Cosa deve fare il governo per la nautica italiana nel 2025 (in 10 punti)

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Caro ministro
Il “Ministro del Mare” Sebastiano Musumeci, detto Nello, 70 anni, è il Ministro (senza portafoglio) per la Protezione Civile e per le Politiche del Mare in carica nel governo Meloni. Nel 2024 al suo dicastero è stato affiancato il dipartimento delle Politiche del mare. L’organismo è stato identificato come struttura di supporto al presidente per l’esercizio delle funzioni di indirizzo, coordinamento e promozione dell’azione di Governo con riferimento alle politiche del mare. Non siamo ancora arrivati all’istituzione del Ministero del Mare, ma ci stiamo lentamente avvicinando. Un nuovo tassello di un percorso che mira a centralizzare la governance del mare, fino a poco tempo fa divisa in oltre 10 Ministeri.

Cosa deve cambiare per rendere la nautica italiana da diporto più efficiente e accessibile a un pubblico sempre più ampio? Abbiamo stilato una lista di compiti, in dieci punti che il nostro Governo dovrebbe svolgere. Nello specifico, il Ministro per la Protezione Civile Nello Musumeci cha anche la responsabilità delle Politiche del mare, dovrebbe prenderla seriamente in considerazione. Le soluzioni ci sono. Basta volerle mettere in pratica

Dieci compiti 2025 per migliorare la nautica italiana

Caro ministro del Mare Nello Musumeci, ci ascolti, abbiamo lavorato per lei. C’è un tesoro, non ci stancheremo mai di ripeterlo, che vale miliardi e che il nostro paese deve ancora capire come sfruttare al meglio. è il turismo nautico, in ogni sua declinazione. Nonostante siano stati fatti degli indubbi passi avanti nel 2024 (patentino nautico, ecoincentivi…) il mondo delle barche (e di tutti coloro che delle barche fruiscono, ad ogni livello) è ancora appesantito, soprattutto, da vizi endemici.

A partire da una burocrazia lenta e complessa, da leggi bizantine, obblighi asfissianti, oneri eccessivi, approdi insufficienti, cari ed elitari, controlli in mare continui, scarsi servizi. Vediamo allora di proporre qualche idea, dei suggerimenti (in alcuni casi, consigli) per migliorare il settore rendendo la nautica (e il turismo nautico) più efficiente e accessibile a un pubblico sempre più ampio. Tema dopo tema.

Perché bisogna agire ora

Anche perché, signor Ministro, un intervento in tal senso è sempre più urgente. Nel nostro paese, abitato da una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, non solo si immatricolano appena una media di 19 barche al mese (va detto che sono in tantissimi coloro che hanno dismesso la bandiera italiana proprio per la burocrazia soffocante che si porta dietro), ma molti dei diportisti presenti fuggono, visto che le cancellazioni dai registri nel 2023 sono state 3.667. Una emorragia costante, quella dei registri italiani del diporto, che dura da 10 anni, quando il parco nautico era di 104 mila unità mentre ora ne conta circa 81.000.


1. Buoni esempi dalle Regioni

Non è detto che servano leggi nazionali per aiutare lo sviluppo della nautica da diporto. Esempi virtuosi arrivano anche dalle Regioni. Come ha fatto il Friuli Venezia Giulia che lo scorso 21 novembre ha approvato una “sua” legge per il rilancio del settore, stanziando 2,4 milioni di euro per il biennio 2025-2026. Si va dagli incentivi per il refitting delle imbarcazioni (3.000 euro per le unità fino a 5 m di lunghezza, aumentato di 500 euro per ogni m in più, fino a un massimo di 15.000 euro), al bonus demolizioni (da 2.500 a 8.000 euro a seconda delle dimensioni della barca), dai finanziamenti per la transizione ai motori elettrici al sostegno al charter e poi risorse per i porti, per l’innovazione tecnologica, e per manifestazioni dedicate allo sviluppo della nautica. Bene così!

LA NOSTRA PROPOSTA. Quella del Friuli Venezia Giulia (Regione a Statuto Speciale) è un’iniziativa che dovrebbe essere presa ad esempio dalle altre Regioni. Dimostra infatti che se c’è volontà e iniziativa si può incidere in modo significativo sullo sviluppo della nautica anche a livello locale.


2. Registro telematico

L’istituzione del sistema telematico centrale della nautica da diporto con le sue varie diramazioni (Atcn, Ucon, Sted) ha di fatto reso più semplice la vita al diportista. Ma la strada è ancora lunga. In Paesi come Spagna, Francia, Belgio, Gran Bretagna servizi di amministrazione digitale on line, portali pubblici e applicazioni mobile consentono al diportista di effettuare la maggior parte delle pratiche in maniera autonoma dal web o via app. Senza intermediari, sportelli, file, certificati da portare o compilare. La soffocante burocrazia in Italia è il vero ostacolo.

LA NOSTRA PROPOSTA. La transizione digitale della pubblica amministrazione è uno dei pilastri del “Pnrr” italiano a cui sono destinati il 25 per cento dei fondi. Deve beneficiarne anche la nautica con la creazione di un portale che consenta al diportista di effettuare in autonomia le pratiche amministrative,accessibile anche via app. L’esempio giusto? Quello avviato dal ministero delle Imprese e del Made in Italy che consente di chiedere il rilascio del patentino Rtf o la Licenza di esercizio radioelettrico direttamente online.


3. Skipper subito, ora!

La nuova figura di Ufficiale di Navigazione del diporto di 2° classe  nonostante sia stata introdotta con una legge del 2023 e normata da diverse circolari applicative ancora non riesce a partire.

A bloccare gli esami che consentirebbero di acquisire il titolo di “skipper professionista”, finalmente svincolato dal settore mercantile, sembra essere ormai solo un ostacolo formale: il divieto di iscrizione al corso di addestramento di “primo soccorso sanitario (First Aid)” finora riservato ai marittimi della “Gente di Mare”.

A consentire l’accesso anche agli aspiranti nuovi Ufficiali (che non rientrano tra i marittimi) dovrebbe essere il ministero della Salute con una semplice atto amministrativo, così come ha già fatto il dicastero delle Infrastrutture con gli altri corsi di addestramento previsti per il nuovo skipper.

Ma ciò non avviene, nonostante proteste e richieste arrivino ormai da ogni fronte, esponenti governativi e Confindustria Nautica compresi. Il Giornale della Vela ha denunciato da tempo questo irresponsabile comportamento dei burocrati del ministero della Sanità e anche l’associazione delle industrie nautiche punta il dito contro questo dicastero che sta ostacolando il nuovo titolo di skipper professionista. Non si sa se in modo consapevole o semplicemente per indolenza.

LA NOSTRA PROPOSTA. Premesso che appare incomprensibile come il problema dell’accesso ai corsi di addestramento, per i non iscritti alla Gente di Mare, sia stato così sottovalutato in fase di elaborazione della norma, ciò che conta ora è una presa di coscienza del problema e la volontà di risolverlo. La giusta “spinta” può arrivare soprattutto dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Che si attivi.


3. Porti turistici

Per la portualità turistica è un buon momento. Il bilancio economico è in crescita per il quarto anno consecutivo (media 2%), aumentano gli ormeggi stanziali e in transito, diversi approdi sono in via di completamento (Palermo, Piombino, Pietra Ligure…). Inoltre, il decreto Infrazioni ha escluso le strutture portuali dedicate alla nautica dalla Direttiva Bolkestein, facendo ritrovare certezze al settore. Il comparto spinge ora per una modifica catastale dei marina finalizzata all’esenzione dell’Imu, per incentivi mirati alla riqualificazione delle strutture esistenti e per la semplificazione delle procedure per i dragaggi.

Restano tuttavia una serie di criticità: l’assenza di un coordinamento nazionale sulla portualità turistica, che comporta insediamenti in ordine sparso decisi da Regioni e Comuni (dove gli interessi locali possono essere molto forti), spesso in concorrenza tra loro; una collocazione spesso infelice dei nuovi porti, con effetti deleteri sulla linea di costa e la necessità di continui dragaggi; l’uso speculativo, con spazi sempre maggiori dedicati a centri commerciali, parcheggi ed edilizia residenziale; posti barca riservati a unità sempre più grandi; l’assenza di criteri di qualità.

LA NOSTRA PROPOSTA. Creare una cabina di regia nazionale per coordinare l’operato di Regioni ed enti locali sulla portualità turistica in modo da evitare concorrenze di campanile o concentrazioni e, viceversa, evitare (attraverso finanziamenti o sgravi) tratti di costa troppo scoperti. Riservare una quota maggiore di posti barca alle unità di piccole-medie dimensioni. Fare “sistema” incentivando un coordinamento comune (tipo Croazia). Stabilire una classificazione di “qualità” così come avviene per gli hotel (stelle), con una effettiva corrispondenza tra tariffe richieste e servizi offerti.


5. Aree Marine Protette

Il nostro Paese ha la più ampia rete di aree marine protette (AMP) nel Mediterraneo: sono 29 per una superficie totale di oltre 200.000 ettari a mare con circa 700 chilometri di coste alle quali vanno aggiunti due parchi marini sommersi, 2 parchi nazionali con protezione a mare e il Santuario Internazionale dei mammiferi marini (Santuario dei Cetacei).

Si può dire che il “meglio” del nostro mare è sotto tutela, ma è complicato navigarci. Ogni riserva, anche se con regole generali comuni, decide in autonomia le zone fruibili al diporto, i periodi, le modalità di accesso, la necessità di  permessi e le eventuali tariffe. Un gran calderone dove le regole non sono facilmente comprensibili o bisogna “ricostruirle” scorrendo decreti, delibere  e circolari.

Spesso poi campi boe o campi di ormeggio attrezzati mancano o sono insufficienti e le modalità di accesso o prenotazione farraginose.

LA NOSTRA PROPOSTA. Il modo migliore per conoscere (e apprezzare) le riserve marine è, appunto, dal mare. Bisogna quindi bilanciare le esigenze di tutela di un bene ambientale fragile con un turismo nautico a basso impatto ambientale. Le ultime modifiche al Codice della Nautica consentono di realizzare campi boa e ormeggi attrezzati sia nelle zone di riserva generale (B) che di riserva parziale (C), serve quindi che gli organismi di gestione si attivino in questo senso. Sarebbe utile inoltre creare siti online efficienti e comprensibili, con mappe aggiornate degli ormeggi e la possibilità di effettuare prenotazioni. Bene anche destagionalizzare i flussi dei diportisti con iniziative ad hoc (tariffe agevolate, organizzazione di escursioni a terra, etc…).


6. Bandiera italiana o no?

La crescita delle barche che abbandonano la bandiera italiana per acquisirne una estera (+256% in tre anni) è una conseguenza deli alti costi di gestione della barca, dotazioni eccessive, elevata burocrazia, controlli oppressivi in mare, etc. Difficile arginare il fenomeno senza risolvere i problemi. Tuttavia è anche necessario mettere in guardia chi è alla ricerca di facili approdi. Le singole nazioni (e l’UE) hanno ben presente la tendenza del “foreign flag” e stanno stringendo le maglie.

Ne sa qualcosa il Belgio, uno degli ultimi Paesi (dopo la Francia) ad aver conosciuto un boom anomalo di iscrizioni di armatori esteri nei propri registri marittimi, “costretto” recentemente a modificare le regole imponendo la residenza al proprietario della barca. Ora l’ultimo registro dei desideri è quello polacco (in parte lo sloveno), con immatricolazioni facili, rapide e online schizzate in pochi anni da 2.000 a 77.000 che sembrano però aver attratto anche persone senza scrupoli.

Tanto che i reati (soprattutto trasporto droga) commessi con barche che battono bandiera belga sono  aumentati finendo per allarmare le organizzazioni internazionali che hanno acceso un faro sulle barche che navigano in Atlantico con questa bandiera. Un ulteriore deterrente dal cambio bandiera potrebbe arrivare inoltre con il ddl “Valorizzazione della risorsa mare” approvato dal Consiglio dei Ministri: per i residenti in Italia con barche che battono bandiera straniera (e navigano in acque italiane) è previsto l’obbligo di richiedere un certificato di sicurezza se l’unità non è dotata di un attestato di questo tipo.

LA NOSTRA PROPOSTA. Più che proposte un consiglio. Vagliare con attenzione pro e contro del cambio di bandiera e soprattutto tenersi costantemente aggiornati sugli sviluppi normativi del settore, sia del nostro paese sia di quello di immatricolazione della barca.


7. Patenti nautiche

Una delle novità più importanti del nuovo Regolamento di attuazione del Codice del Diporto varato lo scorso ottobre è stata sicuramente la disciplina della nuova patente nautica D1, il “patentino” che permette a partire dai 16 anni di età la navigazione diurna entro 6 miglia dalla costa con natanti fino a 10 metri (dai 18 anni, con imbarcazioni fino a 12 metri) e con massimo di 115 CV di potenza.

Un’abilitazione semplificata destinata a dare nuova linfa al mercato delle patenti nautiche. Quello che rischia di provocare l’effetto opposto è la stangata delle nuove tariffe “minime” obbligatorie per tutte le patenti nautiche. Introdotte nel 2023 con il “Regolamento recante la disciplina delle scuole nautiche” erano passate inosservate, ma andranno in vigore a settembre 2025 e la conseguenza sarà di un aumento generalizzato a danno degli utenti e in barba al principio della libera concorrenza.

Basti dire che un corso per la patente A “senza limiti dalla costa” non potrà costare meno di 1.400 euro (incluse 5 uscite di un’ora) e per ogni uscita pratica in più bisognerà sborsare non meno di 90 euro per un’ora. Prezzi molto superiori (anche il doppio) di tante offerte attualmente praticate sul mercato.

Lo stesso tariffario minimo, per dire, non è previsto per le autoscuole (che spesso svolgono anche attività di scuola nautica). Due pesi, due misure?

LA NOSTRA PROPOSTA. Abolire il tariffario minimo per le scuole nautiche. In alternativa, rivedere la tariffe verso il basso. A proposito di patenti nautiche: dal 4 dicembre tutti i cittadini possono inserire patente auto, tessera sanitaria e carta europea della disabilità sul proprio smartphone in versione digitale, tramite l’app IO. Ma non si è parlato di patente nautica: andrebbe inserita al più presto.


8. Dotazioni di bordo

Con la revisione del Regolamento di attuazione del Codice del Diporto, la lista delle dotazioni di sicurezza si è di nuovo allungata. Le new entry sono: luce di attivazione automatica per i giubbotti di salvataggio, scandaglio a mano, tabella dei segnali visivi diurni e notturni, imbragatura di sicurezza con safety line ombelicale. In più c’è la novità delle dotazioni “raccomandate”…

LA NOSTRA PROPOSTA. Fermare la crescita continua delle dotazioni di bordo, razionalizzando quelle attuali; evitare che quelle “raccomandate” diventino obbligatorie.

Le barche italiane hanno come dotazione obbligatoria una cassetta di pronto soccorso tra le più imponenti (e costose) del mondo. Un kit composto da 23 voci con accessori improbabili come 5 “plussossimetri” (strumenti che servono a misurare la saturazione dell’emoglobina), ai quali si aggiungono un fonendoscopio, uno sfigmomanometro e persino una maschera di rianimazione. Il tutto obbligatorio a partire da una navigazione di oltre 12 miglia dalla costa.

LA NOSTRA PROPOSTA. Adeguare la cassetta di pronto soccorso alle reali esigenze (e capacità) del diportista. Si prenda a esempio un qualsiasi kit in uso all’estero.

La revisione della zattera di salvataggio è uno dei costi fissi che grava sul diportista ed è tra le incombenze più scomode da gestire. Nel nostro Paese per la zattera di salvataggio è prevista una revisione “ordinaria” ogni 2 anni e una revisione straordinaria (più costosa) ogni 4. In Francia la revisione dello stesso tipo di zattere (e da parte delle stesse aziende) è prevista ogni 3 anni più un cambio della bombola solo ogni 9 anni. Perché questa (non trascurabile) differenza?

LA NOSTRA PROPOSTA. Uniformare la revisione delle zattere ai criteri francesi allungando le scadenze delle revisioni.


9. Natanti all’estero

Il problema della navigazione dei natanti italiani all’estero sta nel fatto che è richiesto, in genere, un documento che certifichi la nazionalità della barca e su questo aspetto si sono irrigidite in particolare nazioni a noi confinanti come Slovenia, Croazia e Grecia. Il “nostro” natante, non essendo un’unità obbligatoriamente immatricolata, non ha però questa documentazione.

Con una modifica al Codice del Diporto si è pensato di risolvere la questione introducendo un nuovo documento, l’“Attestazione per natanti da diporto italiani”, che però non sembra avere risolto il problema. Finora non è stato infatti riconosciuto valido dalle nazioni in questione.

Il nuovo attestato, in effetti, non fa che unire la già esistente Dichiarazione di Costruzione e Importazione (DCI), un documento tecnico rilasciato da un’associazione di imprese (Confindustria Nautica), con un’autocertificazione, il tutto autenticato da uno Sportello Telematico del Diportista (Sted). Non ha quindi la stessa valenza di un’iscrizione nei registri marittimi (ora Atcn) nazionali. La situazione è in stallo.

LA NOSTRA PROPOSTA. La sensazione è che forzando la mano sull’identificazione del natante si possano fare danni: si rischia di toglierli cioè quella “libertà” amministrativa che lo rende così economico da gestire ed esente da obblighi burocratici. La strada per consentire navigazioni libere nelle nazioni vicine può essere allora quella degli accordi bilaterali, come già accaduto con la Francia, utilizzando magari anche il nuovo attestato. Altrimenti, chi vuole navigare “senza confini” può sempre decidere di immatricolare la barca.


10. Controlli in mare

Chi mette la prua fuori da un porto ha ancora la quasi matematica certezza di essere fermato dalle autorità per un controllo. Anche se sta navigando a vele spiegate o placidamente fermo all’ancora. Soprattutto d’estate. Alzino la mano coloro ai quali non è mai capitato.

Ad arginare questa caccia al diportista non è servito né l’affido in esclusiva dei controlli in mare al corpo delle Capitanerie di Porto (vi ricordate prima quanti enti potevano fermarvi? C’era anche la Guardia Forestale, che incredibilmente effettuava con suoi mezzi controlli in mare in alcune riserve marine e neanche l’introduzione del Bollino Blu, l’adesivo da applicare allo scafo che dovrebbe certificare che una barca è stata già verificata dalle autorità competenti e quindi evitare nuovi controlli. C’è chi ha stimato che le verifiche unità da diporto sono circa 40 volte più frequenti di quelli alle auto.

Il perché di tutto questo? Non si sa. Certo è che nei rapporti annuali della Guardia Costiera, i numeri “monstre” delle barche fermate in mare vengono esibiti con un certo orgoglio.Quasi che il diportista sia per definizione un soggetto a elevato rischio delinquenziale o un soggetto privilegiato contro cui accanirsi…

Ed è un peccato, anche perché questa persecuzione marittima genera acrimonia verso un corpo che svolge in realtà un difficile e prezioso lavoro di tutela della sicurezza in mare.

LA NOSTRA PROPOSTA. Ridurre i controlli di routine della Guardia Costiera alle unità in navigazione, incrementando dove ce ne fosse bisogno la sorveglianza lungocosta, dove in realtà avvengono la maggior parte delle infrazioni in mare.


Ci siamo dimenticati qualcosa oltre a questi 10 punti per migliorare la nautica? Fatecelo sapere con un commento o con una mail all’indirizzo speciali@panamaeditore.it

 

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7 commenti su “Cosa deve fare il governo per la nautica italiana nel 2025 (in 10 punti)”

  1. Aggiungerei una nota sui decreti attuativi: gli incentivi per la sostituzione dei motori marini endotermici con quelli elettrici approvati lo scorso ottobre non hanno avuto alcun effetto pratico, dato che senza i decreti attuativi non si sono potuti usare…

  2. Confermo la situazione di stallo dove l’omologazione di una motorizzazione elettrica sulle barche da lavoro (trasporto merci o passeggeri) attualmente non risulta possibile per carenza di normative aggiornate ai nostri tempi. Cosa molto grave in particolare a Venezia dove questo tipo di imbarcazioni è la norma.

  3. Punto 5
    Prendete ad esempio il parco il Parco di Portofino, l’estate scorsa i prezzi dei campi boa sono triplicati. Inoltre quest’inverno sono passato da San Fruttuoso, gavitelli tolti, in area protetta (giustamente) non si può dare ancora, praticamente è impossibile andarci in barca.

  4. Davvero uno scandalo! Durante un viaggio intorno all’Italia, iniziato a gennaio, siamo stati controllati ogni singolo giorno: in mare, in porto e persino da un elicottero che ha volato attorno a noi per diversi minuti. Quasi mai l’autorità di controllo rilascia un documento di verifica! E anche quando viene rilasciato, raramente viene preso in considerazione.

    La cosa peggiore è stata il controllo a Taranto o Monopoli, non ricordo bene, dove abbiamo dato il permesso alle autorità di salire a bordo. Hanno svuotato tutti gli armadietti, il congelatore, il frigorifero e non hanno rimesso nulla a posto, lasciandoci tutto in disordine.

    Uno scandalo vero e proprio!

  5. Argento Domenico

    Credo di poter rappresentare gli amanti del mare e della nautica da diporto dicendo al ministro che ci dicesse cosa sta e intende fare. Da un ministro ci aspettiamo che operi piuttosto che fornisca pareri. Auspico che a breve ci notizi in tal senso.

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