“Mi sono sparato 630 miglia in Mediterraneo alla RAN e non vedo l’ora di rifarlo!”
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Va in archivio a Livorno una bellissima e tecnica edizione della Ran 630, una delle regate più lunghe che si corrano in Mediterraneo (la più lunga per le barche a rating). Dopo l’arrivo della prima imbarcazione, il foiling cat Falcon di Matteo Uliassi, il resto della flotta si è giocato la classifica in tempo compensato, nella lotteria delle brezze tirreniche che hanno complicato non poco la vita agli equipaggi.
La vittoria generale della regata organizzata dallo YC Livorno è andata all’X-41 Adrigole II di Francesco Giordano, davanti al Sun Fast 3600 Lunatika di Guido Baroni, vincitrice delle ultime due edizioni e prima barca con equipaggio in doppio, terzo posto per l’X412 Zero in Condotta di Damiano Zilio.
Il nostro collaboratore Gregorio Ferrari era a bordo dell’X-41 Adrigole II, portacolori del Circolo Vele Vernazzolesi nelle regate d’altura, e ci ha raccontato a caldo quest’avventura, perché la Ran 630 è sempre più una delle regate “da fare” che si corrano in Tirreno.
Il racconto on board sull’X-41 Adrigole II
“La cabina qui sotto fa cassa di risonanza quando usate il winch”. È una tranquilla alba di maggio, tra Ponza e Ventotene. Ho appena finito un turno da quattro ore e a parlare è Francesco Giordano, armatore dell’X-41 Adrigole II su cui mi trovo a fare la RAN 630, la regata dell’Accademia Navale di Livorno. Realizzo che, complice il vento tra 10 e 14 nodi di bolina che ancora soffia, ho passato buona parte della notte alla randa a sferragliare come un treno merci con buona pace di chi stava provando a dormire. Da qualcuno a cui prende il telefono arriva un conforto “placebo”.
L’oracolo delle posizioni, Yellow Brick, ci rassicura: “Abbiamo allungato un pochino su quelli dietro”. È la seconda regata che faccio con loro e non c’è ancora una confidenza estrema. Forse ho esagerato, potevo stare un po’ più rilassato, mi dico dentro la testa. “Ma tranquilli, mi preoccupo molto di più quando c’è silenzio!” la chiude Francesco con il sorriso di chi non ha chiuso occhio, ma è soddisfatto di come stiamo andando. Sono sollevato. Del resto che altro si poteva fare? Un paio di infortuni alle vele ci stanno rallentando ed ogni decimo di nodo è fondamentale! Un ultimo colpo di maniglia per chiudere la randa dove i filetti in balumina stanno ballando un po’ troppo e smonto per andare sottocoperta. Siamo secondi in reale, abbiamo già lasciato qualche centinaio di miglia a poppa e puntiamo su Giannutri, in attesa di capire dove lasciarla.
Siamo in mare da quattro giorni, il vento fa tira e molla, le bonaccette sono sempre in agguato, dietro ogni isola così come in mezzo al Tirreno, eppure mi sto divertendo come un matto. Penso: “È una delle regate più belle che abbia mai fatto”. Il mio pensiero è slegato dalla posizione che occupiamo in quel momento (che alla fine dei giochi ci vedrà vincitori assoluti – di appena sei minuti – in ORC), ma dalle sensazioni che sto vivendo sia a bordo che nei luoghi che attraversiamo.
Verso la RAN 630
Prima di imbarcarmi su Adrigole II conoscevo la RAN solo per nome. È un po’ fuori dalle logiche delle regate d’altura più “mainstream”, anche perché questa è lunga per davvero. Anzi la più lunga del Tirreno. 630 miglia con un percorso meraviglioso che tocca Livorno, Porto Cervo, Capri per poi fare ritorno di nuovo su Livorno. Nel mezzo libertà assoluta di inventare rotte e soluzioni per arrivare prima di tutti. Che regata è? Se dovessi usare una parola direi “umana”.
Un luogo dove la competenza e la marineria non sfociano per forza nel professionismo esasperato e dove un armatore con un equipaggio affiatato può togliersi delle gran belle soddisfazioni. Non tutte, però. Quest’anno la Line Honours era un po’ complicata da guadagnare visto che, in banchina, tra vecchi Figaro e Impala 36, ha fatto capolino un’astronave gialla che risponde al nome di Falcon. È un catamarano DNA F4 full foiling e, se non bastasse, a bordo c’era anche un certo Shannon Falcone (due Coppe America vinte e un secondo posto alla Volvo Ocean Race con Puma nel 2008-2009). Il resto della flotta, in ogni caso, era agguerrito e competitivo, pronto a dare battaglia.
Capisco che non è una delle solite lunghe dal clima che si respira allo Yacht Club di Livorno in banchina. Niente festoni esagerati, niente sfarzo. Alla cena, nella sede in cima al molo mediceo, sembra di essere ad una sorta di rimpatriata. L’armatore Francesco Giordano e lo zoccolo duro dell’equipaggio di Adrigole II su cui sono imbarcato è alla sua terza partecipazione in tre anni. A cambiare quest’anno è la barca. Da un affascinante Baltic 43, Adrigole, ad un X-41 decisamente performante, Adrigole II. È proprio Francesco a confermarmi che sono pochissimi quelli che la fanno e poi non ritornano. Io sinceramente, sono un po’ scettico. È la regata più lunga che abbia mai fatto, è prevista bonaccia dilagante e ciondolare per una settimana in mezzo al mare mi inquieta un po’. Speriamo in bene.
La partenza
Alla partenza, il 27 aprile ci sono tanti velisti di livello, in primis l’equipaggio di Lunatika, Guido Baroni e Alessandro Miglietti, veterani dell’altura che, con il loro Sun Fast 3600, hanno vinto in IRC ed in ORC le ultime due edizioni. C’è il francese Michel Cohen, fresco vincitore della Roma per Uno, che ha deciso di portare la sua esperienza di navigatore solitario alla RAN sul suo Figaro 2. C’è l’equipaggio tutto al femminile di Audace, oltre al già citato Falcon. Allo start c’è un canale di vento che bacia la linea. Sappiamo bene che sarà l’ultima aria un po’ più “croccante” che ci troveremo davanti per diverso tempo. Girata la boa del disimpegno, lungo la Costa degli Etruschi, il vento cala rapidamente. Cerchiamo di tenerci un po’ più alti, sfruttando con le unghie e con i denti ogni refolo d’aria, armati di J1 e windseeker.
Il bello di questa regata è la tensione che la caratterizza, un susseguirsi di scelte praticamente costante. A parte le boe, non ci sono passaggi obbligati. La nostra prima boa, infatti, è Porto Cervo e possiamo arrivarci come vogliamo. I modelli meteo suggeriscono di stare vicini alla Corsica per sfruttare, la mattina successiva, l’effetto Venturi sulle Bocche di Bonifacio e avere aria pulita tra le vaste chiazze di bonaccia. All’altezza di Montecristo, a parte il missile a due scafi, il gruppo di testa fino a quel momento compatto si divide tra chi ha fiducia cieca in una posizione centrale e chi pensa che la salvezza sia sotto la Corsica.
Noi restiamo centrali perché il nostro spinnaker ci consente di scendere bene e la pressione è un po’ aumentata. Con noi ci sono Tintorel, il Figaro di Michel Cohen, e Pagasus, Classe 950 di Francesco Conforto, con cui passiamo la notte a poche miglia di distanza. Appena sorge il sole, la luce ci porta un aiuto notevole. Nel chiarore dell’alba vediamo nitidamente una zona di pressione più vicina a noi che ci permette di avvicinarci alla Corsica ad un’ottima velocità. Il nostro saluto al sole è un’abbattuta che ci divide dal resto della flotta. È questo il momento in cui prendiamo la testa (tra i monoscafi) che non lasceremo più fino all’arrivo. Mentre giriamo Porto Cervo diamo una sbirciata agli aggiornamenti meteo.
Tutto come da programma. Tra noi e Capri c’è una distesa d’acqua dove regna sovrana la bonaccia. Anche qui restiamo alti cercando di camminare più possibile rispetto ai nostri avversari, per mettere più acqua tra noi e loro. È un azzardo perché potrebbe arrivare prima il vento a loro.
La seconda notte, intanto, è talmente bella da togliere il fiato. Una stellata incredibile come solo il centro del Tirreno può far vedere. Se solo ci fosse anche vento sarebbe un sogno! Pazienza. Facciamo 0 nodi di velocità, qualche decimale di SOG e ci sono zero nodi. La corrente ci fa fare qualche capriola di direzione, ad un certo punto credo anche della retromarcia, mentre i refoli arrivano un po’ ubriachi in poppa, al traverso e sul muso. Anche qui, come una guida fidata, ci pensa il windseeker a toglierci dagli impicci. Mentre sono al timone mi strizzo gli occhi tra gli strumenti e l’acqua e non posso dirvi il sollievo provato dopo aver raggiunto un nodo di SOG andando incontrovertibilmente avanti!
Al cambio turno lasciamo ai nostri compagni una barca lanciata con lo spinnaker asimmetrico, destinazione Capri. Come avrete notato, i cambi vele sono frequentissimi e fondamentali. Durante il giorno il vento sale fino a 15 nodi. È il momento di scendere il più possibile e l’X-41 Adrigole II si dimostra una barca divertente in tutte le andature. Tutto l’equipaggio si gode la velocità mettendo testa e cuore per far correre la barca. Appena c’è campo constatiamo che siamo sempre in vantaggio, ma gli avversari non hanno mollato di un millimetro. Michel Cohen, in particolare, da solo, si sta dimostrando un osso duro.
Si sapeva, certo, ma vedere a poche miglia di distanza un solitario mentre noi in otto iniziamo ad essere un po’ stanchini fa una certa impressione. La sera facciamo fare un po’ di straordinari all’asimmetrico e al nostro Vittorio, un ragazzone che si diverte a pompare lo spinnaker senza nessuno a trimmare come fosse in deriva. A lui non sembra importare molto che ci siano 16 nodi e che la barca sia al lasco con un carico che solo a sentirlo mi fa venire l’acido lattico. Del resto un suo braccio equivale a metà equipaggio sommato. Meglio così, visto che dobbiamo scendere al massimo su ogni onda. Spingendo come dei forsennati finiamo nel cono d’ombra di Ischia che, fortunatamente, coinvolge anche gli altri. La mattina dopo, all’alba, finalmente Capri. È la penultima volta che issiamo uno spinnaker.
L’Italia di bolina
Girata la boa di Capri – non mi soffermo su quanto questo scenario sia suggestivo, soprattutto di prima mattina – mettiamo il naso di nuovo verso Ischia. È bolina e lo sarà quasi fino all’arrivo. Questa andatura non ci spaventa, siamo attrezzati. O almeno, lo saremmo. All’altezza di Ischia, mentre stringiamo per superare l’isola e pensare alle prossime mosse la barca perde un nodo e un rumore sospetto s’insinua nelle nostre orecchie.
“Mau, che succede?” chiede qualcuno. Mauro è il comandante di Adrigole II ed era già stato comandante di Adrigole, il Baltic. Sulla sua faccia solitamente entusiasta e raggiante ci sono due occhi azzurri sbarrati e la bocca semi aperta. Il J1 è scoppiato. Non proprio una buona notizia viste le previsioni. Come andare a fare una gran premio di Formula 1 nel Regno Unito in autunno e trovarsi i treni di gomme da pioggia tutte bucate. Intanto va su il J2, promosso sul campo a “leggero”.
“Anna, fai uno dei tuoi miracoli” – dice Francesco alla nostra prodiera che, a quanto apprendo, ha un talento particolare per risolvere le situazioni disperate sulle vele. Io sono disfattista, con un fiocco in quelle condizioni non ci si fa nulla. Anche Mauro è della stessa idea. Ma tentar non nuoce. Cosa abbiamo a disposizione? Un rotolo di grey-tape. Impresa ancora più disperata. Intanto siamo arrivati alla fatidica notte da cui ho iniziato questa storia.
Dopo il J1, anche il J2 decide di scoppiare. Non abbiamo fatto tante regate con Adrigole II, ma quei due fiocchi piuttosto consumati dal precedente armatore, non erano pronti a tutte quelle emozioni. I moduli possibili diventano all’improvviso due: sotto i 6 nodi, windseeker. Sopra i 10 nodi, J3. Tra gli 8 e i 10 nodi, il vento predominante previsto carrello fiocco, inhauler e fantasia.
Il pomeriggio dopo c’è Giannutri all’orizzonte ed il vento è sempre quello. “Su di J1”, dice Francesco. Il “tapullo” è fatto, ma Mauro vorrebbe conservarlo per attraversare il canale di Piombino, il giorno dopo. Niente da fare. Rattoppato alla meglio, l’ultima corsa del J1 ci porta vicino di Orbetello. Poi, esausto, esplode di nuovo e definitivamente. Questo sacrificio ci fa arrivare al passaggio più ventoso, con raffiche a 18 nodi in bolina dove il J3 può dire qualcosa in più. Al timone Nicoletta in trance agonistica si spara un intero turno al timone senza mollare un grado. Ci lasciamo il Giglio a sinistra e Giannutri a destra, schivando bonacce e salti di vento, e ci portiamo in rotta “Elba”. Le previsioni sono, questa volta, tragiche. Una gimcana di brezze ci potrebbe portare fuori dall’arcipelago, via Piombino, o lasciarci a ciondolare in mezzo alla bonaccia fino all’arrivo del vento da sud con conseguente “remuntada” della flotta su di noi.
Sul filo del rasoio tra le ariette con il J3 ingrassato come una buona forchetta dopo le feste di Natale, aiutati da una discreta botta di fortuna, usciamo dall’Elba felici e contenti. E ingenui. La vera trappola è dopo Piombino dove l’aria cala totalmente da qualunque direzione. La stanchezza inizia a farsi sentire e la situazione è disperata. Mentre gli altri fanno cinque o più nodi nodi spinti dal vento da sud arrivato, noi siamo impantanati nel nulla cosmico. Un colpo di reni del vento ci fa volare in bolina larga per un’oretta, poi muore di nuovo tutto. Non serve il conforto di Giacomo che, alla componente velica, ha aggiunto per tutta la regata consigli eno-gastronomici su ognuna delle coste che abbiamo raggiunto. Ci raccogliamo sottovento, tiriamo fuori la poppa dall’acqua, e lasciamo che il windseeker e l’apparente ci facciano galoppare a 1.5 nodi. Intorno tutto tace.
Solo a sera torna la pressione, in poppa, che ci fa fare le ultime miglia con una vela che avevamo quasi dimenticato: il simmetrico da poco vento. Tutto finito? Macché. Gli ultimi cinquecento metri sono di nuovo di bonaccia, ma ormai ci siamo abituati. Dondoliamo un po’, ma la barca si muove. A spingerla credo fosse la nostra voglia di arrivare più che il vento. Il taglio del traguardo è un immenso sollievo, abbiamo tutti l’impressione di aver fatto una buona regata, a prescindere da cosa dirà la classifica. Più di tutti mi sembra felice, anche se un po’ stranito Filippo, il nostro jolly. “Non ti ci abituare – gli dice Mauro – non è sempre così.” Per lui era la prima regata della sua vita. Un inizio niente male.
Guardo tutto l’equipaggio, come sorridono, e capisco quello che mi aveva detto prima di partire Francesco: “Chi l’ha fatta, fa di tutto per tornare”. Sono d’accordo con lui, anche io voglio essere alla partenza della prossima RAN 630.
Gregorio Ferrari
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3 commenti su ““Mi sono sparato 630 miglia in Mediterraneo alla RAN e non vedo l’ora di rifarlo!””
La regata più lunga del mediterraneo in realtà è la “nastro rosa veloce ” con partenza da Venezia ed arrivo a Genova ,senza scalo ed in doppio , le informazioni diffuse dovrebbero essere più precise……
Buongiorno Pierluigi,
è scritto alla prima riga:
“Va in archivio a Livorno una bellissima e tecnica edizione della Ran 630, una delle regate più lunghe che si corrano in Mediterraneo (la più lunga per le barche a rating).”
Grazie,
La Redazione
Grazie, Gregorio. Per noi dello Yacht Club Livorno è sempre un piacere e un onore accogliere gli equipaggi della Ran.
Ti aspettiamo l’anno prossimo.
Gian Luca Conti