spossata. Non riuscivo a pensare con lucidità e chiarezza. Ogni volta che chiudevo gli occhi, mi assalivano visioni di onde che si frangevano. Se mi addormentavo, pochi secondi più tardi mi svegliavo con un sobbalzo nel timore che Aviva cedesse. Quella stessa settimana, dopo che le tempeste ci avevano finalmente superato, per la prima volta vidi gli iceberg. Erano tutt’intorno a noi, bellissimi e letali. Quando gli iceberg erano vicini apparivano anche sul radar, ma se erano lontani si perdevano nei flutti. Chiusi i portelloni a tenuta stagna, preparai il kit d’emergenza e pregai.

Nel diario scrissi: “Di notte non posso fare molto altro che incrociare le dita, pregare che il radar intercetti gli iceberg e continuare sulla mia rotta. Questa sarà un’altra notte con pochissimo sonno e moltissime preoccupazioni”. Il timore e la disperazione che provavo mentre Aviva e io eravamo circondate dal ghiaccio erano sensazioni nuove per me. Fu il punto più difficile di tutto il viaggio che avrebbe dovuto fare di me la prima donna a navigare in solitario e senza scalo attorno al mondo contro i venti e le correnti dominanti. Non sapevo come uscire da quella situazione. Ma ventiquattr’ore più tardi la mia prospettiva era cambiata. Lacrime e disperazione non servivano a niente. Dovevo solo farmi coraggio e accettare le cose come stavano.

Durante la navigazione mi accorsi con stupore di provare emozioni contrastanti. Nei momenti più difficili cercavo di trovare in me maggiore determinazione. Anche dopo aver passato giorni e notti, a volte anche una settimana, senza quasi mangiare e dormire, riuscivo a trovare in me l’energia per battermi contro gli elementi. Non rinunciai mai al mio sogno. Quando nel novembre 2005 partii per questa impresa, non avevo alcuna idea di quanto sarebbe stato difficile. Avevo pensato a lungo all’isolamento e alla solitudine del navigare da sola, ma non avevo immaginato la quantità di sofferenze che avrei dovuto sopportare mese dopo mese. Non fu solo una circumnavigazione, ma anche un viaggio alla scoperta di me stessa. Ogni giorno dovevo trovare energie nuove e pensare in modo ottimista. Mi convinsi che nella sfida potevo cercare di ottenere più di quello che mi sarei immaginata. Appresi che anche le situazioni peggiori hanno una fine. E che tutto quello che succede va rapportato con le precedenti esperienze.

 

Pensare all’obiettivo successivo

Quando dovetti affrontare nell’Oceano Antartico una nuova tempesta con venti della forza di un uragano, mi consolai dicendomi che probabilmente avevo già lottato contro venti ancor più forti. Cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno. Lottare mi risulta spontaneo. Perciò l’obiettivo di fare il giro del mondo in barca a vela in solitario si è spezzettato in scopi minori e più raggiungibili. Se a bordo tutto funzionava, pensavo a Capo Horn o a Capo Leeuwin, oppure ad altri capi importanti. Quando le condizioni atmosferiche peggioravano, mi avvicinavo all’obiettivo successivo. A volte si trattava di superare il grado di longitudine più vicino, altre volte solo di sopravvivere per poche ore e arrivare fino a un nuovo fronte meteorologico.

Quando le cose andavano davvero male, mi concentravo su ogni piccolo passo e alla fine mi concedevo una ricompensa. Se ero riuscita a superare le ore difficili, mi premiavo con una bevanda calda. Se riuscivo a superare l’intera giornata, mi concedevo un bel riposo con il mio pasto preferito. Se avessi superato la tempesta, mi sarei fatta una doccia e mi sarei cambiata gli abiti. Indipendentemente dall’ampiezza della sfida che si affronta, ogni piccolo passo ha la sua importanza. Anche particolari minori possono rendere la vita di nuovo felice. Sono tornata a essere la persona che ero prima di partire, ma nessuno compie un viaggio simile senza cambiare un po’. Sono diventata più decisa.

Non capisco perché la gente passi tanto tempo a preoccuparsi di cose per le quali non c’è niente da fare. La vita è troppo breve per sprecarla così. Bisogna affrontare le sfide senza lasciarsi sfuggire le occasioni. Lo ammetto, un giro del mondo controvento e contro corrente è eccessivo e molte volte, quando le condizioni atmosferiche erano spaventose, mi chiedevo perché lo stessi facendo. A volte mi domando ancora come mai abbia potuto compiere quest’impresa così particolare. Ecco di che cosa parla la mia storia. Anche quando sei in mare aperto a combattere contro i flutti, con gli occhi fìssi sull’orizzonte, ci sono momenti in cui ti chiedi: «Come diavolo sono finita qui?» .

Dee Caffari


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1 commento su “2009. Dee Caffari, la prima donna a girare il mondo all’incontrario”

  1. Non sorprende come anche negli articoli d’ epoca emerga la vostra superficialità, è evidentemente un marchio di fabbrica. La ragazza ey irlandese , improvvisamente diviene inglese ? Irlanda ed Inghilterra sono nazioni diverse , come Scozia e Galles, appartenenti alla Gran Bretagna, non all’,’ Inghilterra, ergo un irlandese non è un inglese , co e un francese non è italiano.

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