VIDEO Essere Jimmy Spithill. L’imperdibile videointervista/confessione esclusiva

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Jimmy Spithill

Ve l’avevamo promessa ed ecco, nella sua interezza, l’intervista che Jimmy Spithill (ora CEO e capitano del team italiano in Sail GP. Qui scoprite come sono andati nella prima tappa) ha rilasciato alla nostra Ida Castiglioni dopo la sconfitta di Luna Rossa alla Louis Vuitton Cup per mano degli inglesi e il suo annuncio di ritiro dalla Coppa America (chissà che non ci siano ripensamenti)…

Una lunga intervista/confessione a cuore aperto, in tre parti, dove un “monastico” Jimmy Spithill, nato nel 1979 a Sydney, ripercorre non solo l’avventura con Luna Rossa ma tutta la sua storia in Coppa America. Una storia che ha inizio 25 anni fa, con il suo ingresso, giovanissimo, nel team di Young Australia di Syd Fischer.

 

Chi è James Spithill detto Jimmy

Jimmy Spithill, 45 anni, nato a Sydney, è uno dei timonieri più vincenti della Coppa America. Nel corso della sua carriera, ha vinto due America’s Cup (2010 e 2013) con BMW Oracle Racing e una Prada Cup (2021) con Luna Rossa: la sua prima esperienza con il team italiano risale al 2004. È considerato uno dei maggiori esperti di match-race a livello internazionale.

Dopo la sconfitta in finale di Louis Vuitton ad opera degli inglesi di INEOS Britannia ha annunciato il suo abbandono da timoniere di Luna Rossa e dalla Coppa America (salvo ripensamenti), diventando il CEO del team italiano di Red Bull Italy di SailGP.

La Spithill story sul prossimo numero del GdV!

Sul prossimo numero del Giornale della Vela (dicembre/gennaio) vi raccontiamo la storia “dietro le quinte” di Jimmy Spithill, ovvero come un ragazzino proveniente da una famiglia umile e affetto da disabilità, che ha iniziato a bordo di piccola deriva raccolta tra i rifiuti, sia riuscito a diventare uno dei più grandi velisti (Abbonati per leggerlo appena esce in versione digitale prima che ti arrivi a casa)!


Jimmy Spithill e la Coppa America

Intervista di Ida Castiglioni a Jimmy Spithill

GdV – Jimmy, sei stato protagonista per 25 anni in Coppa America. Com’era? Com’è cambiata?

Jimmy Spithill – Ho visto molto e quando ci ragiono penso che per un ragazzino come me, che stava crescendo, sia stata un viaggio strepitoso: poter lavorare con i migliori velisti, i team di progettazione e quelli che le barche le costruivano, ed essere capace di gestire questi team, in Australia, negli Stati Uniti, in Italia. Mi dico: “it’s better to be lucky than good”(è meglio essere fortunati che bravi)*. Ho iniziato il mio percorso nell’America’s Cup (ndr. come skipper di Young Australia, per l’edizione di Auckland del 2000) ed eravamo un team di giovanissimi, ma allora le barche erano dei normali monoscafi, con la chiglia e il timone, molto pesanti e non molto veloci. Ma la tecnologia lentamente ha cominciato a migliorare e nell’ultima versione hanno una tecnologia avanzata. E’ stato davvero entusiasmante avere quella prima parte del mio percorso su scafi tradizionali ma essere poi coinvolto nei trimarani, dal grande enorme multiscafo di 90’ del 2010, ai catamarani foiling di 72’ di San Francisco, agli AC50 fully foiling di Bermuda e ora – ovviamente – ai monoscafi foiling delle ultime due campagne. Voglio dire che, quando cominciai avevo 19 anni e se qualcuno mi avesse detto che così sarebbe stato il futuro, che le barche avrebbero volato, che ci sarebbero state grandi ali ad alimentarle, a dar loro la forza, io avrei pensato che era un pazzo. E’ stata una lunga corsa ma è o.

GdV – Come è cambiato il tuo ‘lavoro’ di timoniere in questi 25 anni?

Jimmy Spithill – Penso di essere stato davvero fortunato a esserlo in questi 25 anni perché ho potuto sperimentare i monoscafi tradizionali. Credo tu lo sappia, ma quando ho iniziato a timonare in regata non c’era davvero modo di fare pratica quando non eri in mare. Quindi, se volevi allenarti e migliorare dovevi armare la barca e, se c’era il vento giusto, andare in acqua con tutto l’equipaggio e provare le manovre. In quel primo periodo non usavamo la cinepresa per filmare l’allenamento e non registravamo le conversazioni tra timoniere e tattico. Non era possibile vedere i filmati delle precedenti edizioni della Coppa America e tantomeno c’era YouTube. Questa è stata la grande differenza perché siamo arrivati gradualmente a un periodo in cui la tecnologia è cresciuta sempre più rapidamente e allora abbiamo avuto la possibilità di allenarci a terra utilizzando i simulatori. E poi sono arrivate le telecamere di bordo e i microfoni che registravano quello che io e il tattico ci stavamo dicendo. E adesso altri passi avanti della tecnologia ti permettono di sentire cosa dicono gli uomini del tuo team e i tuoi avversari. Quindi uno come me nel ruolo di timoniere, se ha disponibili strumenti e materiali, si può allenare sempre.

Spiego meglio. Abbiamo un simulatore su cui possiamo fare pratica ripetendo cento volte ogni singola manovra. Se vogliamo provare una situazione tattica, il passaggio boa, la fase della pre-partenza oppure i 10 secondi che precedono il via, possiamo fermarci su questi momenti, provare e riprovare. In passato non era possibile. Dovevi aspettare la regata per poter imparare a reagire alle manovre dell’avversario. Allora timonare era molto più istintivo e dovevi costruirti un tuo ‘playbook’ di manovre e strategie, di quello che avresti fatto per attaccare o per rispondere alla manovra dell’avversario. Costruirmi quell’esperienza mi è piaciuto molto, è stato divertente, allora non c’erano scorciatoie. Ma mi piace anche adesso. Oggi il livello di concorrenza è molto cresciuto e queste nuove modalità consentite dalla tecnologia, questo modo di fare pratica permette a molti più atleti di raggiungere un livello superiore. All’inizio, se ti volevi fare quell’esperienza dovevi fartela in regata, navigando sull’acqua, ci voleva molto più tempo.

Quando oggi guardo i giovani velisti, i ragazzi e le ragazze al timone, li vedo così attenti, così impegnati, capiscono davvero la tecnologia e sanno come usarla.

GdV – Cosa è cambiato in pratica per chi sta al timone?

Jimmy – Per me la grande differenza nella pratica di chi sta al timone è che oggi devi guardare lontano, devi pensare rapidamente e prendere le decisioni molto in anticipo, devi davvero prevedere le prossime mosse (tua e dell’avversario) e anticiparl. Perchè adesso navighi a 50 kn e vai contro un avversario che va anche lui a 50 kn, e la differenza di velocità tra le due barche è di 100 kn (185 km/h). Quindi, quando le barche facevano 7 o 8 kn di bolina, avevi tutto il tempo per pensare e per discutere con il tattico la prossima mossa e quale sarebbe stata quella successiva. Adesso devi guardare, pensare, decidere e agire in un attimo, in frazioni di secondo.

Su queste barche, davvero diverso e piuttosto strano è il movimento della ruota del tmone, che è davvero molto piccolo. Su una barca lenta muovi la ruota e hai tutto il tempo per vedere la prua della barca spostarsi, su questi ultimi monoscafi è come quando stai al volante di una macchina: più veloce vai, più i movimenti della ruota devono essere piccoli. E’ un po’ come guidare una vettura sul ghiaccio, se fai un movimento eccessivo, scivoli via.

Un’altra cosa è cambiata. Quando ho iniziato, sia sui maxi che in Coppa America, i timonieri non erano considerati atleti, l’allenamento fisic non veniva preso in considerazione. Per me non è mai stato così e su questo mi sono molto impegnato fin dall’inizio. L’ho preso molto sul serio perché avevo capito che, se ero fisicamente in ottima forma, anche la mente era molto più equilibrata. E questo lo vediamo bene oggi, sia che tu sia un timoniere, un cyclor o un tailer. E ancora di più tra i giovani ragazzi e ragazze, che sono degli atleti incredibili.

GdV – Cosa mi dici dell’impegno fisico necessario per regatare su questi nuovi scafi?

Jimmy – Penso che lo sforzo fisico in passato non fosse davvero enorme perché facevano parte dell’equipaggio ragazzi forti, veri sportivi, e poi in regata eravamo così tanti (forse anche troppi) e in realtà non c’erano così tanti ruoli da coprire. Adesso, quando guardi quelli che regatano sugli AC70 capisci che a bordo sono davvero pochi e che devono essere davvero multitasking; ci vogliono atleti che devono essere capaci di pensare sotto stress, anche quando stanno andando alla massima frequenza cardiaca. Perchè  ci sono pochi uomini e tutti hanno molti ruoli da interpretare e funzioni da eseguire. Credo che oggi questo sport richieda davvero il massimo impegno. Vale per le regate di Sail GP come per quelle di Coppa America, dove non puoi essere solo un grande atleta, ma devi essere un atleta che riesce a prendere decisioni istantanee sotto pressione, anche quando sei allo sfinimento.

GdV – Quale è oggi il ruolo del software a bordo delle barche di Coppa America? Devi decidere tu o il software decide prima di te?

Jimmy – Questo è stato davvero un grande cambiamento. All’inizio tu avevi dei feedback, delle informazioni: la velocità della barca, la velocità del vento, e timonare una barca era davvero qualcosa di istintivo. Ma adesso, grazie alla tecnologia, il software (ovvero la serie di istruzioni che indicano a un computer cosa fare) ha un ruolo enorme, non solo nella progettazione, nel design, nella costruzione degli scafi e delle vele, ma anche per gli atleti nel portare la barca, nel prendere le decisioni.

GdV – Quanto conta la meteorologia in Coppa America?

Jimmy – Il tempo e la meteorologia sono davvero così basilari e importanti in Coppa America perché la prima cosa che consideri quando progetti una barca di A.C. è dove verranno corse le regate di selezione e la Coppa stessa. Bisogna conoscere le condizioni del vento e del mare perché giocheranno la parte più importante per disegnare il profilo della barca, la parte immersa dello scafo, le dimensioni di foil e timone, l’albero e le vele. Quando rilevi i dati meteo per vent’anni e poi ogni estate ti rendi conto che il tempo è diverso dalle condizioni medie proposte in questi studi, vuol dire che è una previsione difficile. Il clima sta davvero cambiando e quindi credo che sia molto rischioso usare uno studio storico del meteo per ricavarne delle condizioni in un certo luogo e in un certo mese.

Penso che, se vuoi davvero vincere la Coppa America, devi avere uno scafo che sia buono per tutte le condizioni. Tutte le barche di quest’ultima edizione sono apparse più vicine che in passato in termini di prestazioni e tutti sapevano che era necessario essere competitivi con poco vento come con molto, con mare poco mosso come con le grandi onde. Se vuoi vincere devi avere uno scafo che funziona in tutte le diverse condizioni.

GdV – Partecipare alla Coppa America è un gioco lungo e difficile. E’ così?

Jimmy – Penso che la maggior parte delle personenon capiscano davvero quanto lavoro ci sia dietro queste squadre. Di solito per 4 anni si vede poco e poi di colpo tutti finiscono sotto i riflettori con la Vuitton Cup (o prima la Prada Cup) e poi con le regate di Coppa America ma la quantità di sudore e di lacrime che tutti i membri del team hanno messo in queste campagne è davvero incredibile passando più tempo alla base o in mare che con le loro famiglie. Come sai per me non è mai stato un sacrificio ma un privilegio e un onore avere la possibilità di fare qualcosa del genere. Adesso quando guardo i miei figli ** penso che hanno visto quanto è difficile raggiungere certi obiettivi e quanto ho dovuto duramente lavorare. E sono già abbastanza fortunato a essere in grado di farlo.

Il mio sogno in questi anni era vincere la Coppa America per l’Italia e purtroppo non è successo, ma sono fiducioso e penso che ancora possano farlo e sarò felice di vedere Luna Rossa .

GdV – Sei già stato coinvolto in SailGP con la squadra Usa, che hai coordinato per due stagioni. Adesso sei a capo del Team SailGP Italy.

Jimmy – SailGP è molto più simile a MotoGP e alla Formula 1 che a un evento di regate perchè si corre in una stagione regolare con molte più gare e 12 squadre coinvolte. Tutti hanno la stessa tecnologia, quindi si tratta di uno sport di abili velisti, che sono pure atleti, ed è davvero spettacolare per chi assiste dal vero o in TV. Coppa America e SailGP sono due eventi che non si fanno concorrenza: il primo è una grande gara di design che dura più anni, il secondo è un calendario sportivo stagionale. Mi piace e ne sono davvero affascinato. Penso che per i giovani atleti di oggi, ragazze e ragazzi, gareggiare in un SailGP sia una grande opportunità. C’è così tanto talento in loro che sono entusiasta all’idea di aiutare la prossima generazione a raggiungere quello che sogna di ottenere.

GdV – Se ben ricordo, detieni il record per il tempo più veloce di percorrenza della Sydney-Hobart.

Jimmy – Per un ragazzino che cresceva in Australia i grandi momenti della vela erano due. Australia II che vince la Coppa America nel 1983, ma ero molto piccolo, e la partenza della regata da Sydney a Hobart (630 miglia), il giorno dopo Natale. Parteciparvi era qualcosa che avevo sempre sognato, fin da bambino. La prima volta è stato nel 1998, quando Syd Fischer mi ha dato l’opportunità di timonare il suo Ragamuffin. Quella volta fu una regata molto dura, con una grande tempesta. Ho poi partecipato ad altre edizioni e l’ho poi vinta due volte al timone di Comanche. In una delle due regate in cui siamo arrivati primi, il tempo era stato così perfetto e l’equipaggio aveva fatto un così buon lavoro che siamo stati in grado di stabilire il primato come barca più veloce. E’ il record della Sydney-Hobart 2017 che è ancora in piedi (1 giorno, 9h 15’ 24”)


* Jimmy ha 16 anni quando si convince che il destino è dalla sua parte. Lavora a Scotland Island a scavare le fondamenta di una casa. Lui piccona la terra argillosa mentre l’amico Mick, con un polso ingessato, butta la terra sulla carriola. Unico rumore intorno l’incredibile ‘risata’ dei kookaburra. Poi l’urlo di Mick. Jimmy alza la testa e vede sul gesso bianco, pronto ad attaccare, un nero ragno dei cunicoli, uno dei più letali in Australia. Vorrebbe dirgli di non muoversi ma le parole non gli escono, è come paralizzato: come i ragazzi della zona sa che con quei ragni non c’è scampo. Ma ecco che un uccello piomba dall’alto e un becco afferra il ragno. E’ un kookaburra che, recuperato lo spuntino, ritorna ad appollaiarsi su un eucalipto e riprende il suo canto allegro.

** Jimmy è sposato con Jennifer, biologa marina di San Diego. Hanno due ragazzi: Owen di 17 anni, che studia musica e passa 6 ore al giorno a suonare la sua adorata viola, e Joe di 14, che è portato per lo sport ed è bravo in tutti.

 

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