Poppe Aperte, un’evoluzione lunga (quasi) quarant’anni

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Un Baltic 50, progetto di Bill Tripp del 1997 e precursore di un trend destinato a durare oltre vent’anni

Poppe aperte, o, all’anglofona, “open transom”. Semplicemente, quello che potremmo definire come il “trend” degli ultimi vent’anni, se non più. Specchi poppieri aperti sull’acqua, a C ribaltata, con il pozzetto piano che corre dal tambuccio al mare e, perché no, recentemente forte anche di una plancetta a incasso, trasformabile in beach area e accesso al tender garage. Ma quando nasce, o meglio, come si arriva, a questo fenomeno? Per capire questo trend, che sembra permeare oltre l’80% della cantieristica recente, in realtà, è necessario fare un salto indietro nel tempo, ancora una volta, tornando al mondo delle Classic Boat. Perché, sì, le poppe aperte sono null’altro che il frutto di evoluzioni esplorate nel corso degli ultimi 40 anni, rese popolari e diventate moda più che mai, negli ultimi 20 anni (non sembra, ma è così). Che le si ami o che le si detesti, c’è poco da fare, sono una realtà e tanto vale comprenderne le ragioni e le evoluzioni retrostanti.

Poppe aperte, la storia pluridecennale dell’open transom

Un primo indice, banale e forse superficiale, emerge dal colpo d’occhio. I bagli poppieri di oggi sono molto ampi, spesso quasi corrispondenti al baglio massimo, e i pozzetti sono conseguentemente enormi. I bordi liberi, per offrire interni comodi e ariosi, sono a loro volta alti, offrendo così volumi capienti anche sotto il pozzetto stesso, e non esclusivamente ai lati di questo, come poteva essere per i classici gavoni a panchetta del passato. Condizioni che, semplicemente, permettono ai nuovi pozzetti di essere particolarmente spaziosi, evitando quelle aree d’incasso particolarmente strette del passato (pensiamo ai classici pozzetti anni ‘70 e ‘80). È così quasi logica l’offerta di un layout di calpestio capace di sfruttare tutta la superficie, protetto a murata da prolungamenti di coperta relativamente sottili e spalancato sulla poppa. E i vantaggi sono evidenti: spazi maggiori, movimento più libero e più facile accesso all’acqua. Ma queste sono ragioni “mondane”, e le condizioni e i motivi che hanno portato a questo sono, in realtà, il vero fattore interessante. Ma, appunto, per arrivarci, serve fare un breve salto negli anni ‘70, per trovare, per assurdo, le stesse ragioni che vedono mutare il pozzetto degli IMOCA di oggi.

First Class 8, un esempio precursore, per il mondo della regata, del 1982

I bagli massimi prima delle poppe aperte

Il punto di partenza, come spesso accade, si trova negli anni ‘80, il boom della vela, delle regate e delle soluzioni estreme. Ci sono, come per tutto, soluzioni certamente antesignane, come l’Alpa Esse (immagine sotto), deriva progettata nel 1956 da Vittorio Lombardi e a poppa completamente aperta, ma queste non sono il canone, e vengono quindi meno, sebbene, parzialmente, siano vere antesignane delle ragioni che portarono al cambiamento. Ma, in termini proporzionali, sono gli anni ‘80 a dare il La a questo trend.

L’Alpa Esse, un caso antesignano, con poppa aperta già nel 1956. Chiaramente, essendo una deriva, il raffronto risulta ben diverso

Con la fine degli anni ‘70, infatti, cambia la filosofia progettuale che detta le tendenze degli scafi da regata, comportando ripercussioni sulla produzione di serie conseguente. I bagli massimi, aumentati durante il decennio che va concludendosi, iniziano ad arretrare e, con loro, si riducono gli slanci e cambia il design delle poppe. Già con la One Ton cup del 1977 ne abbiamo un anticipo, con Smackwater Jack che introduce un enorme specchio poppiero invertito e particolarmente ampio. Riflesso, meno in estremo, anche in scafi di serie come il Polaris 33 di Holland (1977) e l’Oyster 37 di Holman & Pie del ’78. Un salto non indifferente se pensiamo a poppe di simile impostazione ma ridottissime come quella dello Ziggurat del 1976. Gli anni ‘80 porteranno questa tendenza all’estremo.

Smackwater Jack, 1977 (la tuga era stata modificata all’ultimo per risultare conforme alla stazza One Ton)

Più si avanza con il decennio, infatti, più arretrano i bagli, aumentando i volumi poppieri e, contemporaneamente, osserviamo  opere vive più “piatte”, scafi, fondamentalmente, più plananti. Questa è la grande chiave. Aumentando il baglio poppiero, aumenta la superficie della poppa e ne aumentano i volumi e, conseguentemente, la riserva di galleggiamento. Un grande contributo, come sempre, viene dal mondo delle regate, dove le coperte flush ormai spopolano e le poppe sembrano sempre più dei grandi “scivoli” verso l’acqua. Ma non sono tanto queste ampie poppe a portare al cambiamento, quanto sono le evoluzioni di coperta e i pozzetti stessi.

La poppa enorme e a scivolo del Baltic 42 progettato da Peterson, 1981

Questione di pesi

Le Whitbread Round the World Race degli anni ‘80 sono un importante esempio per quanto riguarda, appunto, i cambiamenti accennati sopra. La grande novità (materiali e tecnologie escluse) in comune tra gli scafi più innovativi a metà decennio (WRWR 85-86) è riducibile, sinteticamente, all’adozione incrementale di bagli arretrati e coperte flush, ovvero totalmente piane, sgombre di nulla che non sia hardware, da prua a poppa, eccezion fatta per il pozzetto, ancora incassato.

Drum, il Maxi famoso per la sua disavventura (leggi scuffia) al Fastnet dell’85 e per la successiva partecipazione alla Whitbread dello stesso anno con a bordo il cantante dei Duran Duran Simon Le Bon.

L’edizione del 1989 esemplifica ancora meglio il punto a cui si vuole arrivare: Fortuna (1989), Fazisi (1989), Gatorade (1989), Charles Jourdan (1989), per citarne alcune, evidenziano coperte ancora più flush e pozzetti che, o si limitano al centro barca –con la sezione poppiera in discesa verso lo specchio, o comprendono l’intero volume centrale dello scafo –dal centro barca allo poppa, sempre più ampio, più estremo. L’obiettivo è semplice: massimizzare la libertà di movimento e trattenere meno acqua possibile a bordo, traducibile, semplicemente, in peso. In questo senso, abbiamo il primo grande accenno di cambiamento in Martela O.F (1989) e Rothmans (1989). Ambedue, infatti, hanno il pozzetto che corre fino allo specchio di poppa, non ancora completamente aperto, ma sezionato per favorire lo scarico dell’acqua.

Rothmans, il Maxi partecipante alla Whitbread 1989-1990

Ecco come si arriva verso all’adozione della soluzione “aperta”. I bagli sempre più arretrati e la scomparsa delle tughe alte, a vantaggio di coperte sempre più flush e scafi sempre più plananti implicano maggiori quantitativi di acqua a bordo e pozzetti meno “asciutti”. Basti pensare ai video delle recenti Ocean Race e alle onde che ne scavalcano le coperte.  Proprio come per gli Imoca di oggi, con il pozzetto coperto quasi fino all’estrema poppa, l’obiettivo era infatti uno: ridurre i pesi di bordo e, agli estremi della competizione, il maggior peso a bordo è proprio dato dall’acqua. Così, inizialmente, si crea la necessità di “sfondare” le poppe.

L’Imoca foiler Apivia di Charlie Dalin

Verso la poppa aperta nella grande serie

Come per i grandi estremi della Whitbread, il concetto vale anche per “standard” più umani, sebbene sempre tirati. Anzi, forse qui, in realtà, compare prima ancora. Basti guardare a un cult di Vallicelli, Brava 30.5 (immagine sotto). Siamo nel 1983 e lo specchio di poppa è aperto. I bagli non sono ancora così arretrati, ma il criterio è lo stesso. E lo stesso sarà per Springbrook, nel 1986, per citare due esempi nostrani. Altrettanto vale per la grande serie. Già nel 1982, infatti, Fauroux e Finot sperimentavano il concetto in piccolo, con il loro First Class 8 per Beneteau, ma il concetto è ancora limitato alla praticità concreta e ben lungi dal suo risvolto odierno. Vale, infatti, per gli scafi da regata.

Brava 30.5; 1983

La grande distinzione inizia a essere ora nella praticità del complesso. Fino a ora le applicazioni sono destinate agli scafi da regata. I grandi cruiser ancora offrono volumi chiusi e protetti, e la ragione è semplice. I bagli non sono ancora quelli odierni, non sono ancora così arretrati e i bordi liberi sono ancora relativamente bassi. A prescindere dal tipo di coperta o tuga, semplicemente, non ci sono né il bisogno, né lo spazio. Non si presenta la necessità. Non fino agli anni ‘90. Qui, la rivoluzione.

il Grand Soleil 45 del Cantiere del Pardo. Siamo nel 1988 e, da buon cruiser, ancora presenta un pozzetto tradizionale

Con l’ultimo decennio del secolo gli scafi sono sempre più plananti, l’IMS cambia le regole del gioco ed esplodono le poppe aperte nel mondo della regata, in monotipia come in classi aperte. Basti guardare il Farr 40, il Farr 30 o il Tè Salt di Felci. Pozzetti enormi e continui, poppe più larghe e “Open Transom”. Gli scafi sono quasi dei derivoni, se vogliamo passare il paragone. Inevitabilmente, i performance cruiser seguiranno a ruota.

Classic Boat
Farr 40, il missile del 1997

Poppe aperte: dalla necessità al comfort

A trionfare forse su tutti, aprendoci davvero al trend che sarà, è così il binomio Baltic Yachts/Bill Tripp, che nel 1997 sforna un performance-cruiser di serie e tutt’oggi moderno e attuale. Si tratta del Baltic 50. Il baglio massimo è arretratissimo, non quasi a poppa, ma siamo lì… la coperta è flush, con un accenno di tuga a incudine a vantaggio degli interni, e il pozzetto, il pozzetto è quasi contemporaneo: enorme, a terrazza e completamente aperto. È la svolta progettuale: le poppe aperte, complici i nuovi bagli e i volumi complessivamente arretrati, non sono più legate ai soli bisogni della regata, non sono più utili solo ai fini pratici della competizione.

Il Baltic 50, scafo a dir poco antesignano

Le poppe aperte diventano così, a fine anni ’90, un elemento destinato a crescere e, con il continuo arretrare dei bagli, a trasformarsi in quello che sono oggi: un patio sul mare, un enorme spazio conviviale che, non solo scarica quella poca acqua che un cruiser –per gli utilizzi che ne vengono fatti– può imbarcare, ma che trasforma l’intero volume a poppavia del tambuccio in una terrazza versatile, ideale per il relax e il comfort in rada. Certamente, una soluzione non necessariamente apprezzabile, e non necessariamente priva dei suoi difetti o delle sue critiche, ma questo esula dal discorso.

Il nuovo Solaris 50, uno splendido esempio contemporaneo di poppa aperta ad ampio baglio, grande pozzetto e coperta flush

Tre “chicche” sulle Classic Boats


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3 commenti su “Poppe Aperte, un’evoluzione lunga (quasi) quarant’anni”

  1. Luca de guidi

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    A mio avviso le poppe aperte sono ottime per le barche da regata. Mentre per le barche tra crociera mi sembrano più ragionevoli quelle degli anni 90 Tipo sun odissey 44.

    La poppa apribile di oggi è un buon compromesso.

  2. Gino

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    Poppa aperta buona per cadere in acqua…

  3. Bruno amato

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    Un mio amico e’ caduto in acqua da un 100 piedi diretto in corsica perche’ la chiusura della draglia che chiudeva l enorme poppa si e’ aperta. E rimasto 4 ore in mare. Per fortuna il bravo skipper ha ripercorso la rotta inversa e miracolo lo ha recuperato. POPPE APERTE NON SICURE.Comunque secondo me la prima barca aperta costruita in grande serie e’ il sun odyssey 51 del 1988 proggettato da FARR. Dieci anni prima del baltic 50.

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