Cento anni nasceva Bernard Moitessier. Ecco perché è diventato un mito
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Un anniversario che celebra la nascita di un mito assoluto della vela e della navigazione oceanica. Il 10 aprile del 1925, ben 100 anni fa, Bernard Moitessier iniziava la sua vita di mare vagabonda e ribelle che ha ispirato generazioni di velisti.
Il 10 aprile di questo 2025 segna una data importante per tutti gli appassionati di vela e di navigazione d’altura. Si festeggiano infatti i 100 anni dalla nascita di Bernard Moitessier, il vagabondo degli oceani, l’avventuriero velico per eccellenza, un’icona di libertà che ha conquistato il cuore di migliaia di naviganti in tutto il mondo che ne hanno seguito le gesta e continuano a farlo ancora oggi.
Ma perché Bernard Moitessier è così amato? Semplice. Perché attraverso la sua vita, le barche con cui ha navigato, il suo modo di straordinario di vivere e raccontare il mare Moitessier attraverso libri strepitosi ha segnato il manifesto di una vela romantica, anarchica, maledettamente ostinata e meravigliosamente ribelle. Il suo desiderio di navigare libero per il mondo, di essere sé stesso a qualunque costo, di inseguire un ideale di purezza, di rimanere fedele solo all’oceano, sono elementi che toccano l’animo di tutti e forse ancora di più in un’epoca come quella che viviamo che va nell’opposta direzione: il denaro, l’apparenza, le mode, il mercato dominano su tutto. Insomma tutto ciò che Moitessier disprezzava e da cui volontariamente, e a costo di non pochi sacrifici, si era allontanato.
Marinaio precoce, ostinato e sognatore
Nato a Hanoi nel 1925, Bernard Moitessier trascorse la sua infanzia in Indocina dove imparò a navigare sulle barche dei pescatori locali. Quando non navigava, costruiva lui stesso dei piccoli natanti che riprendevano le linee e l’armo velico di quegli scafi spartani ma funzionali. Il richiamo degli oceani si fece ineluttabile nel 1947 quando abbandonò la famiglia e il lavoro nell’azienda paterna per girovagare nel Golfo del Siam, nel mare di Giava e poi nel mar della Cina a bordo di una piccola giunca.
Poi nel 1952 a bordo di Marie Therèse affrontò in solitario i monsoni dell’oceano Indiano, ma a causa di un errore di carteggio finì sugli scogli nelle isole Chagos.Visse per un po’ nelle isole Mauritius dove costruì il Marie Therèse II, con cui risalì l’Atlantico fino a Trinidad, dopo una sosta per qualche tempo in Sudafrica. Proseguì quindi nel Mar delle Antille Moitessier fino a che per un colpo di sonno perse anche questa barca.
Il “Joshua” e quel gesto di ribellione sublime
In preda alla depressione, Moitessier si imbarcò come uomo di fatica su una nave mercantile, arrivando per la prima volta nella patria dei suoi genitori, la Francia. Qui cominciò a lavorare al Joshua, la sua mitica barca battezzata in onore del grande navigatore Joshua Slocum. Era un robusto ketch armato con due pali telegrafici, con cui impartì lezioni di vela d’altura nel Mar Mediterraneo.
Dopo aver sposato nel 1961 Françoise de Cazalet, con lei partì nuovamente verso la Polinesia, in un viaggio di nozze straordinario in cui la coppia completò la traversata Tahiti – Alicante via Capo Horn, per un totale di 14.000 miglia senza scalo. Un’impresa che gli ispirò il libro “Capo Horn alla vela”.
Mentre progettava di completare il giro del mondo senza scalo, passando per i tre capi (Buona Speranza, Capo Leeuwin e Capo Horn), nel 1968 venne organizzata dal The Sunday Times la prima regata intorno al mondo in solitario, la Golden Globe Race. Un’occasione che Moitessier non si lasciò scappare. Ma qui fece qualcosa che stupì il mondo e diede adito alla sua leggenda. Mentre era in testa alla flotta, invece di tornare vincitore in Europa, incassare il premio di 5.000 sterline e la gloria, Moitessier decise di abbandonare la competizione e continuare a navigare verso i mari del Sud. Quella rinuncia al successo in nome della purezza della navigazione è uno dei momenti più intensi dello sport velico, uno strappo clamoroso, una sfida sublime, un colpo di genio che lascia sbigottito il mondo e trasforma Moitessier in un idolo.
Gli ultimi anni su un atollo della Polinesia
Nel 1982, durante un breve periodo in cui si era trasferìto in California, Moitessier venne sorpreso da un improvviso e forte ciclone mentre stava ormeggiato in rada davanti alla costa messicana e perse anche il Joshua. Un colpo durissimo per lui che si rifugiò in uno sperduto atollo delle Tuamotu, nella Polinesia Francese, dove ebbe un figlio, Stephan, con la nuova compagna Ileana.
Da qui continuò a stupire l’opinione pubblica con le sue imprese in favore dell’ecologia e del disarmo nucleare a bordo della sua ultima barca “Tamata”. Scrisse il quarto e ultimo libro dal titolo “Tamata e l’alleanza” ripercorrendo e riflettendo sulle avventure di una vita e di cui riuscì a vederne il successo editoriale. Malato di un tumore alla prostata, diagnosticato nel 1989, Bernard Moitessier morì a Vanves nel 1994 accanto alla sua compagna Véronique. È sepolto nella piccola cittadina di Le Bono, nel Golfo di Morbihan, in Bretagna. Un luogo dove oggi, siamo certi, saranno in tanti a ricordarlo e rendergli l’onore che si merita.
- Leggi anche: Quella volta che salimmo a bordo del Joshua
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