“La mia prima Middle Sea Race è stata indimenticabile e vi racconto perché”
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Cosa vuol dire partecipare per la prima volta alla Rolex Middle Sea Race (la regata di 606 miglia partendo da Malta e circumnavigando la Sicilia risalendo la costa est dell’isola, passando lo Stretto, per poi andare a doppiare Stromboli, Favignana, Pantelleria e Lampedusa e fare ritorno a Malta)? E cosa vuol dire farlo in un’edizione epica e memorabile, con venti fino a 60 nodi, decine e decine di ritiri, disalberamenti?
Ce lo spiega, con il solito stile semiserio che lo contraddistingue, il nostro filosofo/velista Marco Cohen*, fresco di ritorno da Malta dove con il suo Mat 12 Dajenu ha chiuso in una onorabilissima quarta posizione di categoria IRC e ORC. Leggete il suo bel racconto e siamo certi che alla fine vi verrà voglia di iscrivervi, con la vostra barca, alla Middle Sea 2025!
La mia prima Rolex Middle Sea Race
Ore 10, in un’improbabile piscina dell’hinterland milanese, in una mattinata fredda di metà ottobre a Milano, mi ritrovo completamente vestito da barca con tanto di stivali e cerata pronto a buttarmi in acqua per provare a risalire, vestito, in una zattera di salvataggio. In effetti, mi ero sempre chiesto cosa ci fosse in quella pesantissima scatola che ogni due anni devi spostare, smadonnando, per andare a fare la costosa revisione.
No, non sono impazzito! Il corso di sopravvivenza è uno dei requisiti per andare a fare la mitica Rolex Middle Sea Race, a fine ottobre, a Malta. Regata con un protocollo di sicurezza mostruoso con tanto di visita a bordo, barca alata per controllare le appendici e praticamente quasi tutte le dotazioni sostituite e migliorate. Poi, scoprirò sulla mia pelle che tutta questa attenzione e questa cultura della sicurezza erano assolutamente giustificate.
“Ho deciso. Faccio la Middle Sea!”
Ma andiamo con calma: un anno fa, un po’ depresso per l’ufficiale entrata nel mondo degli anziani, mi accorgo che qualche giorno dopo il mio compleanno parte la Middle Sea Race. Ovviamente è troppo tardi per partecipare, ma mi decido a vedere, al calduccio sotto il piumone, la diretta della partenza dalla spettacolare fortezza nella baia della Valletta. Rimango folgorato, e al grido di “si vive una volta sola”, decido che l’anno successivo sarei stato alla linea di partenza.
Passo l’inverno sognando e inizio a pensare alla composizione dell’equipaggio e mi riguardo sul sito della Rolex il best of video delle regate degli ultimi anni e mi accorgo che è una regata schizofrenica: alterna momenti da cartolina, a calme piatte senza fine, a tempeste in stile stretto di Bass. Ovviamente, mi convinco che quest’anno sarà un’edizione tranquilla, adatta a gente come me il cui il fisico ha ceduto quando alla Presidenza della Repubblica Italiana c’era ancora Oscar Luigi Scalfaro.
Arriviamo a Malta e infatti la temperatura e il clima sono estivi e impeccabili come nei miei sogni più dolci.
Il giorno dopo ci aspetta subito la prima Coastal Race per prendere confidenza col posto e con la barca, risistemata da capo a piedi secondo standard di sicurezza e efficienza che mi sono assolutamente sconosciuti.
Clima idilliaco, condizioni da Tigullio con vento leggero e infatti chiudiamo con un onorevolissimo terzo posto di classe, con tanto di festa crew party e premiazione che inondiamo con bottiglie di rosé ghiacciato, vista la temperatura.
Sistemo la coppa veramente insperata nel bagaglio e il giorno dopo pausa e giro di Malta. Un pensiero e una raccomandazione se venite in barca o in aereo per vacanza: Malta è brutta e non ci vivrei, è costruita in modo assurdo con una speculazione edilizia che manco Ciancimino a Palermo. Una cosa mai vista.
Consigli turistico-gastronomici
Ma ci sono due ma, piuttosto rilevanti:
- La parte della città vecchia città, chiamata Birgu, è incantevole con chiese e edifici finanziate nel medioevo dai Cavalieri di Malta e adesso completamente restaurate. Per chi va in barca, la marina Camper & Nicholson è curatissima e impeccabile. Sosta consigliata e molto efficiente.
- E, per quanto riguarda il mare, è stupenda la laguna blu tra Gozo e Comino, anche se troppo affollata. Ma basta girare l’angolo, si fa per dire, e troverete una baia deserta che si chiama santa Marija.
Ovviamente mi sono sacrificato e ho anche provato un po’ di ristoranti. Su tutti vince Fra Divino. Semplice, non pretenzioso, proprio di fianco alla marina. E gelato da Sottozero.
La cambusa di bordo
E a proposito di ristoranti, Barry, il nostro uomo all’Havana, anzi a Malta, che oltre all’ossessione della sicurezza, ha anche quella della leggerezza e del controllo dell’alimentazione dell’equipaggio, ci accoglie dicendo che non c’è bisogno di fare la spesa, perché due mesi prima ci aveva mandato un questionario sull’alimentazione per la regata e, siccome nessuno lo aveva filato, ormai aveva organizzato tutto lui.
Con Ciccio Manzoli, grande cuoco, oltre che navigatore, proviamo inutilmente a nascondere del vino e dei pacchi di pasta Rummo, con passata Mutti e tonno nelle dotazioni di sicurezza. Con tristezza e amarezza, invece ci vengono sequestrate dall’inflessibile Barry: il tutto proprio come la celebre scena del sequestro della radiolina per sentire la partita durante la Corazzata Potemkin ne “Il Secondo Tragico Fantozzi”.
Ci sarà quindi imposto un regime fatto di buste in stile astronauti, già preparate e senza scadenza, che sembrano un mix tra un ristorante indiano dell’East London e il grand hotel a Montecarlo nei film dei Vanzina: praticamente si scaldano in meno di 10 min in un dito d’acqua, mangi tutto nella busta e quindi alla fine non sporchi e non tiri fuori piatti, che in una regata di 5 gg con 8/10 persone sono 100 pasti e svariate ore risparmiate nella preparazione.
Alla fine ci adeguiamo con dignità, anche se vi assicuro che testare un pollo tandoori al passaggio a Favignana in cena notturna, con groppo e onda, o la beef stroganoff a Lampedusa, è veramente un’esperienza dissociante e psichedelica.
Il grande Ciccio Manzoli, entusiasta dell’anatra o meglio della parmentier de canard, mi sensibilizza invece per lanciare una class action tra i velisti liguri, per far togliere il nome pasta al pesto sulla busta versione cucina italiana che era stata inserita nel nostro menu (vedere foto sotto).
Si parte!
Torniamo alla regata: finalmente partiamo! Grande spettacolo, un po’ alla maniera della Sydney Hobart, con gente assiepata sulle mura della fortezza, prima dell’uscita della baia, a tifare le barche locali.
Per darmi un tono, mi tengo in mano un ipad, che avevo imboscato per vedere le partite (e che con la scusa del Navionics non mi era stato sequestrato) un po’ tipo tattico dei Tp52, che se non hai un tablet per controllare navigazione strumenti e altre barche sei uno sfigato.
Essendo conscio dei miei limiti infatti sto al timone solo con venti sotto i 12 nodi e con le altre barche lontane.
Nelle prime ore della regata troviamo ancora condizioni alla mia portata e subiamo uno spettacolare sorpasso di Scallywag che ci sfiora andando a 20 nodi sotto Code Zero: emozione pazzesca vederla in navigazione così da vicino. Qua stiamo parlando del 100 piedi che poi ha tagliato per prima il traguardo in tempo reale.
In difesa del “tutti contro tutti”
A proposito, pur rispettandolo e trovando meravigliose le sue barche, non sono assolutamente d’accordo nella proposta di Luca Bassani di separare le barche professionistiche da quelle amatoriali, perché solo così si può ottenere un sistema di rating equo e confrontabile .
Il mio parere personale è che questo ha assolutamente senso per le le competizioni costiere o i bastoni inshore (peraltro è già così, basta vedere il mondiale organizzato dalle classe Maxi, le varie Swan Cup o le gare dei Tp52 che infatti si corrono in reale e non in compensato), ma toglierebbe ogni fascino alle mitiche competizioni offshore dove, ed è il senso profondo di queste regate, anche Davide può battere Golia. E in più c’è una grossa differenza: la Ferrari corre su una pista chiusa. Le regate si fanno in mare che è di tutti.
Gli uomini fanno i progetti e gli dei sorridono
E’ la vela bellezza, direbbe qualcuno, gli uomini fanno i progetti e gli dei sorridono, come recita l’inizio di uno dei miei film preferiti di Gabriele Salvatores (Amnèsia, ndr), regista premio Oscar interista e velista. E infatti, il cielo inizia a diventare cupo di colpo, come nel peggiore dei miei incubi.
Iniziano a formarsi, incastrate tra le barche della flotta a cinque/sei ore dalla partenza, quattro trombe d’aria, in contemporanea, quasi a delineare il campo di regata dove si concentrano la maggior parte delle vele. Faccio un po’ di foto e poi con la scusa del cambio turno, da vero coniglio, mi fiondo in cuccetta sapendo che quelli fuori sono molto più bravi di me.
In due minuti raffiche che raggiungono i 60 nodi sdraiano la barca e sbriciolano le vele nostre e dei vicini.
Dajenu, il mio Mat 12 (grande Mark Mills che le progetta e il cantiere Mat che le fa così bene) si piega, ma subito dopo non fa una piega e si rimette dritta. Per fortuna con un equipaggio così preparato, e vedendolo così sereno, sento che posso riuscire e sbuco dalla cuccetta per capire come ripartire.
La barca sembra intatta e quindi decidiamo di proseguire. Peraltro, seguendo i consigli del nostro velaio Roberto Westermann “non fate gli stronzi, portatevi una seconda randa che in una regata così non si sa mai”… sostituiamo la randa e proseguiamo la nostra navigazione.
Ps: Nota per il lettore. Quando dico tiriamo, facciamo… trattasi ovviamente di plurale maiestatis.
Dopo la tempesta, la bonaccia con corrente
Come pena da dantesco contrappasso a questa sventolata micidiale, si alterna una clamorosa sosta forzata nello stretto di Messina di sei ore, per corrente contraria.
Siamo stati i primi a non passare, perché ci abbiamo transitato quando è andato via il vento e si è invertita la corrente. Perdiamo sei posizioni di classe, da terzi a noni. Sto per bestemmiare, poi pero mi ricordo che:
- la calma piatta nello Stretto mi ha consentito di vedermi con pieno segnale (visto che le rive sono veramente vicine) Roma – Inter: 0-1, per la cronaca.
- siamo sopravvissuti a una botta di vento mostruosa. Iniziamo a sentir arrivare le prime notizie dei ritiri (alla fine 34) e dei due disalberamenti (di quello dello Scuderia 65 Hagar V ve ne abbiamo parlato qui).
La timonata più bella della mia vita
Proseguiamo nello scenario idilliaco della parte più bella della regata, strambiamo a Stromboli e iniziamo una surfata di 3 ore sotto gennaker e vulcano alle spalle. Teniamo una media di 10 nodi per tre ore con punte di 14 e sorrisi stampati in faccia. La timonata più bella della mia infame carriera velica. Una meraviglia.
Sembra tutto tranquillo. Ritorna il caldo e “cippa” importante fino al passaggio a Capo San Vito e dintorni (in cui penso di essere quasi alle fine ma poi mi accorgo che siamo solo a metà percorso).
La regata prosegue con un altro groppo/temporale, per fortuna questa volta senza trombe d’aria, ma con la benedizione di vedersi il gol di Thuram di Young Boys – Inter nel passaggio a Favignana, condito da pollo indiano in busta, ovviamente fingendo di vedere gli aggiornamenti di Yellow Brick e il Navionics. Riprendiamo la cavalcata in rimonta guadagnando posizioni. Inizio a essere veramente emozionato pensando che forse c’è la sto facendo, a finire questa regata pazzesca.
Ce l’abbiamo fatta!
Entrata nella baia trionfale sotto gennaker e finiamo con un terzo posto di classe in IRC (poi quarti per un abbuono dato a una barca che si era fermata per prestare soccorso) e un quarto in classe ORC su 24 barche. Appena tagliato il traguardo cala un po’ di commozione per i messaggi dei famigliari e amici e del mitico Tigre marinaio e ex sindaco di Portofino che mi scrive “tuo papà sarebbe fiero di te”. La sua locuzione preferita nei suoi confronti era “non è una zappa” , riferendosi ai modi rudi in cui mio padre e noi discendenti trattavamo il timone della barca.
D’altra parte ho sempre ammesso che mi trovo più a mio agio con la carta dei vini, che con quella dei venti.
Ci abbracciamo con tutto l’equipaggio; provo nei loro confronti e della barca una sensazione di profonda gratitudine per avermi portato fino in fondo: in 5 giorni di questa avventura si crea un legame umano che nella vita a terra ci vorrebbero degli anni.
Alla fine, poi, mi rimane una strana sensazione di questa regata. Ovviamente parlo di questa edizione, ma quasi tutti veterani mi hanno assicurato che questa è la norma, non l’eccezione. Essendo una regata circolare che parte e torna nello stesso posto girando la Sicilia in senso antiorario, non ha quasi mai uno sviluppo lineare ma si incontrano sempre un mix di condizioni contrastanti.
La Rolex Middle Sea Race è una regata Frankenstein
Immaginando una sorta di mostro di Frankenstein fatto da pezzi di altre regate:
- la partenza un po’ alla Sydney Hobart per la baia, la partecipazione della gente e dei 100 piedi australiani.
- lo slalom tra le isole e i vulcani un po’ alla maniera della grande 151 Miglia di Roberto Lacorte. Qua ne ho contate 9, Sicilia compresa.
- il tocco Rolex e il crew party alla maniera della Giraglia. Anche le polo sono uguali.
- in questo caso la pioggia e il vento arrabbiato del Fastnet, oltre alla corrente presa nello Stretto di Messina e mai provata in vita mia, ma tipica di quei mari.
- e permettetemi, anche un po’ di commozione, alla per me leggendaria Coppa dei Nesci del Tigullio, in cui si veleggia rigorosamente col caldo, venti leggeri e bicchierino di vino in mano. L’unica vera differenza è che questa volta il vino mi è stato sequestrato.
Cinque motivi per partecipare alla Middle Sea
Concludo con la più classica delle classifiche: cinque ragioni per fare la Middle Sea Race più una raccomandazione alla fine.
- Iniziamo dalle cose facili. A Malta a fine ottobre è praticamente estate ed è come fare una regata a luglio nelle zone nostre.
- Non si può vivere e sopravvivere con classe e eleganza se non hai dei sogni. Ma poi bisogna anche cercare di realizzarli e come disse qualcuno… sogna le cose più difficili perché poi saranno quelle a darti più felicità.
- Ho scoperto che una regata così lunga non è solo il triplo di una regata offshore normale, ma molto di più. I tempi sono dilatati e il fisico (o meglio, quello che di esso è rimasto) si adatta ai ritmi della barca e della natura.
- Per rendere la tua barca un posto più sicuro. E qui mi faccio un autocritica grossa come una casa per aver affrontato a volte il mare con poca attenzione verso questi aspetti che possono sembrare burocratici e delle scocciature. Però poi, quando ti capita di stare in mare con condizioni come quelle che abbiamo trovato, ringrazi ogni euro speso per la sicurezza dell’equipaggio.
- Ciccio Manzoli mi ha detto, in un turno notturno, “sai perché fanno la Ostar (la traversata oceanica in solitario, fredda, da veri lupi di mare) solo ogni 4 anni? Perché uno solo dopo che è passato un po’ di tempo, si ricorda solo i lati positivi e si dimentica gli altri. Altrimenti l’anno dopo col…. che la farebbe di nuovo”. E non avete idea di quante volte fradicii nella cuccetta, svegliati alle tre di notte mentre dormivamo accucciati con i nostri compagni di turno, umidi e con tutte le cerate addosso ci siamo chiesti ridendo come dei matti… ma chi cazzo ce l’ha fatto fare! Ma poi, quando sarai tornato a casa, comodo nel tuo lettone, tutto questo ti mancherà e vorrai iniziare da capo.
Alla fine approfitto di questo spazio per lanciare un appello / invocazione a Kurt Arrigo, fotografo ufficiale della manifestazione le cui foto delle barche nella baia o con dietro i vulcani mi hanno sempre fatto sognare… Ma non hai una foto di Dajenu da mettermi in ufficio per ricordarmi di questa meravigliosa avventura?
L’equipaggio
Chiudo con la presentazione dell’equipaggio di Dajenu. Ovviamente per una regata così e sapendo di essere cane e coniglio, ho rinforzato l’equipaggio storico con tre professionisti, di cui due anglosassoni e l’altro già conosciuto, ma come frequentatore di barbecue, nei peggiori giardini di Chiavari.
Nick Jones. L’ho trovato con la barca quando sono andata a prenderla in Inghilterra: un mix tra Super Mario Bros – perché gira sempre con la sua scatola degli attrezzi aggiustando ogni cosa che gli capita sotto mano – e un educatore per bambini candido e sempre sorridente. Essendo bravo coi bambini, mi tratta sempre in modo perfetto.
Barry Hurley. Diciannove, dicesi 19 Middle Sea Race alle spalle. Ostar in solitario. Sergente di ferro, ma mano da timoniere morbida come il velluto. Ha cercato di mettere ordine al nostro approccio un po’ anarchico e da aperitivo.
Ciccio Manzoli. Un mito, primo nella Ostar del 2005, uno strano connubio tra uno chef nostrano, la classe da timoniere alla Pelaschier e il grande puffo visto le sue proporzioni non proprio da cestista e la sua saggezza.
Gli amici storici in rigoroso ordine alfabetico:
Nicola Pesaresi. Tailer arrivato direttamente dalla comunità europea a Bruxelles, perfettamente a suo agio nel mediare le differenti culture dell’equipaggio. Una certezza i sui Speculoos, biscotti da caffè alla cannella, una delle poche cose buone che il Belgio produce.
Raul Rossi. Prodiere. Il nostro capro espiatorio preferito . Un po’ come Darmian nell’Inter, pero’ alla fine gioca sempre lui. Fedele e insostituibile.
Leonardo Servi. Navigatore. Da armatore e amico (suo Scricca, una delle barche più vincenti degli ultimi anni) svolge un ruolo di consulente psicologico e motivazionale nei confronti del sottoscritto che si può riassumere nella frase che mi rivolge in continuazione “non puoi tenere una barca così di merda…”. In questa regata, è stato anche mio compagno di cuccetta sopravento. Anche se ho ripreso (sto scrivendo da casa a Milano) a dormire con mia moglie, già un po’ mi manca.
Marco Viganò. Compagno di merende. A lui devo la trasformazione da velista da Tigullio a frequentatore di regata offshore internazionali dalla Giraglia alla Copa del Rey. Uno dei fortunati che è riuscito a fare della vela il suo lavoro con Forsailing.
E…. metto anche un assente (perché il vigliacco è andato a fare il mondiale Swan a Palma) Stefano Westermann, mio figlioccio adottivo che non smette mai di cercare di rendermi un velista migliore.
Marco Cohen
*Chi è Marco Cohen
L’autore di questo articolo è il produttore cinematografico e velista Marco Cohen, qui ritratto al timone di una barca piccola (in quel caso un Cape 31, progetto del suo designer “feticcio” Mark Mills).
Armatore di un MAT 12 (progetto, appunto, di Mills) gira il Mediterraneo per regate (perdendole quasi tutte ma divertendosi un sacco). Acuto umorista e filosofo della vela (“Ho riabbracciato la vela a 37 anni dopo l’ennesimo infortunio a calcio, quando ho realizzato che è l’unico sport che si può fare da seduti e con un bicchiere in mano”), i suoi articoli hanno sempre un grande successo. Qui sotto potete leggere alcune sue “perle”:
- Come rallentare una barca da regata. 10 segreti per non vincere
- Fenomenologia (semiseria) del Campionato Invernale
- La sindrome dell’armatore ovvero come essere felici nonostante la barca
- Come partecipare alle regate d’altura sapendo di perdere
- Guida per sognare la Sydney Hobart
- La sindrome del cambio barca
- Barca piccola contro barca grande
- Bella la Giraglia, con i Maxi sarebbe stata ancora meglio
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2 commenti su ““La mia prima Middle Sea Race è stata indimenticabile e vi racconto perché””
The Real Person!
Peccato non aver pubblicato qualche foto in più
The Real Person!
Bellissimo lo stile narrativo. Ho fatto cinque Middle Sea Race, ormai tanti anni fa. Il tuo racconto mi ha fatto rivivere quelle sensazioni, come essere lì.
Grazie