La storia: abbandonare la vecchia vita per diventare The SoloSailor
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Non è la solita storia. Andrea Lodolo navigherà da solo attorno al mondo per 30.000 miglia nella più folle e romantica delle regate oceaniche, la Golden Globe. A 52 anni ha cambiato vita abbandonando una brillante carriera per passare un piccolo pezzo della sua vita vivendo un presente costante, dove non esiste più passato e non esiste più futuro. Perché, a lui, la vela lo fa star bene. Intervista al “The SoloSailor”.
A 52 anni, con 40 chili in meno, Andrea Lodolo, da brillante manager e imprenditore milanese ha cambiato vita, diventando navigatore velista/esploratore del terzo millennio. Si autodefinisce “The SoloSailor”. Forse inconsapevolmente sta creando una nuova figura che abbandona l’approccio romantico della stereotipata figura del marinaio pieno di sale che gira per il mondo. La sua sfida è sportiva, fatto di tenacia, preparazione, tecnologia. Ma resta centrale la voglia di scoperta, interiore (sé stesso) ed esteriore (il mondo poco conosciuto). Affronta questa sfida con allenamenti in barca a vela in solitaria alla ricerca di situazioni anche estreme. Gli servono per prepararsi alla partecipazione alla più pazza, romantica, avventurosa delle regate oceaniche, La Golden Globe Race, che parte a settembre 2026, circumnavigando il mondo. Senza strumentazione moderna, senza scalo, con barche “vecchie”. Da solo. Lo abbiamo intervistato a bordo del suo Rastler 36 di 11 metri Bibi ormeggiato in Atlantico, alle Azzorre, nel porto di Punta Delgada sull’isola di Sao Miguel durante un allenamento.
Qual era il tuo sogno da bambino?
Diventare esploratore.
La prima volta che hai visto il mare?
Il primo ricordo a 4 anni. Mia mamma Mariarosa, a Rapallo in inverno, mi porta sulla spiaggetta davanti all’hotel Riviera a prendere l’aria buona. Avevo una bronchite che non passava.
E la prima volta in barca a vela?
La prima vera volta è a 12/13 anni a Dervio, sul lago di Como per un corso di vela. La svolta è durante l’università. Il papà di un mio amico ci invita per una crociera in Francia con diversi scali, da Marsiglia a Beaulieau sur mer. Lì ho avuto, per la prima volta, una percezione del tempo totalmente diversa da quella a cui ero abituato. Vedevo Antibes, mi sembrava che ci avremmo messo un attimo ad arrivare. Invece ci mettevamo tantissimo. Ho dormito benissimo e mi si è aperto un nuovo mondo.
La tua prima barca da armatore?
Un Mini tonner di sette metri di Ron Holland, il Tato, comprato usato all’inizio del 2000. Lo tenevo in Liguria e facevo uscite con gli amici. Qualche volta, uscivo da solo. Poi la prima regata d’altura, la Corsica per due (400 miglia) con una ragazza francese.
Quali barche bai avuto prima del Rustler 36 Bibi?
Dopo il Mini Tonner ho avuto un Elan 40 piedi, poi un Hallberg Rassy 43. Ho noleggiato barche con la famiglia e amici. La barca che vorresti, che non hai avuto e magari possiederai? Tra le barche di serie, il francese Boreal 44. Ma se parlo della barca ideale, one off, che magari un giorno possiederò, eccola: in alluminio non oltre i 45 piedi (14 metri) con deriva fissa. Il progetto su mie specifiche per massimo due persone con una dog house (prolungamento coperto del pozzetto che dà accesso sottocoperta) con il carteggio da un lato e un angolo cottura dall’altro. Perché a livello del pozzetto e non sottocoperta? Perché se dormo vado sottocoperta, ma se sono sveglio sto in coperta, in pozzetto o in cucina o al carteggio. E voglio vedere fuori ed essere sempre pronto a manovrare. Quando invece dormo, dormo veramente. E vado sottocoperta. A proposito, la mia barca ideale sottocoperta ha due soli ambienti, senza il bagno come lo concepiamo oggi. Uno, che io chiamo multimodal room, è una sorta di dinette che si trasforma in cabina, un quadrato inferiore, se vogliamo. E poi la smart room, che invece è il locale dove puoi farti una doccia, stivare cose, ma è officina, calavele, ecc. A prua la barca è vuota, con una paratia stagna con porta, prima di una crash box, dove stivi quello che vuoi, dalle biciclette ai materiali di rispetto. Perché le barche oggi hanno tanti spazi che non sono così intelligenti per come io vivo la barca. Tornando in coperta la mia barca ideale ha un pozzetto molto marino e asciutto, chiuso a poppa e profondo con un grande gavone di stoccaggio posteriore. Attrezzatura con non più di sei winches. Il timone è a barra, armo a cutter (un albero, randa e due fiocchi) con albero in chiglia piuttosto corto con due sartie volanti, pescaggio di almeno due metri con buon coefficiente di raddrizzamento. E, lo ribadisco, in alluminio perché lo ritengo più sicuro della vetroresina, almeno di quella di oggi.
Chi ti ha insegnato ad andare a vela?
In tanti. Ma ho imparato veramente ad andare a vela solo nell’ultimo periodo della mia vita, a Les Sables d’Olonne, Francia Atlantica. Fino a quel momento, anche se avevo già fatto un anno sabbatico in barca nel 2014, mi sono reso conto che non sapevo andare a vela. Ho imparato da tanta gente a Les Sables d’Olonne, ne cito tre: Jean Luc Van Den Heede (79 anni, vincitore della prima Golden Globe nel 2018) e suo figlio Eric, il velaio Olivier Tarot. Lì ho capito che quello che conoscevo prima della vela, era un’altra cosa. Fare vela d’altura con professionisti o comunque con professionisti “a riposo” – perché i professionisti veri non hanno tempo per me – è un’altro sport. Soprattutto nella preparazione della barca perché andare a vela bene, secondo me, significa conoscere bene la barca, prepararla bene. È impossibile andare a vela bene con vele, manovre, punti di scotta sbagliati, con pesi distribuiti in modo scorretto. Quindi se si lavora prima sulla preparazione della barca e sulla gestione di tutto quello che sono le manovre, a quel punto impariamo ad andare a vela bene. E ho scoperto che le uscite più utili per migliorarsi sono quelle con poco vento dove si affinano le regolazioni. Non le uscite con mare molto formato e tanto vento.
Con chi andresti in barca?
Con lo scrittore/storico Yuval Noah Harari. A bordo non è come nella vita normale, si ha tempo per conoscersi e per confrontarsi. Per questo vorrei andare in barca con Noah Harari, di cui stimo il pensiero espresso nei suoi libri, soprattutto in “21 lezioni per il XXI secolo” (Bompiani, 2018).
Il luogo dove vorresti sempre andare in barca in cui sei stato?
La Bretagna, o meglio il Golfo di Biscaglia.
E quello dove non sei stato?
Mi piacerebbe navigare in Tasmania.
Tra tutte le tue letture, qual è il marinaio che ti ha più ispirato?
Joshua Slocum.
Cosa ti piace della pratica della vela?
Il vivere un presente costante, entrare in uno stato di percezione del tempo totalmente diverso rispetto alla vita cui siamo abituati. In sociologia si afferma che o è l’individuo che influenza l’ambiente o è l’ambiente che influenza l’individuo. In mare l’ambiente influenza l’individuo. Per me la pratica della vela è vivere questo presente costante, dove non esiste più passato e non esiste più futuro. Sei solo nel “qui ed ora”. Sono milanese, un po’ stacanovista. L’andare a vela mi si adatta perfettamente perché, soprattutto da soli, c’è sempre qualcosa da fare, non solo per fare andare la barca al meglio ma perché il cervello è sempre attivo per prevenire e le mani entrano in azione per mettere a posto. Ti rendi conto che è una grande scuola di vita, tutto quello che lasci stare e non fai, perché pensi che sia un problemino da mettere a posto dopo, diventa poi un problemone. Mi piace la continua attività, che non è mai iperattività, perché coinvolge prima la testa e poi le mani. Jean Luc Van Den Heede dice sempre che non bisogna avere fretta, ma bisogna fare le cose per bene. Ha ragione.
Cosa non ti piace?
Ci sono tante cose che non mi piacciono. Mi da fastidio che la vela talvolta sia ancora considerata uno sport d’elite, mentre è una pratica per tutti, da insegnare nelle scuole. Come in Bretagna dove la vela è veramente per tutti. Vedi bambini con le mute stagne che vanno in mare in inverno, con tavole a vela con i foil. Non mi va come l’informazione generalista tratta l’andar per mare e la vela. Ne parlano solo quando ci sono mareggiate, colpi di vento e incidenti. Ma la vela è “serendipity”, tranquillità, tempo per noi stessi, tempo per gli altri. Invece viene raccontata, sempre e solo in situazioni estreme e critiche, per attirare l’attenzione. Anch’io prima avevo del marinaio solitario un’immagine stereotipata, con la faccia sempre piena di sale, stanco distrutto quasi moribondo. È un’immagine che serve solo per vendere le cerate. Ma se è nel tuo DNA questo sport, in mare stai bene, sei felice. Per quel che mi riguarda, sono tra coloro che amano andare in mare, amano fare traversate da soli. Lo faccio per me stesso, ma provo a condividerlo con molti. Non mi reputo un professionista, né lo sarò mai. Sono un amatore/navigatore che ce la mette tutta.
Hai altre passioni oltre alla vela?
Sono stato un motociclista da BMW con le valigie d’alluminio e tenda. Adesso sono passato al cicloturismo. Mi piace viaggiare via terra con la bici perché faccio moto, che alla mia età non fa male. Sono anche un accanito lettore di narrativa da viaggio marina e, in generale, ho la passione per la lettura. Leggo molto.
Quando hai deciso di cambiare vita e di diventare The SoloSailor?
Sono convinto che nella vita bisogna essere come i gatti e vivere più di una vita. Avevo già fatto qualcosa di diverso quando nel 2014/15 mi sono preso un periodo per attraversare l’Atlantico in modo goliardico, andata e ritorno, con l’Hallberg Rassy 43. La scelta di diventare “The SoloSailor” è maturata nel 2023.
Cosa facevi prima?
Ero amministratore delegato di una società svedese che si occupa di formazione marittima.
Quando hai deciso di fare il giro del mondo nella Golden Globe?
Ho sempre avuto l’ambizione di dire un giorno: farò il Giro del Mondo. Mi sono reso conto però che non mi interessava tanto arrivare nei porti del mondo per poi visitarli. L’ho già fatto per lavoro e nei miei giri in moto. Mi piaceva molto di più una lunga navigazione attorno al mondo passando per i tre mitici capi (capo di Buona Speranza, capo Leeuwin e capo Horn). Il passo successivo è stato pensare al Golden Globe, che ho sempre seguito. Il Golden Globe dà la possibilità ad amatori, appassionati, avventurieri di realizzare l’ambizioso progetto di fare il Giro del Mondo in regata passando per i tre Capi con un coefficiente di sicurezza più ampio. Soprattutto con una curva d’apprendimento enorme, perché ci si confronta con altri partecipanti e si impara dalle persone che l’hanno fatto prima. Quando ho avuto la possibilità di lasciare i miei carichi operativi mi sono detto: ok allora mi iscrivo. Ho passato e passerò il resto della mia vita probabilmente accompagnato dall’intelligenza artificiale e da algoritmi, cose molto belle che migliorano la vita. Ma mi affascina passare un piccolo pezzo della mia vita, qualche mese, senza tutto questo. Non perché lo rifiuto, ma per provare qualcosa di diverso e anche per rispetto alla tradizione marinara ultracentenaria che ha sempre navigato senza A.I. Non sono una persona che rifiuta gli strumenti moderni a bordo, come richiesto dal Golden Globe. Anzi, la tecnologia aiuta e nella maggior parte dei casi rappresenta una maggiore sicurezza. Ma sono attratto dalla sfida di navigare come si faceva un tempo.
È stata difficile la scelta di diventare un navigatore solitario?
No. Innanzitutto perché non lo farò sempre, per 365 giorni l’anno. Per me la vita è bella perché è condivisa, ma quando navigo in solitario mi piace. Vivo in solitudine, ma non sono isolato. Capisco, è un atto egoistico, ma mi fa stare bene. Quando per la prima volta in preparazione per la Golden Globe sono uscito per 36 ore da solo nel Golfo di Biscaglia stavo bene, ero iperattivo, attento, vigile come non mai. Col tempo navigando in solitario prendi fiducia in te stesso e nella barca. Si inizia per piccoli passi, poi aumentando il tempo in mare parte la Routine. A me ci vogliono tre giorni da solo in mare per cambiare modalità. Capiamoci, se per chi sta a terra passano 30 giorni, per me quello stesso periodo diventa una serie di cicli di Routine da 2/3 giorni. E lo scorrere del tempo si ferma. Mi accorgo che invecchio dal punto di vista biologico perché mi crescono i capelli, la barba, le unghie. Ma in realtà non invecchio, vivo nel presente costante pensando solo a migliorare la barca. Rifletto, prendo appunti, prendo tempo per le mie cose. Dormo e mi sento più riposato quando mi sveglio. Certo, la Routine si può interrompere perché ti sei fatto male, hai preso paura, non riesci a dormire. Solo allora mi accorgo che il tempo scorre.
Nelle tue navigazioni quando hai avuto paura?
Paura sì, due volte. La prima è stato quando in navigazione in solitario sono salito a metà albero e non riuscivo più a scendere. Si era bloccato il meccanismo di discesa che avevo provato mille volte. Mi sono calmato e sono riuscito ad atterrare sul ponte. La seconda volta durante una burrasca a 300 miglia da Brest in Atlantico. C’erano 45 nodi con raffiche oltre 50, onde di 6/7 metri. Avevo fatto tutto per bene, ammainato la randa, legata con i matafioni ed ero rimasto con un pezzettino di fiocco, volanti cazzate a ferro. Doveva smettere, ma non smetteva mai. Aumentava, aumentava senza fine. Prima un’onda frangeva ogni trenta, poi venti, poi ogni tre. Non finiva mai. A un certo punto ho smesso di guardare il mare, stavo dentro, mi concentravo su altro. Poi ho capito, la paura non era per quello che vedevo ma per quello che sarebbe venuto dopo. Quando hai previsioni di tempo cattivo – mi ha insegnato Van Den Heede – preparati perché sarà peggio. Mi hanno insegnato anche che, quando c’è burrasca non conta più la rotta, conta solo tenere il mare nella posizione giusta rispetto alla barca. Così continuavo a regolare il timone vento per avere il mare sul quarto di poppa. Sino a quando un’onda ha franto in coperta portandosi via tutto, antenne (Starlink, AIS, GPS ecc), sprayhood e tutto quello che ha trovato. Allora mi è tornato il sangue freddo, ho montato antenne di ricambio collegandole direttamente alle batterie. Dopo 40 ore, la burrasca ha mollato. Ma non mi sono fidato e ho fatto bene facendo tesoro di quello che mi avevano raccomandato in Francia, “guarda che ritorna”. Dopo sei/sette ore è ripartita.
Che obiettivo ti poni. Vincere o arrivare?
Il mio obiettivo oggi è essere sulla linea di partenza il 6 settembre 2026, dopodiché quando sarò lì fatemi la stessa domanda e magari vi rispondo. Voglio partecipare, che vuol dire arrivare al via pronto. Pronta la barca che deve ancora fare dei refit (Bibi è un Rastler 36 di poco meno di 11 metri varato nel 1998, Andrea la possiede dal 2022). Pronto io stesso come navigatore solitario. Per adesso imparo. Devo impratichirmi a navigare senza strumenti. Difficile, anche perché la strumentazione di oggi ti fa capire se stai facendo camminare bene la barca. Ma alla Golden Globe dovrai fidarti solo delle tue sensazioni. E per il meteo adesso hai in tempo reale tutte le informazioni, in regata non sarà più così.
Perché lo fai, solo per te o anche per gli altri?
Lo faccio per me, perché la navigazione in solitario è un atto di egoismo. Navigando da solo escludo tante persone che avrebbero piacere di condividere quest’esperienza con me. Ma allo stesso tempo posso condividere la mia esperienza, una volta fatta, con gli altri. Non perché ho qualcosa da insegnare, ma perché può essere di ispirazione per altri che vogliono fare qualcosa di simile a ciò che ho fatto. Oggi chiunque può seguire on line quello che uno fa.
Cosa avresti voluto fare e non bai fatto al di fuori della vela?
Un dottorato di ricerca, per dedicarmi alla ricerca scientifica.
E nella vita personale?
Nella vita personale probabilmente dedicare, quando ero più giovane, molto più tempo ai miei figli. Vorresti che i tuoi figli si appassionassero alla vela? Vorrei che i miei figli, Leonardo 23 anni e Carola 21, si appassionassero a qualcosa che li appaga, non necessariamente la vela.
Sino a quando (età) pensi di andare a vela? Perché?
Mi piacerebbe dirti che voglio andare a vela per sempre. Però penso che l’alternanza, il cambiamento, l’evoluzione stessa necessita di un po’ di cambiamento. Adesso ti dico che vorrei andare a vela il più possibile, però so anche che magari nella mia vita interverranno altre cose a cui mi dedicherò con la stessa passione che riservo oggi alla Golden Globe (30.000 miglia) del 2026. Magari non sarà una sfida sportiva, sarà altro, non lo so.
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