Coperta e Manutenzione: capire il teak per farlo durare più a lungo

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La coperta in teak è da sempre un sinonimo di eleganza e qualità, caratteristiche che la rendono sempre più spesso associata a canoni classici e sapori d’altri tempi. Dall’altra parte, la scelta del teak è anche una soluzione che va (parzialmente) diminuendo, un po’ per l’emergere di soluzioni più sostenibili, un po’ per la ricerca sempre più tirata verso la performance. Nondimeno, è pieno di coperte in teak e, conseguentemente, ha anche senso capire come prendersene cura al meglio.

Teak e manutenzione: come lavare al meglio la propria coperta

Negli articoli precedenti legati a questa breve serie sulla manutenzione degli scafi (soprattutto Classic), abbiamo affrontato tematiche relative i problemi legati all’osmosi, all’usura delle componenti di timoneria e dell’albero stesso. Nello scorso articolo, QUI, abbiamo infine affrontato il tema ‘coperta in teak’, capendo come ripararne/sostiruirne al meglio i comenti danneggiati. Ma per manutenere al meglio la propria coperta non basta solo intervenire a danni/usure fatte, è anzi bene prendersene cura con costanza. Ecco quindi come lavare al meglio il proprio ponte in teak per preservarlo il più a lungo possibile.

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Coperta e Manutenzione: comprendere il teak

Un primo passo da svolgere per prendersi cura al meglio delle cose, generalmente, consiste nel conoscerle e capirle. Sotto questa luce, per affrontare al meglio il lavaggio del teak, è bene conoscerne proprietà e ragioni retrostanti. Del resto, se si usa il teak, ci sono certamente buone ragioni. Il teak, infatti, è un legno particolarmente pregiato caratterizzato da due distinte qualità che lo rendono ideale per le coperte: le sue proprietà meccaniche e le sue qualità estetiche.

La venatura fine e compatta che lo caratterizza, lo rende infatti particolarmente omogeneo e, dal punto di vista materico, facilmente lavorabile e resistente alle escursioni termiche. Infatti, le fibre del teak sono impregnate naturalmente di una resina oleosa, qualità che lo rende particolarmente resistente ad acqua e salsedine (oltre che alle muffe e agli insetti), facendone così un legno particolarmente longevo in ambienti marini e salmastri. A questo, si sommi la grande qualità di subire variazioni igroscopiche minime, fattore cruciale per non avere variazioni dimensionali in presenza di umidità. Di contro, però, è un legno tenero, motivo per cui urti e incisioni risultano particolarmente evidenti sulla sua superficie. Egualmente, è propenso all’assorbire macchie di unto e grassi, che rischiano di lasciare segni indelebili se non trattate correttamente. Già conoscere questi dettagli può aiutare a prevenire. Ma veniamo alla pulizia.

teak
Una foresta di teak

Coperta e Manutenzione: manutenere il ponte in teak

Partiamo da un presupposto: che il teak cambi colore è inevitabile. Fa parte di un naturale processo di ossidazione del materiale, e va benissimo così. Non è sinonimo di mal-manutenzione. Ci sono, però, armatori a cui la decolorazione non piace. In tal caso, sarà necessario ricorrere a prodotti e olii specifici per poter ricavare/mantenere un colore simile all’originario. Ma questo non concerne la pulizia dello stesso, si tratta di pura cosmesi.

Come abbiamo detto in precedenza, il teak è un materiale particolarmente adatto alla nautica proprio in virtù della sua fitta struttura fibrosa ricca di resine oleose. Ovviamente, con il tempo e con gli agenti atmosferici, anche queste vengono però meno. Ergo: per preservare il proprio teak, in primis, è necessario andare incontro alle sue esigenze. Certamente, una buona pratica è coprirlo dai raggi ultravioletti (con teli e cagnari), ma pulirlo in maniera corretta è altresì fondamentale. E la chiave sta nel non affrontarlo in maniera aggressiva.

È normale che, con il passare degli anni, il teak, nonostante lavaggi curati e risciacqui frequenti, assuma un tono non come questo. È una naturale evoluzione del materiale all’esposizione agli agenti atmosferici.

Per pulire il teak è infatti necessaria una spazzola a setole fitte ma morbida, così che non vada ad intaccare la struttura fibrosa del legno stesso. Dall’altra parte, l’idratazione è importante, soprattutto nelle lunghe settimane estive: è buona pratica bagnarlo spesso (settimanalmente, se possibile), sia con acqua dolce, sia con acqua salata (se pulita), un po’ per assicurarsi sciacquarne via la polvere, un po’ per mantenerne la struttura fibrosa idratata, rallentandone l’essiccazione. L’acqua di mare, inoltre, grazie ai cristalli di sale, rallenterà ulteriormente il diseccamento delle fibre, rallentando così l’evaporazione degli olii qui contenuti.

Qui si vedono bene le fibre del teak e il loro separarsi. Agire lungo la vena, soprattutto se con spazzole dure, altro non fa che rimuovere i tessuti morbidi, allargando le vene e peggiorando lo stato e la resistenza all’umido del teak stesso

Venendo al lavaggio a se stante, la questione è relativamente semplice: basta avere cura. Dopo aver bagnato abbondantemente il ponte, si procederà a spazzolarlo utilizzando saponi/detergenti neutri (possibilmente anche bio-degradabili), che andranno poi sciacquati via con cura (salvo non siano prodotti dedicati che non prevedono quest’ultima operazione). Importante, nello spazzolare, è bene avere cura nel non seguire il senso delle vene (grande dibattito da banchina). La venatura del teak, infatti, è composta da un’alternanza di fibre, dure e morbide: seguire la vena quando umida è dannoso in quanto tenderà ad asportare o danneggiare le componenti di questa più soffici, lasciando segni e compromettendo le qualità del materiale. Lavorare in maniera perpendicolare o angolata rispetto a queste è di gran lunga preferibile. Se volete verificarlo per voi stessi, approcciate due coperte lavate in maniera differente: sentirete al tatto come le venature affrontate in maniera aggressiva saranno molto meno omogenee e profonde rispetto a quelle lavate ortogonalmente con spazzole morbide (o, semplicemente, chiedete a qualsiasi deck-hand impegnato a lavare un ponte, osservatelo, e vedrete per voi stessi il processo di chi lo fa per lavoro).


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