E se le barche in futuro fossero di carbonio riciclato?
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E se le barche del futuro fossero in carbonio riciclato? Da oggi è possibile! Il Gruppo Hera ha inaugurato ieri a Imola FIB3R, il primo impianto europeo in grado di rigenerare la fibra di carbonio su scala industriale. Questo materiale, sempre più diffuso in ambito nautico dagli anni ’90 per la costruzione di scafi, rigging e vele, è attualmente importato principalmente da Giappone e Cina. Ecco perché questa nuova struttura all’avanguardia, con una capacità produttiva di 160 tonnellate annue di fibra riciclata, rappresenta dunque un passo avanti non solo in termini di sostenibilità ambientale, ma anche di indipendenza strategica in un contesto globale segnato da dazi e tensioni commerciali.

Il processo di rigenerazione della fibra di carbonio
Il nuovo impianto FIB3R rappresenta una risposta concreta alla crescente esigenza di sostenibilità nella nautica. Il processo di rigenerazione adottato da FIB3R, si basa su un’innovativa tecnologia di pirolisi e gassificazione, che permette di separare la fibra dalla resina e di riutilizzare l’energia generata, riducendo così l’impatto ambientale.
La fibra viene trattata con una tecnologia di pirogassificazione. Durante la fase di pirolisi, la fibra viene separata dalla resina grazie alla sua elevata resistenza termica. Successivamente, la resina, trasformata in gas, viene riutilizzata per alimentare il sistema, ottimizzando il recupero energetico.
Il risultato finale è una fibra di carbonio rigenerata, pura e con caratteristiche meccaniche intatte, pronta per essere reimpiegata in diversi settori, dall’automotive all’aerospaziale, alla moda e, naturalmente, anche alla nautica.
L’applicazione della fibra di carbonio nella nautica
Negli ultimi decenni, la fibra di carbonio ha rivoluzionato la progettazione e la costruzione di imbarcazioni, introducendo innovazione e prestazioni senza precedenti. Grazie alla sua straordinaria resistenza strutturale unita a un peso ridotto, questo materiale si è imposto come la scelta ideale per scafi, alberi, vele e sartiame. La sua capacità di resistere alla corrosione e la versatilità nella lavorazione lo rendono imprescindibile nella realizzazione di yacht moderni e performanti.
In Italia, due grandi protagonisti hanno segnato lo sviluppo e l’adozione della fibra di carbonio nel settore nautico: Raul Gardini con Il Moro di Venezia e Luca Bassani con Wally.
Il Moro di Venezia e il polo tecnologico di Montedison
L’uso della fibra di carbonio nelle imbarcazioni da regata ha avuto un punto di svolta con Il Moro di Venezia, l’imbarcazione di Raul Gardini per l’America’s Cup. Gardini, visionario e pioniere, trasformò il Cantiere Tencara in un polo di ricerca e sviluppo per i materiali avanzati, sfruttando il know-how di Montedison.
Il risultato fu una barca all’avanguardia: scafo, coperta e strutture interne pesavano complessivamente solo 2.000 kg, un traguardo impensabile con le tecnologie precedenti. Anche le vele furono oggetto di studi approfonditi, combinando fibra di carbonio e poliestere per garantire la massima efficienza e leggerezza.
Wally e la rivoluzione nel mondo della nautica da diporto
Se Il Moro di Venezia ha segnato una svolta nella nautica da regata, Wally e Luca Bassani hanno fatto lo stesso per la nautica da diporto. Quando nel 1991 Bassani varò il suo Wallygator, lo scafo in sandwich di carbonio e l’albero in fibra di carbonio rappresentavano una novità assoluta nel settore. L’ispirazione arrivò dallo sfidante neozelandese KZ-1, il primo a competere nell’America’s Cup del 1988 con una costruzione in sandwich di carbonio, Kevlar e Nomex, oltre a un albero interamente in fibra di carbonio.
Il passo successivo fu quindi quello di realizzare un’imbarcazione interamente costruita in fibra di carbonio. Ecco che nel 1994 arriva il ketch Nariida. Oltre a un design innovativo e a una riduzione di peso straordinaria, Nariida adottò vele in laminato di carbonio molto prima che fossero disponibili le membrane 3DL e 3Di. Da allora, Wally ha continuato a spingersi oltre i limiti della tecnologia del carbonio, culminando con Better Place, uno sloop lungo 50.50 metri: il più grande sloop in fibra di carbonio mai costruito!
Giacomo Barbaro
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1 commento su “E se le barche in futuro fossero di carbonio riciclato?”
No, non è il primo centro. Come noto, in Francia la cosa è istituzionalizzata con APER e sono in funzione 18 “centri di decostruzione” con i gassificatori containerizzati della svizzera Composite Reciclyng. E proprio in Francia, Refib3r era stato presentato come “associazione di scopo” di progetto. Detto questo, in carbonio riciclato si possono costruire parti non strutturali.
È un inizio che sicuro incontra l’interesse dei cantieri per una materia prima più economica che però deve essere incentivato, a partire dalla responsabilità estesa del produttore, ad agevolazioni per la certificazione EPD che oggi, in pratica, ha solo un ritorno di immagine, per finire al modello francese con l’obbligo di demolizione ed un contributo sul prezzo di vendita.