1976. Quando Ugo Tognazzi volle farsi la barca

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Siamo in grado di anticipare un progetto straordinariamente ambizioso del famoso attore.

Ugo Tognazzi: la barca nuova me la faccio così

Tratto dal Giornale della Vela del 1976, Anno 2, n.8, settembre, pag. 40/41.

Il grande attore italiano racconta al Giornale della Vela come e perché si è innamorato della vela e si compra una barca. Una lettura ironica e surreale, c’è da divertirsi!


Ugo Tognazzi ha scoperto la vela e alla sua nuova passione dedica ormai tutto il tempo libero. Da uno come lui, naturalmente, ci si devono aspettare grandi cose: per conoscere i suoi progetti, le sue aspirazioni lo abbiamo avvicinato durante le riprese del suo ultimo film: «Cattivi pensieri». L’attore cremonese ha accettato di buon grado di spiegare la sua nuova passione ai lettori del GIORNALE DELLA VELA e per il cronista è stata un’esperienza interessante. Il colloquio, infatti, è incominciato sul set con Tognazzi che dice: “La mia ultima scoperta è…” e in quel momento appare tutta nuda Edvige Fenech pronta ad interpretare una scena del film che è un vero Tognazzi-show. Ugo infatti è il regista e l’attore principale. Vi recitano il padre, il figlio e un cugino, mentre un altro cugino è l’architetto che cura le scene. Ma, passato lo choc, eccoci all’intervista.

GdV: Come e quando ha scoperto la vela?

U.T. “La mia è una scoperta abbastanza recente. Per la verità avevo sempre ammirato, purtroppo da lontano, le belle barche vela e soprattutto mi era sempre piaciuto l’abbigliamento chic dei velisti. La scorsa estate il mio amico Enzo Jannacci mi ha invitato a fare un giro sulla sua barca a Bordighera. Ho accettato con piacere e una settimana dopo mi sono presentato puntuale in quel porto. Ero elegantissimo: pantaloni bianchi, giacca blu con bottoni d’oro zecchino, un cappello che mi avrebbe invidiato anche l’ammiraglio Nelson, un foulard con gli stemmi di un famoso circolo velico. Avevo indossato questa tenuta perché so che nell’ambiente velico quando si parla del proprio vacht. magari di 20 metri, si dice barca e pensavo che Jannacci, divenuto ricchissimo grazie alle sue canzoni, ne avesse uno di almeno 30 metri. Arrivai dunque al porticciolo e vidi invece che quell’avaro di Enzo stava armeggiando su una sgangherata barchetta di circa 6 metri. Prima che potessi riprendermi dallo choc, Enzo era saltato a terra con in mano una specie di reggiculo. Mi parlò con entusiasmo della sua barca, un Flying Dutchman, una barca olimpica, mi disse, con la quale, grazie al vento forte, avremmo potuto fare un’ottima veleggiata. Mi invitò perciò a infilarmi il reggiculo, che era poi un aggeggio per potersi mettere al trapezio”.

GdV: E lei ebbe il coraggio di salire sulla barca?

U.T. “Per la verità avevo una paura fottuta che aumentò notevolmente appena la barca sbandò per il mio peso: non volevo però farlo capire al dottore che si dava un mucchio di arie e allora, con una delle mie più belle interpretazioni artistiche mi misi a fare il marinaio. Tirate su le vele, uscimmo dal porto con il vento in poppa (le note tecniche che cito le ho imparate in un secondo tempo) e appena fummo in mare aperto Enzo fece una strambata, per me involontaria, e io presi una terribile bomata in testa. Partimmo quindi di bolina e io mi misi al trapezio. Appeso a quel piccolo cavetto d’acciaio ero bellissimo con la mia tenuta da vero yachtman. Facemmo un lungo bordo mentre vento e mare aumentavano sempre. Jannacci, megalomane, mi diceva di ammirare la sua bravura, sembrava di sentire parlare Straulino. Ad un certo punto una raffica veramente forte ci fece rovesciare e finii a bagno rovinando il mio completo. Non riuscimmo a raddrizzare la barca, anche perché Enzo ne capisce poco. All’imbrunire, quando ormai pensavo di morire annegato ci vennero a salvare con un peschereccio. Questa la semplice storia della mia scoperta”.

GdV: E dopo quell’esperienza, diciamo negativa, lei ha continuato?

U.T.  “Naturalmente. Anche se con quell’incosciente di Enzo avevo navigato poco e male, ero rimasto affascinato dalla bellezza di questo sport ed ero anche rimasto colpito dalla sua scomodità. Decisi quindi di non abbandonarlo, ma di praticarlo in maniera più consona ad una persona come me. Con la mia solita serietà, durante l’inverno ho letto tutti i libri di navigazione esistenti al mondo e con un maestro privato ho fatto innumerevoli uscite a Torvaianica. Ora parlo di bolina, lasco, randa, fiocco, punto nave, radiogoniometro, ecoscandaglio e banzigo, insomma, applicando la mia nota intelligenza, ho imparato tutto”.

GdV: Ora che ha imparato tutto, pensa di farsi una barca?

U.T.  “Questo è certo e forse ora ho risolto il problema. Dunque, dopo aver imparato tutto, ho capito che per me ci voleva una barca di gran classe, irrovesciabile. Mi sono rivolto allora a tutti i più famosi progettisti del mondo, ho avuto colloqui (si sappia che parlo benissimo l’inglese) con Carter, Miller, Carcano, Chance, Petterson, Stephens, Holland. Ho discusso di carene, di rating, prove di sbandamento. Ho studiato disegni di ogni genere, ho fatto fare prove nelle vasche navali. Avevo quasi preso la decisione: una barca di 70 metri fatta in collaborazione da tutti gli architetti. Costruzione in lega leggera, deriva di uranio inerte, ritrovati tecnici di ogni genere. Stavo per passare l’ordine quando, leggendo IL GIORNALE DELLA VELA, ho scoperto che a Tolone hanno varato una barca di 74 metri per Colas, che vuole fare il solitario. Allora mi sono detto: se il famoso Colas ha una barca di 74 metri per navigare da solo, io che invece voglio navigare in compagnia, naturalmente femminile, devo averne una più grossa”.

GdV: E l’ha trovata?

U.T. “Certamente. Ho avuto una delle mie solite idee geniali. Invece di farne costruire una nuova, che fra l’altro veniva a costare parecchio perché tutti questi architetti si fanno pagare molto, ho deciso di risparmiare e di diventare un benemerito della nazione. Ho infatti deciso di risolvere il problema della vendita dei transatlantici della compagnia Italia, quelli che volevano trasformare in cliniche, comperando la Michelangelo. Con l’aiuto di mio cugino, che è architetto, ora la trasformerò in una barca a vela. Trasformazione che dovrebbe avvenire a Cremona dove un mio zio falegname mi farà risparmiare. Il problema è che questa trasformazione, per ragioni economiche, deve avvenire a Cremona. Devo quindi convincere i ministri competenti ad autorizzare l’allargamento della sede del Po (e con questo spero di risolvere definitivamente il problema della navigabilità del Po). Comunque riuscirò in questa impresa anche perché a Roma conosco persone importanti”.

GdV: E come la trasformerà?

U.T. “È un lavoro un lavoro abbastanza semplice. All’esterno leviamo tutti i ponti – a me piace molto la linea flush-deck – e mettiamo 22 alberi. Aggiungiamo un lungo bompresso per avere un triangolo di prua molto grande. Il piano velico, senza gli spinnaker, naturalmente sarà una cosa normale: 12.000 mq. In condizioni ottimali con vento al traverso dovremmo raggiungere, se i calcoli di mio cugino sono esatti, i 122 nodi. La velocità di crociera, in condizioni normali, sarà sui 70 nodi. I motori saranno tolti per tre ragioni: 1°, per una questione ecologica; 2°, perché il carburante costa troppo; 3°, perché non ho trovato nessuno che vuole farmi le eliche a passo orientabile, e quelle che ci sono frenerebbero troppo lo scafo”.

GdV: E per gli interni?

U.T. “Qui mio cugino l’architetto sta ancora studiando. In linea di massima avremo la mia cabina, una cosuccia di 360 metri quadrati con servizi propri. Inoltre due o tre cabine per gli ospiti, un salone per il pranzo, i soliti depositi per vele e viveri, una grande cucina e basta. Una cosa semplice, ho raccomandato di farmi”.

GdV: E per l’equipaggio?

U.T. “Ma quale equipaggio? Con quello che costano i marinai? Ma siamo matti! La barca sarà completamente automatizzata (a tal proposito ci pensa un mio amico ingegnere) e basterò io solo a governarla. Io stesso, naturalmente provvederò con la mia solita maestria alla cucina e quindi non mi serve nessuno. Gli ospiti si dovranno rifare il letto: siamo o no in democrazia? Sarà una barca dal costo di esercizio veramente limitato”.

GdV: Che programmi ha?

U.T. “Qui le idee sono ancora un poco confuse. L’idea primaria sarebbe questa. Partenza da Cremona, discesa dell’Adriatico, passaggio del Canale di Suez, quindi Oceano Indiano con soste in qualche isoletta in Malesia, sperando di non incontrare Sandokan. Quindi rotta per l’Australia e sosta a Sydney dove girerò un film. Quindi Oceano Pacifico e arrivo a Capo Horn, dove conto di fermarmi qualche giorno per fare i bagni. Dall’Horn a Rio de Janeiro con sosta per il Carnevale. Da Rio punto a Nord, risalgo l’Atlantico, entro nel mare di Labrador, passo fra i ghiacci e arrivo nell’Oceano glaciale. Discesa dallo stretto di Bering e quindi puntata a Tahiti per chiacchierare con Moitissier. Da Tahiti passo il Canale di Panama e vado alle Antille e ai Caraibi. Di qui faccio il giro inverso perché a me piace navigare di bolina e cioè Horn, Pacifico, Indiano, Buona Speranza e Gibilterra. L’idea che mi affascina sarebbe quella di arrivare in Olanda e rientrare in Mediterraneo navigando nei canali, ma credo che la barca non ci passi. Arrivo naturalmente a Torvaianica dove farò nel frattempo costruire un porto privato davanti alla mia villa. Come vedete, una cosetta normale della quale forse non valeva la pena di parlare “.

Giovanni Garassino 


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1 commento su “1976. Quando Ugo Tognazzi volle farsi la barca”

  1. Un grande! Nulla in confronto ai prodieri che girano oggi ma eccezionale!!! Secondo solo a chi interpellato sul ruolo nella discussione di una protesta dichiarò essere quello che faceva i panini!!!

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