1999: A tu per tu con Soldini

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Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.


E Poi…

Tratto dal Giornale della Vela del 1999, Anno 25, n.4, maggio, pag. 58/61.

Soldini vince la Around Alone, giro del mondo in solitario tra le polemiche, dopo il salvataggio di Isabelle Autissier. Così diventa, nel 1998, il marinaio italiano più famoso nel mondo. Come il milanese con acqua salata nelle vene ha realizzato un’impresa storica.


 

Apertura-Soldini
Giovanni Soldini in redazione de Il Giornale della Vela prima di lasciare l’Italia per tornare a Punta Del Este e affrontare la quarta tappa del Around Alone. Con lui abbiamo parlato degli eventi che hanno caratterizzato la terza tappa e dei suoi impegni futuri.

Giovanni Soldini ha detto di avere già vinto la sua regata. Lo ha dichiarato dopo il salvataggio di Isabelle Autissier per rispondere al polemico Marc Thiercelin (poi scusatosi pubblicamente) che chiedeva la squalifica di Fila per essere in corsa con due persone a bordo. Il senso della risposta di Soldini è stato chiaro a tutti: salvare una vita umana è più importante del gioco della regata. Ora però, a distanza di due mesi, pur rimanendo l’immensa soddisfazione morale di avere tratto in salvo la sua amica Isabelle, Soldini non può non pensare alla grande gioia, fama e, chissà, ricchezza, che gli può dare la vittoria, quella sportiva, dell’Around Alone. La realizzazione del sogno, coltivato sin da bambino, di diventare il primo navigatore italiano a vincere un giro del mondo in solitario. Giovanni Soldini è partito per la quarta e ultima tappa, 5751 miglia, da Punta Del Este (Uruguay) a Charleston (Stati Uniti) con un vantaggio di ben 12 giorni sul suo unico avversario rimasto in gara, il francese Thiercelin. Prima dell’ultima fatica, è venuto a trovarci in redazione, dove non ha mancato di replicare a quanti, sul numero di aprile de Il Giornale della Vela, hanno espresso commenti e giudizi sulla pericolosità della sua attività e della sua barca.

Conoscenza e soluzione del problema

“Le barche per solitari di qualche anno fa, come Groupe Sceta, avevano i bulbi più leggeri e il raddrizzamento molto più basso di quelle di oggi, eppure c’è chi ha fatto tre giri del mondo e non si è ribaltato. Gli Open cercano continuamente soluzioni innovative e prestazioni molto alte. Effettivamente, negli ultimi tempi, si è sottovalutata la possibilità che possano ribaltarsi e debbano tornare dritte. Questo problema è emerso anche durante l’ultimo Globe Challenge, anche se andando a vedere bene, Dinelli si è ribaltato e si è raddrizzato. Poi l’albero gli ha spaccato la barca, che è comunque rimasta a galla fino all’arrivo dei soccorsi. Bullimore si è capovolto perché ha perso il bulbo: una cosa che può capitare a chiunque. L’unico rimasto rovesciato, senza contare il povero Gerry Roufs, è Thierry Dubois. Quando ho cominciato a realizzare la barca, prima ancora che succedessero tutti questi incidenti, avevamo già preso coscienza del problema. Con Andrea Romanelli avevamo pensato di mettere più peso nel bulbo di Fila e di disegnare il ponte curvo. Soluzioni che abbiamo presentato a Finot e che abbiamo sviluppato dopo che la barca di Gerry Roufs (il canadese scomparso al largo di Capo Horn nel Globe del 96-97, ndr) non è tornata dritta. Così abbiamo realizzato un bulbo più pesante degli altri e una chiglia più pesante e più lunga che, per caduta, supera i 32° di inclinazione e arriva fino a 45°. In questa posizione pone la barca ribaltata a 180°, in una condizione di avere una stabilità negativa a 163°. Vuol dire che la barca, sbandata a 163°, si raddrizza. Molto più di qualunque altra, più di un WOR60”.

Larghezza e leggerezza

“La barca di Thierry Dubois era larga 4,80 metri, Fila 5,70. Quindi non è un problema di larghezza, ma di leggerezza. Una barca di venti tonnellate si rovescia più difficilmente di una che ne pesa dieci, perché l’energia del mare influisce di meno sulla stabilità. Su Fila abbiamo escogitato un sistema che permette di variare l’assetto della barca anche da questo punto di vista: abbiamo i ballast centrali e quando riempiamo quelli di poppa e di prua praticamente aggiungiamo quattro tonnellate al dislocamento della barca. Queste, comunque, sono soluzioni sperimentali: quando ci siamo ribaltati in Atlantico, i ballast non erano pieni. Andrea diceva che ogni chilo in più che hai a bordo si s carica sulla prua nel momento in cui sbatte sul mare. Purtroppo questi non sono problemi facili da risolvere, bisogna fare delle prove. Quando mi sono trovato in condizioni di mare grosso ho sempre riempito al massimo i ballast di poppa”.

Le barche non si ribaltano

“Ora non si deve dire che queste barche si ribaltano facilmente. A Isabelle è successo perché ha strapuggiato con la ritenuta del boma bloccata e si è ritrovata con la randa e il genoa a collo. Non è una situazione che capita tutti i giorni. Voglio vedere quante tra le barche che strapuggiano in questo modo, con il boma che non si spacca, ritornano dritte. Secondo me neanche una. Lì il boma non si è rotto e Isabelle non ha fatto in tempo a lasciare la ritenuta. Si è ritrovata strapuggiata con le vele piene di vento, nella parte posteriore di una depressione dove il mare è mischiato. È la parte sicuramente più pericolosa, anche se c’è poco vento”.

Gli errori di Isabelle Autissier

“Isabelle non è stata proprio un angelo. Ha fatto la prova di stabilità della sua barca e ha scoperto che, invece di raddrizzarsi a 117° come da calcoli, lo faceva a 112°. Nonostante ciò ha alzato l’albero di un metro. Alla lunga queste cose si pagano! Inoltre aveva un albero con un modulo di carbonio che permette di avere dei profili piccolissimi. Scendendo di sezione guadagni in aerodinamica: ha sempre sostenuto che l’albero alare fosse inutile perché, con le fibre ad alto modulo, si riesco a fare diametri così piccoli che disturbano meno la randa. Quello alare bisogna farlo girare, è una cosa complessa, ma il vantaggio non è così elevato. Discorso giustissimo, tranne che, quando una barca si rovescia, l’albero ti frena. Ci sono due modi di rovesciarsi: o con una grande energia, per cui l’albero si rompe ed è più facile raddrizzarsi, oppure con poca energia, per colpa del vento. In tal caso l’albero non si rompe, ma si appoggia sull’acqua e ti sostiene. Un albero così piccolo sicuramente non l’ha tenuta su. Non ho mai creduto nell’airbag. Finot si è reso conto che le barche vecchie come quella di Isabelle (realizzata nel 1996, ndr) potevano incontrare difficoltà a raddrizzarsi. Ha detto che bisognava prevedere dei palloni che si gonfiano con una bombola, in modo da togliere stabilità alla barca ribaltata. Moulignè lo ha installato sul suo Cray Valley; Isabelle, su PRB non l’ha fatto. È anche una questione di tempi. La classe dei 60 piedi è complessa, non si riesce da un giorno all’altro a modificare le barche. Isabelle avrebbe dovuto cambiare la chiglia, il bulbo e rifare le lande. Comunque sarebbe rimasta con il grave problema del ponte piatto. Non sono lavori da due minuti. Purtroppo, ci sono dei compromessi con gli interessi economici di chi investe soldi su queste barche, che vanno comunque accettati. È triste ma è così”.

Le barche sono sicure, basta con le critiche

“A prescindere da tutto, è importante che Isabelle sia viva. Per cui, il grado di preparazione e di sicurezza di queste barche in realtà è altissimo. Secondo me in altre classi e in altri contesti la sicurezza viene presa con maggiore leggerezza. Nessuno attrezza le barche, né pensa ad avere boccaporti vicino alla linea di galleggiamento per uscire ed entrare con una certa facilità, né paratie stagne, e neppure controlla la solidità degli scafi. Ho visto Sayonara, il maxi che ha vinto la Sidney to Hobart: dopo la regata era distrutto. È stato in cantiere tre mesi. Il discorso vale anche per le barche della Whitbread: non dimentichiamo che all’arrivo delle tappe vengono tagliati diversi metri quadrati di scafo per sostituire le parti delaminate. Una barca che ha fatto una Whitbread è finita! Ai WOR 60 non è successo niente fino a oggi, speriamo che continuino così. Non dicano, però, che siamo dei folli e loro invece hanno capito tutto. Quello che mi dà veramente fastidio è che la gente faccia delle dichiarazioni così pesanti senza rendersi conto della complessità del problema. Cori non può dire niente su questo argomento. Se c’è uno che fa delle barche non marine è proprio lui. Se mi dai una barca di Cori e la uso una settimana, te la restituisco che non sta più neanche a galla. Con trenta nodi le sue barche si ritirano dalle regate. Come fa a dare un giudizio su queste cose, non avendo mai provato a progettare una barca che affronti il mare: non si pone come obiettivo nient’altro che il lago o il mare Adriatico senza vento. Poi ci sono quelli di Riviera di Rimini, una barca che mi piace tantissimo. Ho detto loro che non sono conformi al regolamento internazionale dei 60 piedi, perché non hanno abbastanza chiglia, il bulbo non è sufficientemente pesante, il coefficiente di sicurezza non è molto alto, mancano due o tre paratie stagne e il volume di insommergibilità. Se si limitano a fare regate in Italia va bene, ma se vanno a fare il Giro d’Europa si creeranno dei problemi. Catherine Chabaud, che ha speso due miliardi per un 6 piedi, si chiederà come mai il suo pesa dieci tonnellate e Riviera di Rimini sei. La sua barca ha due tonnellate in più nella chiglia, ha più struttura e non vorrà che la cosa passi inosservata. Il team di Riviera di Rimini dice che verrà accettato lo steso perché ci sono poche barche iscritte. Spero solamente che nel Golfo di Biscaglia non incontrino 50 nodi di bolina. Anche quelli della Whitbread la devono smettere di affermare che hanno capito tutto e che noi siamo un branco di incoscienti. Se vogliamo spararci addosso uno con l’atro io non ho problemi. Potrebbe essere utile, però, pensare anche all’esperienze degli altri, provare a immaginare un WOR 60 che si rovescia o che prende una depressione con  90 nodi. Fino a oggi non i risulta che ne abbiamo mai presi più di 50. Io ho navigato per 24 ore con raffiche a 85 nodi. Vorrei vedere cosa succederebbe a un WOR 60 se si trovasse in una depressione di questo genere. Fossi un skipper di WOR ci rifletterei con maggiore attenzione”.

Cosa metterei sulle barche da crociera

“Sarebbe un’ottima cosa se le barche da crociera avessero uno sportello sullo scafo per uscire ed entrare e se avessero un minimo di strutture per affrontare condizioni più dure di quelle che si incontrano a Porto cervo il 5 agosto. Ad esempio Parsifal ha preso un’onda ed è andato in mille pezzi, pur essendo una barca a dislocamento e non estrema. Avere una paratia stagna a prua non è una cosa così impensabile. Una zona di prua stagna, di due, tre metri, su una barca di venti metri sarebbe una buona idea, così come una paratia stagna che separi la losca dal timone delle zona vivibile. All’Around Alone usiamo due autogonfiabili, uno è posto all’interno della barca: quello sul ponte, quando prendi tanto vento, viene sempre spazzato via. Io l’ho sempre tenuto dentro. Con Andrea, abbiamo deciso dimetterne uno sullo specchio di poppa in modo da poterlo prendere sia dall’esterno sia dall’interno. Alla fine è stata una soluzione adottata da tutti i partecipanti. È chiaro che non si può avere tutto: se si vogliono le barche roulotte, si possono fare, ma non sono sicure. Molti armatori, infatti, decidono di andare ai Caraibi caricando la barca su una nave. Oppure barche di 30 metri neozelandesi: se lo sognano di navigare fino in Italia”.

Testo di Andrea Falcon.


 

 

 

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