1975. Il papà del Laser racconta come è nata la barca più famosa della storia
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Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.
Il papà del Laser racconta come è nata la barca più famosa della storia
Tratto dal Giornale della Vela del 1975, Anno 1, n.2, agosto, pag. 9/12.
Bruce Kirby, il progettista del Laser, racconta come dall’idea di mettere sul tetto dell’auto una barchina semplice da armare, per caso è nata l’idea più geniale della storia della vela.
Venticinquemila barche in meno di quattro anni, la diffusione in quasi tutti i paesi dove si pratica la vela da diporto sintetizzano il successo di questa imbarcazione disegnata dal canadese Bruce Kirby. E’ lo stesso progettista del laser che ha scritto per i lettori de Il Giornale della Vela, come questa barca è nata e come è organizzata nel mondo della vela agonistica.
Sarebbe facile, oggi, pretendere che il Laser sia stato concepito come un’importante classe internazionale da regata: ma non sarebbe la verità. L’impostazione originale era orientata su «una piccola barca a vela da usare per il diporto e che potesse facilmente venire caricata sul tetto di un’automobile». Il committente non aveva neppure precisato la dimensione richiesta, né il peso. E così, libero da pastoie, pensai che sarebbe stato divertente disegnare una barca che accontentasse il cliente ma che fosse anche facile e spigliata da governare e da portare in regata. La richiesta del progetto era venuta da Ian Bruce, un amico di Montreal nel Canada, che a quel tempo si occupava professionalmente di disegno industriale. Voleva la barchetta per un suo cliente che vendeva attrezzature per il campeggio e per il tempo libero all’aria aperta, e pensava potesse essere interessante avere una piccola barca a vela inclusa nella gamma dei suoi prodotti. Avvenne poi che quel cliente decise di non dar seguito all’iniziativa e il progetto della «barchetta a vela» rimase nel cassetto di Ian Bruce per quasi un anno. A un certo punto la rivista Yacht Racing, della quale ero allora direttore, decise di patrocinare una regata a cui partecipassero tutte le barche a vela di costo inferiore a 1000 dollari (circa 625 mila lire). Immediatamente chiamai Ian Bruce, gli dissi della regata, suggerendogli che, se avesse potuto costruire una delle «barchette a vela», la manifestazione, chiamata America’s Teacup, sarebbe stata ideale per farle pubblicità. Ian aveva un piccolo cantiere di cui si occupava durante il suo tempo libero e che costruiva una piccola barca d’altura su mio progetto. Ma, per il fatto che si trattava di lavoro a tempo parziale e che Ian non si accontenta di nulla che fosse meno che perfetto, la barca quasi non ce la fece a essere pronta per l’America’s Teacup. Quando arrivò, non era mai stata in acqua, l’albero non era mai stato a bordo né tantomeno la vela sull’albero. Non solo, ma il velaio, il quale doveva anche essere il timoniere della barca in regata, non l’aveva mai vista. Era Hans Fogh, un tempo braccio destro di Paul Elvström in Danimarca e a quell’epoca velaio a Toronto nel Canada. Hans era anche medaglia d’argento delle Olimpiadi ed ex-campione del mondo dei Flying Dutchman. Hans se la cavò tanto bene da vincere ex-aequo il primo posto di classe della Teacup. La nostra «barchetta a vela» veniva chiamata Weekender, benché quel nome non ci piacesse e studiassimo per trovarne uno migliore. E sapevamo di dover decidere presto, in quanto tutti erano impressionati dalla nostra barca, di un bel color rosso porpora, negli ambienti di quella singolare regata, e stavamo cominciando a sospettare che la barca potesse rivelarsi un grosso affare.
La nascita del Laser
Ma torniamo alla fase del disegno. Le istruzioni ricevute erano che disegnassi una barchetta da diporto, piacevole anche a guardarsi. Non erano elementi tali da darmi una base di partenza ma mi concessi molto spazio per l’uso della mia immaginazione. Così lavorai sul principio che una barca può essere buona per un giretto di piacere davanti alla spiaggia, o da tenere presso la villetta al mare, ma può anche diventare una sofisticatissima macchina da regata per coloro che vogliono sfruttarla in quel modo. Perciò fin da principio, la barca che ora è il Laser, venne concepita per questo duplice uso: uno scafo veloce, leggero, anche per essere più facilmente trasportato a terra, e rigido e con un’attrezzatura moderna ed elaborata. Ebbe una deriva e un timone in laminato la cui sezione era quella del profilo alare NACA 0009. E perché no? Un novellino non si sarebbe accorto della differenza mentre l’esperto se ne sarebbe innamorato. Ebbe un cunningham per la regolazione del «grasso» della vela, destinato agli esperti, ma per i non patiti delle regate quella cimetta era nota come la ritenuta dell’albero per i casi di scuffia. Ebbe un cursore che il novellino avrebbe evitato di usare, ma che l’esperto poteva sfruttare; e un albero ricurvo, non strallato, che per il novellino era semplice buon mercato ma che secondo l’esperto dava la padronanza completa sulla forma della vela. E anche la vela stessa era il meglio che Hans Fogh potesse desiderare, tagliata nel migliore dacron del peso richiesto, che Bainbridge producesse. Anche in questo caso il novellino non poteva capire la differenza ma approfittava del vantaggio di una buona vela che sarebbe durata a lungo mentre il regatante rimaneva impressionato e soddisfatto per il taglio e per la qualità della velatura.
Decisioni difficili da prendere
C’erano molte caratteristiche dello scafo capaci di soddisfare sia il novellino sia l’esperto. La coperta quasi piatta era stata progettata in origine in modo che i bambini, magari tre o quattro, potessero sedersi un po’ dappertutto sulla barca con il limitato pericolo di scivolare in mare, così come può accadere invece con una coperta molto convessa. Risultò poi che il regatante era anche compiaciuto in quanto tale forma facilitava il movimento sia con vento leggero sia con vento forte. Il novellino era innamorato della sicurezza del piccolo pozzetto subito asciutto dopo una scuffia, mentre il regatante ne era pure innamorato perché con il vento forte imbarcava pochissima acqua quando le onde rompevano sulla prua. C’erano state delle decisioni da prendere nelle prime fasi del progetto che trovai difficili, molto più di quelle relative a barche d’altura. La principale riguardava l’equipaggio da usare nel procedere con i calcoli del dislocamento, calcoli che a loro volta determinavano la forma generale dello scafo. Doveva la barca essere fatta per portare due uomini di circa 75 kg ciascuno? O un uomo e sua moglie? Oppure due o tre bambini. O un uomo adulto di 90 kg? Uno scafo adatto a una persona di 60 kg sarebbe stato troppo immerso se un uomo di 96 kg si fosse messo al timone. Alla fine scelsi un peso dell’equipaggio di circa 79 Kg, cioè che significava che qualcuno del peso di 90 Kg non sarebbe stato troppo pesante e qualcuno di 68 Kg non sarebbe stato troppo leggero. Inoltre sarebbe andato bene per due bambini di 40 kg l’uno oppure per una madre con il figlio. Un altro problema era legato alla riserva di galleggiamento a prua. Volevo una barca con un bordo libero basso, ma una prua troppo bassa avrebbe potuto avere la tendenza a sommergersi quando la barca fosse portata a navigare energicamente, con vento forte. Troppo bordo libero significava troppo peso. Se la prua era troppo piena la barca sarebbe stata lenta di bolina e con vento leggero. Perciò la forma anteriore dello scafo sulla linea di galleggiamento venne mantenuta piuttosto fina, mentre al di sopra di detta linea risultò molto pieno. Parzialmente questo risultato venne raggiunto disegnando il dritto di prua largo 7,5 cm alla sommità rendendo così possibile l’ottenimento di una abbondante riserva di galleggiamento senza peraltro esagerare nella lunghezza complessiva della barca. La realizzazione della struttura venne affidata completamente a lan Bruce il quale, con la sua esperienza di disegnatore industriale, aveva una vasta conoscenza dei materiali e delle loro resistenze allo sforzo. Non era possibile, trattandosi di barche da costruire in serie, tenere basso il peso nel disegnare strutture di 54 kg e perciò, dopo i primi due prototipi, i pesi salirono a 56 e 59 kg: pur sempre ancora più leggere di altre dello stesso ordine di dimensione. Uno dei segreti per ottenere una barca leggera e rigida è stato l’impiego della schiuma airex come anima della coperta e due strisce di 15 cm circa di larghezza dello stesso materiale lungo il fondo, lateralmente alla chiglia.
Si chiamerà Laser!
Una parte del lavoro più importante effettuato sulla barca venne fatto dopo la regata dell’America’s Teacup. Ian costruì un altro prototipo in modo da poterlo provare con quello esistente. Poi provammo varie combinazioni di alberi tubolari, di posizioni e dell’inclinazione dell’albero e della forma della vela. Durante l’America’s Teacup la barca si era dimostrata troppo orziera. Nel mese successivo disegnai tre nuovi piani velici conservando la stessa superfice ma alterando leggermente l’allungamento verticale e adottando un albero con inclinazione inferiore verso poppa. La prova finale, durante un fine-settimana, venne effettuata proprio fuori Montreal in una giornata fredda e nevosa all’inizio di dicembre del 1970. Hans Fogh, Ian Bruce e io sforzammo energicamente la barca sotto vela, provando varie soluzioni alberi e di vele finché decidemmo su quella che sembrava rendere di più nella vasta gamma di venti e con pesi diversi a bordo. Fu lì che fissammo i dettagli dell’attrezzatura e nulla è cambiato da allora. Si trattò anche di una simpatica coincidenza con l’adozione, quella stessa sera, del nome Laser. Durante un ricevimento al Royal St. Lawrence Yacht Club, un giovane studente di scienze si avvicinò a lan Bruce e disse, «dovreste dare alla barca un nome veramente moderno e in armonia con l’epoca spaziale, forse qualcosa di scientifico». lan disse: «Immagino che qualcosa come Laser andrebbe bene»; e lo studente rispose: «Sì, Laser va proprio bene!».
Popolarità molto rapida
Ian mi chiamò al di sopra del tavolo e disse: «Che ne dici di Laser ?», e io gli risposi: «Perfetto!». E Laser fu, e non ci volle molto a capire che avevamo trovato il nome ideale. Il raggio laser rispecchia un fenomeno familiare a tutti i giovani di oggi, il termine è internazionale e da l’impressione di qualcosa di molto efficiente e aggiornato. Da quel momento la barca guadagnò popolarità molto rapidamente. E’ difficile dire esattamente perché e credo ci siano diverse ragioni. Ha dato l’impressione di essere la barca giusta nel momento giusto: ha colpito l’immaginazione di molti buoni velisti e presto scoprimmo che la concorrenza all’interno della classe si stava facendo accanita. Non solo ma, in tutta l’America, coloro che vendevano la barca erano quasi sempre dei noti velisti, alcuni con medaglie olimpiche e campioni internazionali. Più tardi la stessa cosa accadde in Europa e molti ottimi velisti si interessarono a diffondere e a portare in regata «la barchetta a vela». Naturalmente a questo punto avevamo capito che il Laser era destinato a diventare qualcosa di molto di più di una barca da diporto. Ian Bruce e il suo socio Ward McKimm, due dei migliori timonieri internazionali del Canada, si «buttarono» per diffondere il Laser in tutto il mondo. Il secondo cantiere venne costruito in California, cosi che le barche non dovevano essere trasportate da Montreal alla costa occidentale americana. Il terzo cantiere venne creato in Inghilterra per fornire barche al Regno Unito e all’Europa settentrionale. Gli olandesi e gli svedesi furono i primi europei ad adottare questa classe: poi si diffuse in Svizzera sotto la guida di Renaud Langer, un disegnatore di orologi che ora dirige la distribuzione in Europa. Langer ha l’abitudine di fare le cose… in orario. Ben presto sorsero cantieri in Nuova Zelanda e in Australia, paesi nei quali c’è una tradizione per barche leggere e veloci. Successivamente sorse il problema di rifornire l’enorme punto di smistamento del mercato sud-europeo. Francia, Italia, Svizzera e Germania erano tutti paesi ritenuti adatti per un grande cantiere europeo. Ma, alla fine dei conti, a causa delle tasse e dei costi di trasporto, tale impresa venne creata nell’Irlanda meridionale. Altri cantieri saranno presto in attività in Brasile e Giappone.
“Non possiamo non averla!”
Tutti questi stabilimenti sono di proprietà della Performance Sailcraft oppure delle sue collegate: e cioè della società che Ian Bruce creò inizialmente per costruire il Laser. La costruzione in «regime di monopolio» fu uno degli ostacoli principali per il riconoscimento da parte della International Yacht Racing Union. Molti delegati dell’IYRU sostenevano che l’organizzazione non poteva assolutamente appoggiare un unico costruttore mondiale. Ma altri, appartenenti ai vari comitati – incluso il presidente, l’italiano Beppe Croce – si resero conto dell’importanza di un’operazione del genere. Con la presenza di un unico costruttore non c’era il pericolo che un cantiere più che l’altro si mettesse in mente di fare una barca migliore, ciò che ha rappresentato il maggior problema per le altre classi internazionali. Con il Laser la tecnica di costruzione e stata moto accuratamente determinata inizialmente e viene seguita alla lettera da ogni cantiere. L’ultima cosa al mondo che la Performance Sailcraft desidera è un Laser migliore o peggiore oppure un Laser più a buon mercato o più costoso. L’interesse principale del costruttore, come pure quello del compratore di tutto il mondo, è che la barca rimanga esattamente la stessa, qualunque sia il posto dove è stata costruita. Vale la pena di precisare che molti delegati dell’IYRU diedero un’occhiata molto approfondita al conto corrente bancario dell’organizzazione quando presero in considerazione la domanda della classe Laser per ottenere lo status internazionale. Quando tale domanda venne presentata nel 1972, c’erano in quel momento quasi 10mila barche già in attività. A un dollaro per barca il conto era fatto e si trattava di un bell’aiuto per il bilancio dell’Unione. Ma la decisione venne rimandata di un anno e a quell’epoca i Laser erano diventati 17mila. Come disse uno dei delegati nel 1973, «Non possiamo permetterci di non avere questa barca». Un’ulteriore garanzia del fatto che il Laser fosse monotipo venne nel 1974 con l’adozione ad Annapolis, nel Maryland, di un sistema computerizzato per il taglio delle vele e per fissare i punti lungo le cuciture per mezzo degli ultrasuoni in modo che la forma non potesse mal venire cambiata. Inizialmente Hans Fogh faceva tutte le vele nella sua veleria di Toronto. A causa dell’enorme quantità – fino a 40 vele al giorno – otteneva un’eccellente assistenza dai fabbricanti del dacron. Ci sono molti telai di tessitura occupati soltanto a fare del tessuto, 24 ore al giorno, per il Laser, nello stabilimento di Boston. Le vele continuano a essere tagliate esattamente sullo stesso modello ideato a suo tempo da Hans Rogh e sono le stesse che scegliemmo quell’umido e ventoso giorno a Montreal nel 1970. Soltanto che ora ogni terzo è tagliato con tolleranze minime da una macchina computerizzata. Poi vengono spillate le cuciture, anch’esse con precisione regolata da un calcolatore e le vele vengono così distribuite ai diversi velai in tutto il mondo dove ci sono delle fabbriche di laser. I velai effettuano le cuciture mettono i rinforzi angolari e la tavoletta nonché il gratile. Ma nessuno di questi lavori può cambiare le caratteristiche della vela che sono dettate dal calcolatore elettronico. L’IYRU è molto soddisfatta di tale sistema, in quanto cosi viene ulteriormente garantito un prodotto uniforme e inoltre sfugge all’accusa di monopolio con il consentire ai velai dei vari paesi di fornire le vele e quindi di averne un beneficio economico. Naturalmente, sono partigiano nei confronti di questa “barchetta che” nacque da una occasionale telefonata, ma quando penso al Laser dal punto di vista del giornalista, quale ero molto prima diventare un progettista di barche, posso vedere questa classe, in prospettiva nella sua progressiva crescita e nella sua diffusione in tutto il mondo. come destinata ad aumentare ancora. I paesi comunisti si oppongono alla diffusione della barca con la scusa che e produrla sia un’impresa monopolistica, ma nello stesso tempo numerosi velisti di ottimo livello dell’Europa orientale sono disposti ad ammettere che il Laser è davvero una «barca del popolo» e che quindi è in armonia con l’ideologia marxista. E’ difficile per essi giudicare favorevolmente una barca che può essere costruita da un solo cantiere: ma l’apprezzano molto e sono persuasi che diventerebbe immediatamente popolare nei loro paesi. Tutti noi, intimamente coinvolti nella vicenda del Laser, abbiamo tenuto attentamente d’occhio il mercato in questi due primi anni, per vedere se c’erano segni di saturazione. Ma poi abbiamo cominciato a renderci conto che non esiste proprio un punto di saturazione. C’è sempre abbastanza gente nuova che si avvicina alla vela in tutto il mondo per provocare la crescita costante di questa classe per molti anni, forse per sempre. E più il Laser si espande, più è stimolante per me riguardare i disegni, gli schizzi e i calcoli originali e pensare quanta gente ne trae gioia.
Bruce Kirby
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7 commenti su “1975. Il papà del Laser racconta come è nata la barca più famosa della storia”
Buongiorno, Storia incredibile !
All’epoca non ero ancora stato coinvolto nella vela.
E’ ancora possibile acquistare un modello di quel Laser?
Basilio
Il mio primo laser era il 36189 poi ne ho comperati diversi. Peso 92 kg e purtroppo troppo vecchio per una vela standard che mi calza perfettamente. Per le regate la classe ti obbliga la radiale he non mi calza. Troppo piccola.
Ho 77 anni e domani a Cannobbio faccio una regata internazionale con un RS Aero 9. 9 metri di vela e mi calza benissimo..
Poteva essere il laser ma i regolamenti mi hanno estromesso. Peccato.
RS AERO é praticamente un laser del 2000.
Peccato che non é classe olimpica.
Ringrazio innanzitutto la rivista Vela di questo bellissimo articolo. Molto interessante. Navigo sul Laser da oltre 10 anni! È una barca eccellente. Da ogni tempo. Regala emozioni senza fine come sue planate. Mi auguro che rimanga sempre così, perché la sua bellezza è proprio la sua semplicità..
Bellissimo articolo, da conservare. Col Laser si vola via liberi e felici.
La mia prima esperienza a vela e stata sul LASER a Caprera….tante scuffie e tanto divertimento. Poi mi sono fidato di Kirby e mi sono costruito una barchetta di 7 metri su un suo progetto: NIS 23. Dopo 22 anni in acqua , fa ancora la sua “porca” figura.
Grazie, Bruce Kirby!
La mia prima esperienza a vela e stata sul LASER a Caprera….tante scuffie e tanto divertimento. Poi mi sono fidato di Kirby e mi sono costruito una barchetta di 7 metri su un suo progetto: NIS 23. Dopo 22 anni in acqua , fa ancora la sua “porca” figura.
Grazie, Bruce Kirby!
Regalo di compleanno dei miei genitori, per i 16 anni, fu amore a prima vista: scafo rosso, novità assoluta all’epoca (1978), barca divertente e sportivissima, per me, che venivo da optimist, fj e 420. Nel 2004, l’ho donato ben volentieri al mio circolo velico, che l’ha utilizzato per la scuola vela. Nulla mi ha emozionato di più.