1986. Perde il bulbo in oceano, cos’è successo?

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Perde il bulbo in oceano, cos’è successo?

Tratto dal Giornale della Vela del 1986, Anno 12, n. 8, settembre, pag 70/73.

Un vero giallo infiamma l’estate 1986. Mentre regata in oceano lo sloop Berlucchi scompare. Viene ritrovato mesi dopo senza bulbo, rovesciato. Accuse tra cantiere e famiglia dell’equipaggio, colpe, ipotesi che si accavallano, ricerche negate…


S.O.S. Oceano

E’ accaduta la peggior disavventura che possa capitare ad una barca a vela: perdere il bulbo. Vi raccontiamo tutto quello che non sapete sulla tragedia della barca di Panada e Kramar. I perchè, le colpe, le accuse, le ipotesi.

La notizia del ritrovamento dello scafo di Berlucchi Champenoise d’Italia, lo sloop con cui Beppe Panada e Roberto Kramar stavano partecipando alla Twostar, regata da Plymouth a Newport con equipaggio di sole due persone, rimbalza sulle prime pagine dei quotidiani italiani mercoledì 23 luglio. Da circa due settimane i giornali avevano cominciato a interrogarsi sulle sorti dei due velisti italiani, Un allarme che a molti era parso eccessivo, tanto che anche tra i familiari di Panada e Kramar un silenzio radio che durava oramai da quasi un mese non aveva ancora destato particolari preoccupazioni. La figlia di Panada, Carlotta, ha confessato che prima di leggere i numerosi articoli comparsi sulla stampa non pensava che alla barca di suo padre potesse essere accaduto qualcosa. L’ultimo contatto radio con un mercantile di passaggio risaliva al 14 giugno. Panada e Kramar avevano parlato con il VHF perché la radio era fuori uso; ma tutto OK. Inoltre, il nastro registrato dagli inglesi che informava giornalmente sulle posizioni dei regatanti li dava, una settimana dopo la partenza, al terzo posto tra i monoscafi. Poi, da quel 14 giugno nessuna notizia fino al ritrovamento del relitto: lo scafo galleggia rovesciato a 44,30 gradi nord e 32 ovest privo del bulbo. L’albero è spezzato a soli quaranta centimetri dalla coperta e a bordo non c’è nessuno. Mancano però, così comunicano i sub francesi che ispezionano la barca, le due zattere di salvataggio, due giubbotti salvagenti, la radio VHF portatile e il libro di bordo. È subito evidente che la barca è stata volontariamente abbandonata, pare però che sulle zattere non ci siano razioni alimentari. Spesso i costruttori se aggiungono all’autogonfiabile una scorta di cibi liofilizzati non riescono più a chiudere le sacche delle zattere, quindi tralasciano completamente di fare questa operazione.

È una brutta abitudine questa di chi fa le zattere”, dice il vincitore della Brooklyn Cup Pierre Sicouri, “l’unica soluzione e usare per l’autogonfiabile da sei persone una sacca per quello da otto“. Comunque, perché un bulbo, che dovrebbe essere ben saldo sotto lo scafo, si stacchi, improvvisamente o meno non è possibile stabilirlo, è un vero mistero. La stessa cosa accadde a Drum, il maxi di Simon Le Bon, durante l’ultimo Fastet, ma il motivo non è ancora stato stabilito e l’ipotesi più assurda, paradossalmente, sembra anche quella più probabile: i bulloni dei prigionieri si sono svitati. Drum, comunque, prima di perdere il bulbo aveva picchiato.

La tesi del cantiere

Nell’accavallarsi di tesi che si sono incrociate subito dopo il ritrovamento del relitto del Berlucchi, si sente già la possibilità di uno scontro tra i parenti dei naufraghi e il cantiere costruttore. Per Carlo Chiappa, amministratore delegato del cantiere costruttore, l’Eurosebina, non ci sono dubbi, la barca era stata costruita a regola d’arte. Secondo Chiappa il cedimento non può essere stato strutturale: 12 perni da 32 millimetri affogati nel piombo, con uno scatolato in acciaio inossidabile nel punto di contatto tra chiglia e scafo, sono praticamente impossibili da rompere, il carico di resistenza al taglio è diì 35 tonnellate l’uno.
Le stime dei francesi parlano chiaro” afferma senza ombra di dubbio Carlo Chiappa, “se il naufragio è avvenuto in occasione della depressione tra il 18 e il 20 giugno, la barca si trovava 500 miglia più a ovest di dove è stato trovato il relitto, dalle parti dei banchi di Terranova, in una zona che le Pilot chart di giugno indicano come limite estremo meridionale degli iceberg. Quindi, probabilmente Panada e Kramar stavano navigando sotto spi (attaccato all’albero sono stati trovati brandelli di spinnaker, ndr) quando li ha investiti una tromba d’aria improvvisa senza che loro potessero fare in tempo a ridurre la velatura. Così a più di 10 nodi, possono essere finiti contro un blocco di ghiaccio completamente sommerso“. Chiappa conclude osservando che, se la sua teoria fosse esatta, Berlucchi al momento dell’incidente sarebbe stato primo tra i monoscafi iscritti alla Twostar.

Cosa dicono i familiari

I familiari dei naufraghi hanno ribattuto che la barca issava lo spi perché i due skipper stavano già facendo rotta verso le Azzorre: il bulbo ballava già e non si fidavano a proseguire la regata; proprio mentre cercavano un riparo la chiglia avrebbe ceduto improvvisamente. La moglie di Panada ha dichiarato che già a Plymouth suo marito aveva notato una via d’acqua proprio nel punto di attacco dell’appendice allo scafo, inoltre pare che prima della partenza tra i due ci sia stata una lite, forse perché uno dei due si rendeva conto che la barca non era poi cosi sicura. “Durante il trasferimento chi aveva più fretta di arrivare in Inghilterra“, racconta Silvio Vegliani, velista milanese che ha fatto parte dell’equipaggio del Berlucchi da Rapallo a Lisbona, “era Kramar, mentre Beppe ostentava grande sicurezza ed era proprio gasato per la sua nuova barca, tanto da lasciarsi andare a progetti per il Giro del Mondo, la Whitbread del 1989. Per quel che riguarda lo scafo posso dire che durante il trasferimento ha avuto alcuni problemi all’impianto elettrico per un infiltrazione d’acqua da un boccaporto di prua e dagli sfiati dei serbatoi della nafta, comunque era bello e senz’altro veloce. La prima cosa che ho pensato, però, è stato che avessero disalberato perché l’albero era probabilmente messo a punto un po’ a spanne“.

 

Il Berlucchi fotografato alla partenza della Twostar, l’8 giugno. E’ un 18 metri progettato di Mino Simeone appositamente per le grandi regate oceaniche.

 

L’ipotesi di Sicouri

Per Sicouri, le ipotesi di quelle che potrebbero essere in un futuro parti avverse, hanno entrambe delle versioni discutibili: “La presenza dello spinnaker non significa che stessero tornando indietro, anche io durante la Ostar ho avuto dei giorni con vento in poppa o al lasco, mentre la presenza dello spi indica che sicuramente le condizioni atmosferiche non dovevano essere particolarmente dure, inoltre non so quanto possa essere valida la teoria della collisione con un qualcosa di semisommerso perché, prima della chiglia, picchia la prua della barca. Sono però sicuro che Panada e Kramar abbiano avuto sufficiente tempo per abbandonare la barca che si sarà coricata in pochi secondi su un fianco, ma che avrà impiegato parecchi minuti per capovolgersi completamente. Sotto le vele infatti si crea una sacca d’aria che rallenta il ribaltamento. Quello che invece non so spiegarmi, è perché abbiano abbandonato completamente la barca che è senz’altro più facile da trovare di un battellino“.

La teoria di Falck

Chi è convinto del cedimento strutturale dell’attacco della chiglia del Berlucchi è Giorgio Falck. Per l’ingegnere velista milanese, che ha potuto paragonare i dati della barca costruita dall’Eurosebina con il suo Rolly Go, barca abbastanza vicina per dimensioni al Berlucchi, i 12 prigionieri da 32 millimetri non erano del tutto sufficienti ad assicurare la massima tranquillità. Sul Rolly Go, un paio di metri più corto, e con un dislocamento più basso di circa tre tonnellate, i prigionieri erano 18 e da 35 millimetri, per resistere a un carico di rottura di circa 200 tonnellate. Comunque al di là del non secondario fattore umano che ha visto gli inglesi e gli americani resistere alle pressanti richieste di aiuto, mentre le istituzioni italiane si sono date da fare superando ogni più ottimistica aspettativa, lascia un po’ di amaro in bocca constatare che gli unici che hanno saputo dare un po’ di lustro alla vela oceanica italiana sono stati proprio Giorgio Falk e il suo entourage: Martinoni e Sicouri in particolare. Per il resto la vela oceanica italiana da regata, se si eccettuano le brillanti atlantiche in solitario del medico milanese Edoardo Austori, non ha mai brillato per risultati.

Il rifiuto della ricerca

È anche vero però che chi partecipa a una regata oceanica lo fa a suo rischio e pericolo, ma questo non giustifica, nel momento della richiesta il quasi rifiuto degli organizzatori di sollecitare le ricerche dei naufraghi. Purtroppo anche questo atteggiamento, da parte degli inglesi che fanno dell’arte marinaresca la massima espressione della capacità dell’uomo di arrangiarsi, è significativo dell’atteggiamento nei confronti dei navigatori oceanici italiani. Ma è importante sottolineare che, contrariamente alla maggior parte delle traversate atlantiche, la Twostar non prevedeva l’uso del sistema di rilevazione satellitare Argos strumento oramai indispensabile per mantenere vivo l’interesse per questo tipo di regate, ma anche un contributo alla sicurezza dei concorrenti fondamentale nell’era della telematica.

Stefano Vegliani


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