1978. Passaggio a Capo Horn per dieci italiani avventurosi
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Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.
Passaggio a Capo Horn per dieci italiani avventurosi
Tratto dal Giornale della Vela del 1978, Anno 4, n. 2, marzo/aprile, pag. 28/30.
Il grande velista Pierre Sicouri racconta il passaggio a capo Horn e la navigazione avventurosa del B&B, la barca italiana che partecipa al Giro del Mondo. A bordo ci sono dieci ragazzi poco più che ventenni che diventeranno famosi.
Un’esperienza indimenticabile che esula dallo spirito competitivo di una regata intorno al mondo. Il fascino misterioso dell’Horn è ancora presente e quelli del B&B l’hanno “sentito”. La terza tappa ha avuto vinti, vincitori e feriti. L’incidente più grave è capitato sul 33 Export. Flyer è favorito per la vittoria.
Carissimo Giorgio, ti mando qualche notizia sulla terza tappa del giro del mondo. È stata davvero splendida, forse la più bella di tutto il giro per il suo fascino misto di mari del Sud, Capo Horn e caldo Aliseo. 26 dicembre: Molliamo gli ormeggi dal Marsden Whart, tra una folla di amici vecchi e nuovi, che ci gridano incoraggiamenti e auguri. Nel panico dell’ultimo minuto King’s Legend, uscendo di poppa, urta violentemente la prua del suo più diretto rivale, Flyer. La Mouette, una delle ragazze imbarcate su 33 Export cerca freneticamente la loro pentola a pressione, dispersa alcuni giorni prima in una festa. Paolo è l’ultimo a saltare a bordo. Nei suoi occhi la felicità di ripartire. L’ospitalità neozelandese è stata calorosa, ma abbiamo presto ripreso a sognare i mari del sud. Auckland è senz’altro la Cowes australe. Un’infinità di isole, verdissime, proteggono uno specchio di acqua splendido, vento sempre teso, mare piatto, il paradiso delle barche di Farr. Il sole accentua i molti contrasti di colore. Sono fuori in molti, un migliaio circa, a salutarci si, ma anche a tirare due bordi in questa magnifica giornata di Natale. La vela è sport nazionale e passione collettiva. Durante i weekend non si riescono a contare le vele di ogni tipo, one tonners di Farr, 18 piedi inverosimili, derive, tavole a vela, monotipi old fashion, con bompresso e boma senza fine. È la patria di autentici appassionati, che organizzano due regate alla settimana, una media durante il weekend, e un triangolo di 21 miglia il mercoledì sera, dopo la chiusura degli uffici! Per noi è stata organizzata una Mini One Ton Cup, con quattro Farr messi a nostra disposizione. La partenza sa di Solent; vento a 60 gradi, tre miglia fino alla boa di disimpegno. Pen Duick mostra subito le sue bellicose intenzioni: parte sottovento a tutti e arriva primo in boa, seguito dai più grandi Condor e Great Britain II. Inizia una lunga serie di bordi per scapolare le coste della Nuova Zelanda. Passiamo a qualche miglio dall’isola White, il vulcano in attività, sbuffa come per salutarci. Da 1024 mb, il barometro scende a 980 mb. Dieci giorni di bolina, questa è la festa che il Capo Agullhas ci aveva risparmiato. È un po’ duro, tutto umido, la stanchezza, la « fiacca da bolina », la difficoltà di cucinare.
Per i nuovi è un bel battesimo!
Nella risalita del barometro il vento soffia forte da SE. 45-50 nodi per 36 ore. Un po’ troppo per i nostri gusti. Tormentina grande e tre mani, mare duro in coperta, 50 gradi dal vento, la barca pena un po’, a dire il vero, e dà grandi batoste nelle onde. Noi della seconda tappa, riconosciamo nel mare cupo, ripido e frangente la potenza del grande Sud. Per i nuovi è un bel battesimo! La randa si strappa per ben tre volte, sempre ricucita, alla quarta issiamo la randa di cappa, che ha perso ogni ridicolo, e tira benissimo. Le barche superleggere, Gauloises e 33 Export mettono più volte gli alberi in acqua. 33 Export ci racconterà di essersi rovesciato a 170 gradi, batterie che si staccano dalle loro sedi e caos inverosimile in cabina. Marie -Laure, presa da un’onda al timone, viene trascinata fuori bordo. Rimane appesa per la sua cintura di sicurezza e rapidamente issata a bordo. Passando l’antimeridiano di Greenwich la data viene portata indietro di un giorno e viviamo due volte la stessa giornata. Buffo, no? Il 3 il vento gira finalmente in poppa. Alla posizione radio sembriamo messi bene, un po’ più a nord della flotta, ma avanti in longitudine. Non fa per niente freddo e ricompaiono i pigri albatros che contrastano con gli stormpetrels soprannominati da Enrico « nervosetti » per il loro volo frenetico. Paolo agita le braccia fischia e riesce a richiamarne più volte uno a pochi metri. Sono le prime «volate » pacifiche: ritroviamo il fascino delle planate tra due muri d’acqua, fino a 19 nodi, mediamente a 12. Sono anche le prime di Paola, che superata la tensione iniziale, porta tranquillamente il B&B Italia, molto stabile in poppa. E’ bello avere una donna a bordo non relegata in cucina ma a prua e al timone come e quanto noi, e non certo la più pigra di bordo. Siamo in dieci, forse un po’ troppi. Corrado Di Majo, Paolo Martinoni, Enrico Sala, Enrique Vidal, Sandro Quaglia, Bruno Finzi, Paola Pozzolini, Vittorio Ferreri, Adriano Di Majo ed io. Due turni di quattro uno, uno fuori turno in cucina, e Adriano, imbarcato unicamente per girare un film.
Onde ripide e pericolose
La prima impoppata è anche la prima straorzata, coricati in acqua, spi a collo e attorcigliato attorno allo stralletto. Il mare è meno imponente che nell’oceano Indiano, ma anche molto meno regolare. Le onde sono più ripide e pericolose. L’altro turno ci racconta la più grossa onda della loro vita, che ha coperto la barca di schiuma. Sono parecchio emozionati e ne parlano molto. Iniziano giornate di pioggia (ne approfittiamo per fare acqua), un po’ di freddo, clima antartico per eccellenza, mancano solo gli iceberg. Il grosso della flotta ne avvista molti sui 58 gradi sud. Compare anche la nebbia che sfuma i contorni di ogni cosa, che ricorda a qualcuno la pianura Padana. Una mattina Enrico avvista una sperm whale di 18 metri, che, curiosa, ci passa a una ventina di metri. Con Pen Duick e Gauloises seguiamo una rotta ortodromica tangente al 56° parallelo. Questa rotta risulterà poi quella dei vincenti. Si decide di non scendere più a sud per cercare di evitare troppe bonacce, e di passare a sud delle depressioni. Molte transitano sopra di noi e boliniamo spesso e malvolentieri. È scoraggiante tirare bordi 40 gradi fuori rotta in pieno oceano. La barca non ha potenza in questa andatura e perderemo molte posizioni. Dal 14, a 1000 miglia dall’Horn, camminiamo col vento a 120 gradi sotto starcut. Ci coglie un groppo di 40 minuti circa con sempre maggiore violenza. Prima poggiamo, e presto siamo costretti ad ammainare. Ci ritroviamo, sotto yankee piccolo e tre mani, sempre al lasco. Sono i groppi più violenti che io abbia mai incontrato. Li valutiamo in oltre 50 nodi.
Lo Horn si avvicina e il morale rimano alto
Ci investono autentiche nuvole di grandine prima, di neve poi, superbe e gelide. Comincia a fare decisamente freddo, e la stufa, in barba agli sforzi di Corrado, ne approfitta per rifiutare di accendersi, probabilmente per l’insufficiente tiraggio del camino. Guanti e suolette di montone, rimediati ad Auckland ci risparmiano i congelamenti e le sofferenze della seconda tappa. Sotto, si installa una fastidiosa condensa piove dovunque, i sacchi a pelo umidi, ma la vicinanza dello Horn ci tiene alto il morale. La randa continua a scucirsi con esasperante regolarità e ci impegna in ore di lavoro ogni turno. Randa di cappa, mare non alto, ma molto duro, forse perché lo abbiamo sempre a 120 gradi, ed alcune onde, anche se di dimensioni ragionevoli, ci investono al traverso. Una un po’ particolare sradica il pulpito di prua, piega i primi due candelieri, e strappa il tangone di sopravvento, sradicando gli attacchi in coperta. Due dei tre Swan 65 subiscono danni allo skeg, con le conseguenti vie d’acqua. Una mattina sfreccia sotto la prua una famiglia di delfini bianchi e neri, parenti delle orche. Pen Duick gira per primo la «boa Horn» seguito da Great Britain Il e da Flyer. Per Condor e King’s Legend ogni possibilità di un buon posto è ormai persa. Sono stati decisamente troppo a sud incontrando, oltre agli iceberg, bonacce e venti contrari. Pen Duick, Flyer, Gauloises, 33 Export e Traité de Rome guidano la classifica.
Il momento più emozionante della mia vita
Il 19 sono fuori turno, ma non riesco a prendere sonno. Salgo in coperta, alle 3 prendo il timone, 35-40 nodi da SW, genoa 3 tangonato, due mani di terzarolo alla randa. Avvisto le isole della Terra del Fuego. Atterriamo su Capo Carfort, mare verde scuro, alto, violento. Terra dantesca che fuma nuvole. Si intravede erba, roccia, neve dopo 26 giorni di mare. È il momento più emozionante della mia vita. Vittorio non riesce a intimorirci con i suoi terrificanti racconti sui fantasmi dell’Horn. Costeggiamo, vento al traverso; Cabo Catedral de York si erge imponente. Lasciamo Les Islas Ildefonso a dritta, il Falso Cabo de Hornos, lIsla Hermite e l’Horn. Siamo terribilmente emozionati. Il mare, solo grosso, ci permette di passare a mezzo miglio, ai limiti della secca bianca di schiuma, su cui frangono le onde. È quello delle fotografie, dei racconti. Ancora più bello di quello sognato e desiderato. Ora ci appare più mite. Grigio e bianco, scosceso. Vivo il folle sogno di scalarlo, cavalcare il mostro. Due vie, la sud, più bella, la frastagliata cresta SE. Alle sue spalle un prato all’inglese, disteso e immenso, sconcertante per dolcezza. È questo l’altro volto del Capo. Ridiamo eccitati, forse per scaricare un po’ delle tensioni di questa giornata incredibile. Il grande Horn è presto piccolo di poppa, e scompare riavvolgendosi in un groppo di nevischio, come a puntualizzare la sua invulnerabilità. Oltrepassiamo le guglie delle Islas Deceit, lo stretto di Lemaire, coprendo 28 miglia in due ore, con 6,2 nodi di corrente a favore. Un puntino rosso ci viene incontro. È l’Endurance, nave oceanografica della Marina Militare inglese, incaricata di segnare i passaggi dell’Horn. È bello vedere che è qui apposta per noi. Ci gira un po’ intorno, filma, si sbracciano tutti e ci salutano sull’attenti con l’ammaina-bandiera!!! Siamo belli, pare, sotto starcut, yankee, una mano.
Le sorprese non sono finite
L’Atlantico ci riserva però alcune sorprese. Una violenta depressione, con il sempre stupendo mare grosso di poppa, frangenti in coperta e planate. Su 33 Export si sfiora il dramma. Un grosso frangente li corica. Slegati, volano in tre. Eric Letrosne (dell’equipaggio del Benbow), si ritrova fuori dalle battagliole, senza conoscenza. Lo trattiene a bordo una gamba attorcigliata ad una draglia. Lo recuperano e la situazione appare gravissima. Ha una frattura scomposta del femore. Non si può neppure spostarlo e gli viene iniettata morfina in pozzetto. Chiamata in emergenza sulla 2182, ma il rimorchiatore di altura, promesso non parte mai: i brasiliani si beffano di loro. Dirigono allora su Rio Grande do Sul, distante 600 miglia, mettendosi alla cappa quando la barca picchia troppo di bolina. Esauriscono i medicamenti e decidono di incontrarsi con Japy Hermes che incrocia praticamente la loro rotta. Le condizioni del mare non permettono alle barche di stare bordo a bordo e vengono lanciati acqua e medicinali. Il medico del Japy raggiunge a nuoto 33 Export con cui proseguirà fino a Rio Grande dove Eric ed altri due membri dell’equipaggio in cattive condizioni vengono felicemente curati. A 800 miglia da Rio cominciamo a bolinare con venti freschi da NNE. L’acqua è caldissima, il sole torrido, i pesci volanti annunciano l’aliseo. Peschiamo un bel dorado. Bordi quadri con percorrenze reali bassissime, 100-120 miglia giornaliere. Si picchia duro nel mare corto. Le vele sono ormai logore e scoppiano con una rapidità disastrosa. Tre spi, cinque fiocchi, e la solita randa in pochi giorni. La prassi è la bugna che si strappa interamente quando la barca picchia sull’onda. Non resta che un brandello attaccato alla scotta, e la vela che sbatte libera nel vento. Ci rendiamo conto dello sbaglio commesso a non esserci procurati un gioco di vele nuove in Nuova Zelanda. Una vela cucita con criteri normali non può assolutamente reggere per un intero giro.
Accoglienza calorosa e nono posto in classifica
Su molte barche si registrano infezioni, foruncolosi a braccia e gambe. Avitaminosi, umido, virus a bordo? I pareri sono tutt’ora discordi. All’alba del 3 avvistiamo la familiare sagoma del Corcovado. Tagliamo la linea alle 4 locali, dopo aver perso alcune ore, nelle bonacce della costa. Sotto al Pan de Açucar, allo Iate Club, ci accolgono amici e capirinhe nella tropicale euforia del Carnevale. Gauloises è primo, Flyer secondo, Traité de Rome terzo. King’s Legend, al settimo posto, si è giocato il risultato finale, mentre Flyer ha messo ormai una seria ipoteca sulla vittoria. Pen Duick, terzo classificato, viene squalificato perché non è in possesso di un certificato di stazza valido per il 1977. L’ORC si è rifiutato di rinnovarglielo a causa della chiglia in uranio che Tabarly, amareggiato, si è ora deciso a cambiare. Rimane ancora difficile definire una barca vincente per il prossimo giro. Le superleggere, 33 Export e Gauloises, possono vincere
una tappa ma presto o tardi spaccano (Gauloises ha addirittura storto l’albero sotto la compressione del tangone), e non hanno probabilità di poter vincere in assoluto. I grandi, al limite dei 70 piedi, non riescono a pagarsi il rating. Le migliori rimangono le barche medio-grosse, tipo Flyer, o i velocissimi Admirals Cupper, come può dimostrare l’ottima regata del Traité de Rome. Il nostro nono posto in classifica è in parte giustificato da numerose ore perse a causa delle troppe defaillances delle nostre vele, e a circa 20 giorni di bolina, andatura che non ci è molto favorevole.
Pierre Sicuori
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2 commenti su “1978. Passaggio a Capo Horn per dieci italiani avventurosi”
👍👍👍
Che vita meravigliosa abbiamo avuto …❤️