1992. Grazie Moro! La storia della Coppa America ’92
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Grazie Moro! La storia della Coppa America 1992
Tratto dal Giornale della Vela del 1992, Anno 18, n. 1, giugno, pag 83-98.
Riviviamo la prima finale della storia della Coppa America in cui ha partecipato una barca italiana. Riscoprite l’avventura del Moro di Venezia di Raul Gardini, i motivi per cui è arrivata ad un passo dalla vittoria. Era dal 1964 che una barca europea non arrivava così in alto.
Grazie Moro!
C’è un motivo fondamentale nella vittoria di America 3 ; l’assurdo regolamento che avvantaggia i defender. Koch infatti ha scelto la barca a dieci giorni dalla Coppa, il Moro cinque mesi prima. E poi come mai i nostri non hanno potuto usare le vele in carbonio?
C’è un momento fondamentale nella sconfitta del Moro nella finale della XXVIII edizione della Coppa America. L’attimo cruciale è stato quando tutti gli sfidanti hanno dovuto decidere, cinque mesi fa, con quale barca avrebbero preso parte alla Coppa America. II Moro, ovviamente, scelse la sua ultima barca, la numero 5, che era “nata” nel novembre ’91. Bill Koch e il suo team allora non avevano varato che due sole barche. Il nuovo America 3 e il successivo Kanza non erano ancora definite nelle loro scelte progettuali finali. L’ America 3 che ha battuto per 4 a 1 il Moro V fu infatti varato solo a fine gennaio e iniziò a gareggiare solo nella seconda serie di regate dei difensori. E cosi, mentre il team del Moro a novembre ’91 considerò chiuso il ciclo di sviluppo progettuale delle barche concentrandosi solo sulla messa a punto, il gruppo dei designer di America 3 era ancora al computer a modificare i progetti mentre le loro barche erano in costruzione. Ecco, questo è stato il momento fondamentale che ha deciso la sfida. II Moro non ha perso perché Paul Cayard e il suo equipaggio erano “scarichi” dopo aver combattuto strenuamente con New Zealand. Hanno perso perché la loro barca era inferiore a quella statunitense (discorso sulle vele a parte, per il quale ci riserviamo di informarvi nel prossimo numero).
Questa Coppa America ha delle fortissime analogie con la Formula 1 automobilistica. Provate a paragonare il team McLaren al Moro e la Williams ad America?
– II Moro aveva il migliore “pilota”, Cajard, che da anni lavora con lo stesso team, quello di Gardini (come Senna con quello della McLaren con Ron Dennis). I “piloti” Melges e Dallenbaugh sono bravi ma non possono paragonarsi al fuoriclasse (basta ripensare alla seconda regata delle finali vinta per esclusivo merito di Cajard).
– Inferiore l’equipaggio di Koch a quello del Moro, come la squadra Williams è meno forte di quella McLaren. I nostri uomini hanno manovrato, ma anche condotto tatticamente le regate meglio di quelli di America 3 pur dovendo regatare sempre dietro.
– Per quel che riguarda le risorse economiche il team de Moro aveva un budget di un 30% superiore a quello di Koch. La situazione è Identica tre McLaren e Williams.
– E arriviamo al punto focale. La superiorità progettuale di America 3 è stata netta come la Williams è avanti rispetto alla McLaren.
Ma cerchiamo di capire perché si è verificato ciò. Il punto focale ve l’abbiamo già accennato. Quei maledetti cinque mesi di vantaggio che ha avuto il team statunitense nella possibilità di scelta della barca definitiva sono stati fondamentali. Koch infatti non soltanto ha potuto varare solo a fine gennaio America 3 (e l’ultima barca del team, Kanza, addirittura a metà marzo) ma l’assurdo regolamento della Coppa gli ha permesso, in qualità di defender, di decidere con quale barca avrebbe corso le finali a regate di selezione già concluse, cioè a fine aprile. Tutto questo, come abbiamo detto, mentre il Moro a novembre ’91 aveva già deciso tutto. Come ha dichiarato lo stesso Koch, il suo team ha investito cinque milioni di dollari in attività di spionaggio, soprattutto nei confronti delle barche sfidanti più veloci, e cioè di Moro e New Zealand. Cosi, mentre gli sfidanti si scannavano tra di loro, pensando soprattutto a regatare e a mettere a punto la barca, i progettisti di Koch avevano in mano i dati delle barche avversarie. Hanno potuto capire così cosa non dovevano fare e non cosa dovevano copiare. Con l’esasperazione tecnologica raggiunta oggi nella Coppa America questo è un gap impossibile da colmare. A meno di una superiorità progettuale schiacciante. Magari grazie ad un colpo di genio. Ma da German Frers, l’architetto argentino progettista del Moro, questo, Gardini non se lo poteva aspettare. Sono 12 anni che l’anima del Moro (Gardini) si fa progettare le sue barche da Frers. “Perché sono belle e vanno veloci” disse una volta in banchina a Porto Cervo quando gli chiesero perchè scegliesse sempre Frers come progettista. Ma il designer argentino nella sua vita il colpo di genio non l’ha mai avuto. La sua fortuna Frers l’ha fatta grazie all’aurea mediocrità. Barche bellissime le sue, che vanno sempre mediamente benissimo, ma raramente eccellono. Di colpi di genio invece gli uomini che hanno pensato America 3 ne hanno avuti molti nella loro carriera. E sono loro i veri vincitori della Coppa America perché hanno permesso a Koch (che ha avuto il merito di sceglierli) di avere una barca più veloce. E adesso ve li presentiamo. Il primo si chiama Jerry Milgram, vecchio professore del MIT (Massachuset Institute of Technology). Koch l’ha conosciuto quando era suo studente a ingegneria (Koch ha tre lauree). Milgram, che è un pessimo velista, è da sempre affascinato dalla progettazione, ma soprattutto dallo sfruttamento dei regolamenti di stazza. All’inizio degli anni ’70 progettò, sfruttando i buchi del regolamento IOR, una barca che era grande quasi il doppio rispetto alle altre della stessa classe. I responsabili dello IOR dovettero, in fretta e furia, correre ai ripari modificando le regole. E buttarono fuori la barca di Milgram penalizzandola. L’altro “genio” della squadra progettuale di Koch si chiama Doug Peterson. In Italia lo conoscono bene perché fu nelle acque di Porto Cervo che piazzò il suo colpo di genio. Era il 1973 e si disputava la One Ton Cup, allora una delle regate più importanti del mondo. Tutti i grandi progettisti arrivarono in Sardegna con barche supersofisticate e costosissime. II californiano Doug Peterson si presentò con una barca costruita in massima economia e diversissima dalle altre. Più piccola, leggerissima, brutta per i canoni estetici allora in voga. Si chiamava Ganbare (corre ancora oggi in Liguria) e non vinse solo per un cavillo regolamentare contro Hidra di Straulino. Ma rivoluzionò il modo di progettare le barche dell’epoca.
Uno dei meriti di Koch è quello di aver riesumato dall’oblio un grande progettista
Anche Gardini, prima di farsi affascinare dalle elegantissime barche di Frers, si fece progettare una barca da Peterson, il Moro Blu, ma era troppo “brutta” per i suoi gusti e la vendette l’anno dopo. Peterson, dopo un periodo di grande fama negli anni ’70 si auto isolò nel decennio successivo. Preferì godersi il sole della California e scorrazzare con le sue spider d’epoca, l’altra sua grande passione. Anche qui il merito di Koch è quello di aver riesumato dall’oblio questo grande progettista. Il terzo uomo cardine della progettazione di America3 si chiama Jim Pugh e per anni ha fatto il “genio” di riflesso. Era infatti il vice di Peterson, quello che parlava con i clienti e seguiva la messa a punto delle barche progettate da Doug. Poi, quando Peterson si esiliò, si uni a Reichel (l’altro progettista di America) e fondò uno studio progettuale dalle alterne fortune. Questo è il team radunato da Bill Koch che ha fatto perdere la Coppa America agli uomini del Moro. Bravi! Per ultimo c’è un mistero che, a mente fredda, il team del Moro dovrà svelare: come mai non hanno usato le vele in carbonio che, senza dubbio, avrebbero migliorato le prestazioni della barca (i test lo confermavano)? Come è possibile che non siano riusciti a mettere a punto il tessuto in tempo utile per le finali? E poi, come erano fatte le misteriose vele di America3 al silicio e cristalli liquidi? Queste risposte ve le da remo sul prossimo numero.
Luca Oriani
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