2010. Come attraversare l’Atlantico a vela con due automobili. Avete letto Bene!

IL REGALO PERFETTO!

Regala o regalati un abbonamento al Giornale della Vela cartaceo + digitale e a soli 69 euro l’anno hai la rivista a casa e in più la leggi su PC, smartphone e tablet. Con un mare di vantaggi.

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.


Come attraversare l’Atlantico a vela con due automobili. Avete letto Bene!

Tratto dal Giornale della Vela del 2010, Anno 36, n. 03, aprile, pag 76-81.

I tre fratelli Amoretti e un amico, a bordo di una Ford Taunus del 1981 e una Volkswagen Passat dell’87, hanno attraversato l’Atlantico a vela. Un’impresa straordinaria e da “fuori di testa”. Scoprite una delle storie più pazze del mondo.


Mauro Amoretti si cimenta a La Palma con il paracadute ascensionale, a cui poi verrano preferite delle vecchie vele. Sia la Ford che la Volkswagen erano macchine perfettamente funzionanti al momento del varo.

Oceano 1999. L’avventura dimentica dei fratelli Amoretti

A bordo di una Ford Taunus dell’81 e di una Volskwagen Passat dell’87, tre fratelli e un amico hanno sfidato l’Atlantico, assecondando il sogno del padre condannato dal cancro. Un’ impresa straordinaria portata a termine da uomini fuori dal comune.

Quattro ragazzi, una Volkswagen Passat dell’87 e una Ford Taunus dell’81, un’incredibile vicenda familiare alle spalle, l’oceano. E’ la storia dei fratelli Marco, Mauro e Fabio Amoretti che, in compagnia di Marcolino De Candia, si sono lanciati in un’avventura senza precedenti percorrendo, a bordo delle due auto riempite di poliuretano espanso, il tratto di mare tra La Palma (la Isla Bonita delle Canarie) e la Martinica. Una storia dimenticata, non compresa a fondo dalla stampa e dai media di dieci anni fa, che si preoccuparono di presentare l’impresa come una moderna Odissea, tra squali, balene e uragani. I fratelli Amoretti sono figli di Giorgio, fotoreporter, una personalità fuori dagli schemi: provocatore, strenuo difensore di cause, spirito libero. Giorgio tentò nel 1978 la traversata oceanica a bordo di quella che lui chiamava “Automare”, un maggiolino Volkswagen pieno di polistirolo, ma fu subito fermato dalle autorità spagnole. Nel 1999, gli viene diagnosticato un tumore maligno. I tre figli e Marcolino, caro amico di famiglia, si mettono a lavorare sodo. Giorgio potrebbe avere i giorni contati e i ragazzi vogliono regalargli un sogno: attraversare a bordo di due “Automare” l’Atlantico, assieme a loro. Ma Giorgio si rivela troppo debole per partecipare all’impresa. E’ il 4 maggio del ‘99, i primi raggi del sole illuminano l’ossidiana lucida di La Palma: quattro curiosi individui (giovanissimi, a parte Fabio, più che trentenne, figlio dell’unione di Giorgio con la prima compagna Lucia Morellato), dopo aver riempito Passat e Taunus di polistirolo, viveri, strumentazione, e averle dotate di una zattera di salvataggio sul tetto, varano queste altrettanto curiose imbarcazioni. E’ l’alba, momento scelto dagli autonauti per evitare la Guardia Civìl. Le auto proseguono sospinte da due fuoribordo finché non finisce la benzina. I ragazzi non ci pensano due volte: staccano i motori e li guardano sparire negli abissi dell’oceano. Il “motore” da adesso dovrebbe essere un paracadute ascensionale (un altro dei pallini di Amoretti senior), ma il vento instabile e leggero dei primi giorni di autonavigazione lo rende inutilizzabile. Molto meglio un paio di vele, rimediate da chissà quale circolo del Levante ligure, montate alla carlona sul tetto delle auto da Marcolino De Candia.

 

 

Silenzio dall’Atlantico

Le due macchine finiscono per ricordare, seppur vagamente, il gommone a vela Zodiac “Hérétique”, su cui il fisico francese Alain Bombard compì una traversata in solitario dalle Canarie alle Barbados, bevendo quantità controllate di acqua e succo di pesce da lui catturato. Un naufrago volontario, in quel lontano 1952, per dimostrare la teoria secondo cui dopo un naufragio si muore più per disperazione che per stenti. Intanto, dopo 10 giorni di brezzoline, le correnti mantengono gli autonauti a poche miglia dalle coste spagnole, facendoli girare in tondo. Fabio e Mauro decidono di gettare la spugna il 14 maggio. Mal di mare, morale sotto le scarpe e forse la consapevolezza di trovarsi in un ambiente a loro alieno: vengono portati a terra dall’elisoccorso di Tenerife. Marco e Marcolino invece, a bordo di una macchina sull’oceano, si trovano benissimo. In mare sono liberi, privi dai condizionamenti di una società sempre più competitiva e materialista, una società in cui hanno sempre faticato a riconoscersi. Tutto bene fino al 25 maggio, quando saltano i contatti con la terraferma. Il telefono satellitare Imarsat si spegne, forse per il contatto con l’acqua (“imbarchiamo acqua dal sedile davanti!” scrive Amoretti sul diario di bordo), o per la mancanza di sole, che alimenta le batterie fotovoltaiche (solo energia pulita a “bordo”). I due paiono scomparsi nel nulla. Marco Amoretti, 23 anni, e Marco De Candia, 21, potrebbero aver fatto una brutta fine. “Silenzio dall’Atlantico”, titola il Secolo XIX, e tutta Sarzana (dove si sono stabiliti gli Amoretti) si ritrova in subbuglio. In realtà i ragazzi se la passano alla grande, sono in perfetta sintonia. Marco scrive, Marcolino medita. Nel frattempo, il 28 maggio, Giorgio Amoretti muore, e quando il 5 luglio l’Imarsat riprende a funzionare, Serenella Vianello (madre di Marco e Mauro, seconda compagna di Giorgio) decide di non dire nulla a Marco, timorosa che la notizia possa causargli un duro colpo psicologico. Le macchine si rivelano mezzi relativamente sicuri, Nettuno è magnanimo e le depressioni oceaniche (tra cui l’uragano Emily) risparmiano i ragazzi. Urge un altro parallelo con Alain Bombard, che dopo 53 giorni di navigazione incrociò la nave inglese Arakaka: Amoretti e De Candia incontrano per puro caso la petroliera Chevron Atlantic, il cui comandante si dimostra generoso e lancia in mare numerose provviste recuperate da Marco a nuoto. Sono al 108° giorno di oceano e l’avvistamento della nave lascia intendere che la terra è vicina. Nel frattempo, Fabio, Mauro e Serenella sono giunti nelle Antille per organizzare l’arrivo delle auto. Sorvolano il tratto di mare antistante la Martinica portando con loro i giornalisti increduli: i due folli danteschi ce la stanno facendo, sono ad un passo dal traguardo. In un contatto radio, Serenella decide di rivelare a Marco la morte del padre, per evitare al ragazzo una terribile delusione a terra.

Uno sguardo d’insieme alla “cambusa” degli autonauti. Canne da pesca e fucili subacquei hanno garantito qualche porzione di pesce fresco durante la traversata.

 

Accolti come degli eroi e subito dimenticati

Arrivati a Port Tartane il 31 agosto, dopo 119 giorni in mare, gli autonauti vengono accolti come eroi dai media italiani ed esteri. Poi, il buio. Troppe cose non piacevano. Troppe cose scomode da ammettere: era possibile attraversare l’Oceano quasi per gioco, con delle macchine sgangherate. Erano riusciti a farlo due ragazzi totalmente estranei al mondo della vela solitaria, privi di conoscenze nautiche, mezzi tecnici e sponsor, peraltro poco dopo la vittoria di Giovanni Soldini alla Around Alone. La stampa locale ligure fu l’unica a giocare su questo contrasto tra modi antitetici di vivere il mare, perché sia Soldini che gli Amoretti erano legati a Sarzana. Oggi, a più di una decina di anni di distanza, le immagini dell’insolito viaggio continuano ad emozionare. Se dopo due lustri possiamo già essere considerati posteri, allora sì, fu vera gloria.

Eugenio Ruocco


Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

1 commento su “2010. Come attraversare l’Atlantico a vela con due automobili. Avete letto Bene!”

  1. Gianni Pigliapoco

    Grandi penso che sia stata una avventura unica al mondo x la distanza e le difficoltà con cui avete navigato bravi posso capire ho navigato parecchie migliaia con il mio gommone e in mare non si scherza . Ancora grandi 👍

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Iscriviti alla nostra Newsletter

Ti facciamo un regalo

La vela, le sue storie, tutte le barche, gli accessori. Iscriviti ora alla nostra newsletter gratuita e ricevi ogni settimana le migliori news selezionate dalla redazione del Giornale della Vela. E in più ti regaliamo un mese di GdV in digitale su PC, Tablet, Smartphone. Inserisci la tua mail qui sotto, accetta la Privacy Policy e clicca sul bottone “iscrivimi”. Riceverai un codice per attivare gratuitamente il tuo mese di GdV!

Una volta cliccato sul tasto qui sotto controlla la tua casella mail

Privacy*


In evidenza

Può interessarti anche

2023. A bordo di un gommone a vela un sogno lungo 4.000 miglia

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela:

2011. L’inventore della barca che sembra una vasca da bagno

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela:

Torna in alto