REPORTAGE Strane storie da Saint Lucia, dove finisce la ARC
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Il sogno di molti velisti è attraversare l’Atlantico, prima o poi. Siamo certi che anche il nostro velista/filosofo Marco Cohen*, prima o poi, si lancerà in questa avventura con il suo Mat 12. Per adesso, si accontenta di sognarlo da vicino, anzi, vicinissimo: lo abbiamo spedito a Rodney Bay, nell’isola di Saint Lucia, dove si stanno susseguendo gli arrivi della ARC, il rally oceanico “per tutti” che quest’anno ha avuto anche dei risvolti tragici. In tre puntate, ci racconta tutte le storie che ha raccolto per noi.
Qui Saint Lucia – Dove finisce la ARC
2 dicembre 2024. A bordo di un VOR 65, un fior fiore di barca da regata pensata per il giro del mondo, cade in acqua il 33enne velista svedese Dag Eresund mentre la barca sta partecipando all’Atlantic Rally for Cruisers, dai più conosciuta come ARC (la regata/veleggiata translatlantica per “crocieristi”, da Las Palmas, Gran Canaria a Saint Lucia, nei Caraibi). Non sarà ritrovato.
Questa tragica notizia che ha scosso tutti le 840 persone di equipaggio ci ricorda che, anche nell’era di Starlink, dei piloti automatici e dei catamarani giganti con gli abbattitori e gli chef a bordo, una traversata oceanica non va mai sottovalutata sul lato della sicurezza.
La cosa migliore per onorare la memoria di un ragazzo caduto in mare è stare sempre legati e col giubbotto anche quando ci sentiamo connessi e al sicuro. Siamo assuefatti da immagini e video su Instagram che sembrano rendere questa traversata di 2800 miglia un lungo aperitivo con tramonti meravigliosi e la benedizione degli alisei. Certo è anche questo, ma non solo.
Saint Lucia, perla dei Caraibi
Arrivando in aereo a Saint Lucia, con la funzione mappa del volo, che ricalca la stessa traiettoria, mi rendo conto come, anche a 950 miglia orarie, sia lunga questa traversata.
E mi rendo conto, partito tra le bestemmie dei miei amici e soprattutto dei miei soci lavorativi, di quanto sia privilegiato a essere mandato dal mio editore (che commosso ringrazio) a coprire la settimana dei primi arrivi a Saint Lucia. Perla caraibica che si distingue per la bellezza della sua natura, sotto forma soprattutto di vulcani e rainforests abbarbicate intorno. L’altra caratteristica che la distingue e me la rende simpatica e la frequenza delle happy hour con steel band e rum che allietano gli arrivi degli equipaggi.
Catamar…alano
Ma il primo componente di equipaggio di cui vi vorrei parlare non è proprio un umano, anche se pesa come uno di loro perché ha 4 zampe ed è un alano danese grigio del catamarano “Little Dane” appena arrivato che, mentre lo scrivo, mi rendo conto che potrebbe essere un omaggio proprio al cane. Se pensate che stia scherzando e se vi chiedete ma dove la fa…eccovi accontentati con foto all’ormeggio e della zona prato tra i due scafi.
“Il mio capo mi ha dato l’ok”
Proseguo la mia passeggiata sul pontile degli arrivi e mi imbatto in Dario Calogero, anzi per esattezza di cronaca l’occhio mi cala prima sul bellissimo Swan 56 Why Not disegnato da Frers nel ’98 di cui è il fiero armatore. Mi sacrifico e approfittando del tesserino Media del Giornale della Vela, in cambio di un paio di bicchieri di Charmat francese ghiacciato, inizio una sorta di intervista e rimango affascinato dalla sua storia.
Innanzitutto istruttore di Caprera (dove insegna dal 1981), è un imprenditore nel settore digitale: ha fondato un’azienda che ha poi venduto ed è passato dall’home office al boat office. “Adesso lavoro in una società che ha un addetto solo. Ho chiesto al capo, che sarei io, e mi ha dato l’ok, da dicembre 2023, per lasciare la vecchia vita per una nuova. In barca”.
“A questo punto“, prosegue Dario, “mi è venuta naturale la decisione di partecipare, assieme a mio figlio Pietro, alla prima RC della vita, per passare (c’è di peggio nella vita) la stagione invernale ai Caraibi”.
Con Starlink ovviamente, non penso di aver trovato una singola barca che non ce l’abbia, lavorare anche in navigazione in mezzo all’Oceano non è più un problema. Mi mostra tra il serio e il divertito una foto di un’importante conference agghindato in modo impeccabile sopra con cravatta e camicia bianca ma con il costume di ordinanza sotto (vedi foto).
Tre motivi per partecipare alla ARC
Gli chiedo tre motivi per fare la ARC e consigliare l’esperienza ai nostri lettori:
- L’immersione totale nella natura che neanche Starlink riesce a diminuire
- L’esperienza in equipaggio che considera una sorta di esperimento sociale. “Ho scelto le persone ad una una dai corsi di Caprera. E’ forse la scelta più delicata. Basta anche uno solo fuori posto e l’atmosfera è completamente rovinata: è un po’ come il matrimonio, solo che il mio sta durando da 33 anni mentre la traversata è durata 17 giorni“.
- Facile. Perché si arriva d’inverno ai Caraibi.
Tre ragioni per non farla, gli chiedo: “Non riesco proprio a trovarne una…“.
La barca senza randa che ha fatto la ARC
Un’altra storia di banchina che mi ha colpito è nata da Instagram, dove seguivo da un po’ di tempo le avventure nautiche di Glemm, un Grand Soleil LC 46, rigorosamente armata “no mainsail“, ma solo con due fiocchi. Anche perché leggo sempre con attenzione sul GdV l’annosa questione se è possibile pensare a un futuro senza randa per l’easy sailing: a partire dal geniale e controverso Ernesto Tross che progettava le sue barche sempre senza randa o l’ultima incursione di Vismara con il progetto Dolcevela.
Guido Rivolta, armatore di Glemm, mi spiega che alla fine, con grande sorpresa, l’assenza della randa non ha influito in maniera così drammatica sulle prestazioni delle barca: “Abbiamo usato una downwind sail di Banks, in pratica un doppio code zero che si apre a farfalla, per ottimizzare la rotta in poppa e abbiamo perso solo mezzo nodo rispetto alla configurazione ideale”.
La ARC non è una passeggiata
A lui chiedo anche un parere sulla questione sicurezza e del uomo disperso in mare: “Abbiamo avuto la notizia in tempo reale via radio – eravamo a circa 200 NM, ma grazie a Starlink abbiamo attiva una chat tra equipaggi – tutti “basiti” . Cadere in mare di notte è il peggior incubo di un navigatore. Noi la stessa notte abbiamo avuto un danno grave. Avevamo appena tolto la ritenuta dal boma per ridurre la randa quando il vento è passato da 25 a 40 nodi… La barca è partita alla poggia, strambata involontaria e via … rottura della trozza del boma, randa disintegrata e albero ammaccato … a sole 1200 miglia da St. Lucia! Dal punto di vista sicurezza, siamo sempre stati tutti legati con giubbotto e AIS MOB inserito. Sempre in coppia“.
Certo, aggiungo io, alla Middle Sea Race e anche nelle regate di altura come Fastnet e Sydney Hobart è previsto l’obbligo dell’EPIRB personale. Avrebbe molto senso, in ogni regata in cui la temperatura del mare consente una lunga sopravvivenza in acqua, renderlo obbligatorio perché consente sempre di sapere la posizione della persona dispersa.
Fare yoga tra le onde
Ma torniamo a cose più allegre, vedendo i video dell’ARC mi sono imbattuto in una pazza che faceva yoga imperturbabile in mezzo alle onde. Incontro Flavia Abbadessa e mi rendo conto che proprio pazza non è, anzi. Ha fatto della sua passione la sua professione: fa l’imprenditrice a Milano e insegna una disciplina autonoma che si chiama Gyrokinesis. un mix che combina yoga, tai chi, danza e il nuoto. Perfetto per chi come me ha la flessibilità di un rudere pre-romano.
“E’ stata la mia prima traversata”, mi racconta, “e non è stata come me l’ero sognata, ma molto di più. Credevo ci sarebbero stati momenti di noia, invece le settimane sono volate. Immaginavo sarebbe stato più complesso trovare l’equilibrio con l’equipaggio e invece siamo entrati subito in sintonia e non abbiamo mai avuto momenti di tensione, anzi. E’ la situazione ideale per conoscersi a fondo e condividere un’esperienza davvero emozionante. E’ difficile sapere cosa aspettarsi dall’oceano la prima volta che lo si affronta. Siamo stati fortunati come condizioni di mare e vento, anche se l’esperienza di altri equipaggi ci ha insegnato a non abbassare mai la guardia e ad avere sempre un grande rispetto per il mare.
In questa ARC, come nella maggioranza delle regate di altura, la vela sembra essere dominata dai maschi. Una sorta di resilienza del patriarcato. Le chiedo un parere al riguardo (anche se su questi pontili la presenza femminile è superiore a quella delle regate nostrane): “Su Why Not eravamo un equipaggio equilibrato, con quattro uomini e tre donne, ma questa purtroppo è ancora un’eccezione. Basta guardare nei porti per rendersi conto di quanto sia evidente che siamo ancora molto indietro da questo punto di vista. Per fortuna ci sono sempre più esempi di donne che affrontano sfide molto impegnative nel mondo della vela, come per esempio il Vendée Globe, famoso giro del mondo in solitaria, alla quale in questo momento stanno partecipando 6 donne (su 40 skipper). Speriamo di vedere sempre più omogeneità negli equipaggi, sia a livello amatoriale che professionale”.
Marco Cohen
Nelle prossime puntate…
PS: siccome devo giustificare, presso il mio editore, una permanenza fino al 22 dicembre, nei prossimi giorni vi toccheranno altri due articoli: uno sugli equipaggi e barche straniere (spoiler: sono andato a visitare commosso Jack, un clamoroso McConaghy 76, catamarano spaziale senza senso con tanto di angolo bar in carbonio) e l’altro sull’isola di Saint Lucia che è ormai diventata sinonimo di ARC (prima si arrivava alle Barbados). E a questo punto mi toccherà pure andarla a visitare…
*Chi è Marco Cohen
L’autore di questo articolo è il produttore cinematografico e velista Marco Cohen, qui ritratto al timone di una barca piccola (in quel caso un Cape 31, progetto del suo designer “feticcio” Mark Mills).
Armatore di un MAT 12 (progetto, appunto, di Mills) gira il Mediterraneo per regate (perdendole quasi tutte ma divertendosi un sacco). Acuto umorista e filosofo della vela (“Ho riabbracciato la vela a 37 anni dopo l’ennesimo infortunio a calcio, quando ho realizzato che è l’unico sport che si può fare da seduti e con un bicchiere in mano”), i suoi articoli hanno sempre un grande successo. Qui sotto potete leggere alcune sue “perle”:
- Come rallentare una barca da regata. 10 segreti per non vincere
- Fenomenologia (semiseria) del Campionato Invernale
- La sindrome dell’armatore ovvero come essere felici nonostante la barca
- Come partecipare alle regate d’altura sapendo di perdere
- Guida per sognare la Sydney Hobart
- La sindrome del cambio barca
- Barca piccola contro barca grande
- Bella la Giraglia, con i Maxi sarebbe stata ancora meglio
- “La mia prima, indimenticabile, Rolex Middle Sea Race”
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1 commento su “REPORTAGE Strane storie da Saint Lucia, dove finisce la ARC”
Chiedo ad esperti per curiosità sull’imbarcazione Glemm:
1) Il Code Zero è una sorta di compromesso tra un fiocco e uno spinnaker. Viste le dimensioni (ridotte) e il materiale (non leggero come quello di un Code Zero) dalla foto, quello sembra un doppio fiocco. O sbaglio?
2) Inoltre, c’era vento forte (25-40 nodi), dovendo ridurre la randa e visto che quella barca ha la randa avvolgibile nell’albero perché togliere la ritenuta dal boma? Per mettere la prua al vento con 40 nodi e immagino onda sui 2-3 metri? Pensavo che con la randa avvolgibile nell’albero bastasse lascare un po’ la scotta per ridurre la tensione sulla randa e poi arrotolare parzialmente la randa mentre sei in navigazione. Così da evitare poggiate involontarie quando si è in balia di vento forte ed onde. Sicuramente richiede attenzione per evitare che la vela si incastri o che ci sia troppo carico sul sistema di avvolgimento. Questo tra l’altro evita la necessità di esporre l’equipaggio e l’imbarcazione a manovre complesse e potenzialmente rischiose per barca ed equipaggio. Corretto?