Caterina Banti, la vela, le donne e la (finta) parità di genere
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Dopo la conquista del suo secondo oro olimpico a Parigi Caterina Banti a 37 anni ha deciso di ritirarsi dalla carriera agonistica. Una decisione ragionata e consapevole.
Con i festeggiamenti di Team New Zealand che ha vinto l’America’s Cup per la terza volta consecutiva si chiude un’estate velica tra le più intense ed elettrizzanti degli ultimi anni. Dapprima le regate olimpiche dei Giochi di Parigi che hanno portato all’Italia due splendide medaglie d’oro (Nacra 17 misto e Windsurf femminile). E poi gli avvincenti match race di Barcellona (Spagna) che sempre per noi italiani sono stati un saliscendi al cardiopalma di emozioni. La cocente sconfitta di Luna Rossa da parte degli inglesi nella Louis Vuitton Cup dopo un inizio spettacolare e promettente come non mai, ma anche le due splendide vittorie a sorpresa del team Under 25 e di quello femminile.
Questo è lo sport, si vince e si perde. Ma al di là dei podi e delle classifiche, ci sono loro i velisti, esseri umani di certo privilegiati e spesso invidiati che vivono delle loro passioni, ma che al tempo stesso lavorano duro, si sacrificano, mettono al centro sé stessi e rinunciano a tutto il resto. Fino a quando smettono, gradualmente oppure di colpo e magari all’apice della carriera, come ha fatto di recente Caterina Banti che dopo il suo secondo oro olimpico, a 37 anni, ha detto “stop”. Una decisione la sua che ha fatto un certo clamore nella comunità velica. Soprattutto perché accompagnata da parole sincere, intelligenti e piuttosto dure verso l’ambiente professionistico.
Una donna formata che ragiona con la sua testa
Personaggio interessante, la Banti, per niente comune, non solo per il suo incredibile talento sportivo e determinazione, ma anche per il suo approccio alla vita e alla consapevolezza di una abituata a riflettere oltre che a lottare. Intanto è una donna che alla vela è arrivata piuttosto tardi, a 23 anni. Prima ha studiato. Dopo la maturità classica si è laureata a Roma in Storia e civiltà dell’Oriente e del Mediterraneo e poi all’Università Orientale di Napoli, dove oltre all’arabo e al turco moderno si è appassionata alla storia dell’Impero Ottomano.
- Ecco la nostra intervista a Caterina Banti (a partire da minuto 3:45)
Parla quattro lingue, ha viaggiato in Africa con suo padre Giorgio, di professione Glottologo, e ha vissuto per un anno a Tunisi. “Non sarei quella che sono – racconta Caterina – se non avessi studiato e imparato a ragionare con la mia testa”.
Il rapporto con il corpo: dal “body shaming” ai muscoli
Quando ha deciso di intraprendere la vela agonistica Caterina Banti ha scelto una classe olimpica nuova, tecnologica e molto fisica, come il Nacra 17. È diventata una prodiera eccezionale e insieme al timoniere Ruggero Tita ha formato un equipaggio davvero senza rivali a livello internazionale. Insieme e in pochi anni hanno vinto di tutto: europei, mondiali, ma soprattutto due ori olimpici di fila (Tokyo 2020 e Parigi 2024).
Risultati straordinari, conquistati con grande sacrificio e allenamenti estenuanti che hanno messo a dura prova la sua mente e soprattutto il fisico. “Da piccola ero cicciottella- racconta Caterina a Repubblica, in una bella intervista rilasciata a Emanuela Audisio – mi chiamavano ‘balenottera’ e ho sofferto di bulimia. Da prodiera ho dovuto prendere 10 chili in due anni, perché è un ruolo che richiede forza, esplosività, resistenza. Confrontarsi con il proprio corpo è la prima gara di un atleta. Accettare sé stessi, superare i propri limiti, sono tutti passi importanti. Dallo sport ho ricevuto molto, ma gli ho anche dato tutto: ginocchia, schiena, mani, polsi, caviglie. Non mi sono risparmiata infortuni e sono ormai abbonata a cervicale e pubalgia”.
Ma quale parità di genere! La vela è ancora dei maschi
Proprio sull’essere una velista donna e su uno sport ancora dominato da una forte mentalità maschilista si concentra la riflessione di Caterina Banti dopo il suo ritiro dalle scene. Lancia una vera bomba in questo senso sull’intero ambiente velico e le sue sono parole pesanti e senza sconti. La sua convinzione è che la vela nei confronti delle donne ha ancora dei forti pregiudizi retrogradi e ingiustificati. Le tanto strillate aperture da parte dei grandi eventi velici nei confronti delle donne sono in realtà delle operazioni di facciata.
Ma la Banti ce l’ha soprattutto con il concetto di “quote rosa”, a suo dire del tutto fuorviante. “Perché ancora oggi i team ufficiali di Coppa America sono solo maschili? E che senso hanno gli equipaggi o le regate esclusivamente femminili? – si chiede Caterina – Io credo nella forza degli equipaggi misti e nelle pari opportunità. Uomini e donne possono allenarsi e vincere insieme. Io e Ruggero lo abbiamo dimostrato. Invece a un certo punto le donne spariscono. Faccio un esempio: World Sailing ha annunciato i finalisti del Premio Velista dell’Anno, nella categoria maschile c’è il nome di Ruggero Tita, ne sono contenta, ma in quella femminile non c’è il mio. Ma Ruggero non gareggia da solo, i titoli li abbiamo vinti insieme”. L’assurdo tra l’altro è che Ruggero e Caterina sono nella short list dei finalisti come team. Lo stesso trattamento, a parti inverse, è stato riservato a Lisa Vucetti e Vittorio Bonifacio: Nel premio riservato agli young, anche lei è stata esclusa dai finalisti del premio, mentre lui è presente.
Bertelli? E’ un uomo d’altri tempi
E a proposito di America’s Cup Caterina Banti commenta la frase di Patrizio Bertelli, il patron di Luna Rossa, che di recente ha affermato di non volere i team misti nei match race per la conquista del trofeo. Banti ha detto a Repubblica: “Lui è un uomo d’altri tempi, quando le donne le donne a bordo mettevano paura, portavano sfiga, disturbo e disgrazie. Ma sono solo stereotipi. L’uomo è più diretto e pratico? Spesso sì. La donna forse sarà meno concreta, ma ha grande forza e resistenza mentale. Se non ci date l’opportunità di provare, come potete dire che siamo inadatte. Mettete alla prova i nostri meriti e poi scartateci. Ma dopo, non prima. Come possiamo diventare brave se non ci viene data un’occasione?”.
Secondo la Banti anche i media ragionano secondo stereotipi. “Ai Giochi di Tokyo – spiega – mi chiedevano sempre: ‘Come mai tu e Ruggero non siete fidanzati? Ecco, la relazione sessuale, solo quella sembrava interessare. Non la collaborazione vincente nonostante le diversità dei caratteri, non i ruoli interscambiabili, non i percorsi di vita, non le personalità”.
La vela agonistica è una palestra per la vita
Oggi Caterina Banti è pronta ad affrontare nuove sfide. Ad esempio, dedicarsi ai suoi affetti, il fidanzato con cui vuole un figlio, i genitori che invecchiano, e i suoi fratelli. Ma vuole anche continuare a studiare. “Mi sono iscritta alla Luiss, al Master in Public Affairs and External Relations, e al corso di Management Olimpico del Coni – racconta – E sono candidata di genere al Consiglio Nazionale della Federvela in rappresentanza degli atleti. Oggi anche grazie alla vela agonistica mi sento una persona forte, in grado di controllare emozioni e resistere a grandi pressioni.
David Ingiosi
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11 commenti su “Caterina Banti, la vela, le donne e la (finta) parità di genere”
Ma… L’equipaggio misto imposto da regolamento nei Nacra 17, non è la massima espressione delle quote di genere?
Ma non solo, quanto spazio é stato dedicato all’equipaggio femminile di America’s Cup?
Poco, pochissimo direi.
Volevo seguire questa parte, perché la direttrice sportiva del mio circolo velico, Giovanna Micol fa parte dell’equipaggio, ma mentre per l’equipaggio maschile ho trovato filmati, interviste, di tutto ad ogni ora, per il femminile ho dovuto cercare con pazienza. Banti ha ragione.
Non ovunque é così, per esempio a livello di ragazzi/e in barca, non vedo problemi, ma appena c’è odore di carriera, tutto cambia.
Credo che Tita avrebbe vinto 2 ori olimpici con qualsiasi altro prodiere tra quelli regatanti ad alto livello per esempio agli stessi giochi olimpici; dubito fortemente che Banti avrebbe vinto due ori con “qualsiasi” altro timoniere partecipante ai giochi.
Non è una questione di genere, è una questione di manico.
E tu saresti un velista ed un marinaio?!?
Non ho parole
Ma quanti anni hai novanta? 😂😂😂
Il punto sono i due percorsi per arrivare alle classi open e maxi. C’è chi si fa la trafila da piccoli sulle derive e classi olimpiche che, appunto, sono molto fisiche e poche ce la fanno. L’altro è quello delle scuole che non danno la formazione professionale ed i certificati di competenza che, poi, devi pagarti da solo e, si sa, le società che fanno recruitment offrono solo posizioni da hostess, un buon modo per tante ragazze di viaggiare e mantenersi agli studi che poi mollano. Certi ruoli dove conta la resistenza a fatica sono e saranno inevitabilmente maschili: i grinder, il pitman, il prodiere… Il professionismo non è per tutte.
Concordo con le lucide considerazioni di Caterina sul maschilismo ancora piuttosto pressante nel mondo della vela agonistica.
Anch’io, come lei ho cominciato tardi ( a 21 anni, ne ho quasi 68) ad andare in barca, acquistando un laser da un mio amico. Alla mia prima regata, una zonale a Monfalcone, c’erano 25-30 equipaggi di 470 di cui un solo femminile, lo stesso sul Laser (c’era solo lo standard), erano 2 su una trentina. Lo stesso valeva per i 420. In tutti questi anni le cose sono cambiate moltissimo. Già nei primi anni 80 c’erano alcune ragazze che regatavano sul Laser al livello dei primi 10 in Italia. Poi è apparsa la classe Europa, nella quale la presenza femminile era quasi paritetica. Adesso nel mio circolo il consiglio direttivo ha dovuto ampliare lo spogliatoio femminile a scapito di quello maschile perchè sia alla scuola vela che nelle squadre agonistiche ( da noi sono ILCA e 420) ci sono più ragazzi che ragazze, e questo mi pare un bel segnale. Tornando al passato, vorrei ricordare che le mie cugine Marina e Laura Tarabocchia negli anni 50 regatavano con il Becaccino ( ora Snipe) alla pari con i migliori equipaggi machili del tempo…
Posso confortare Caterina con questi miei pensieri, facendo notare che, se pur è vero quanto dice, ho visto cambiare molto la situazione nella mia lunga “carriera” velica, e questo penso che faccia ben sperare.
Già, in fondo cosa vuoi che siano quasi 70 anni per ritrovarsi poi una situazione come questa ? E si che la Banti ha dato lustro all’Italia, a tutti noi
Non ci sone se o ma la disparità di genere esiste e DEVE finire, non solo nella vela, non solo nello sport, bensì nella mentalità, nella vita altrimenti magari non giustificheremo ma saremo portati alla comprensione della violenza sulle donne e sui più deboli. E’ ora di dire basta e chi non l’accetta se ne faccia una ragione o vada a ……
errata corrige: intendevo piu ragazze che ragazzi nella scuola vela e nelle squadre agonidtiche
Grazie Caterina Banti, sei una Grande come sportiva, come donna. Con la tua intervista hai fai fatto un sunto preciso, lucido e reale per l’ambito della vela che condivido in pieno. La vela è stata la mia vita agonisticamente prima e come stile di vita ora. Non ho mai dimenticato che durante un Campionato Nazionale a Napoli, il presidente dell’epoca mi faceva notare che grazie al Campionato era un’eccezione la mia presenza al circolo ,dove l’entrata non era permessa alle donne. Inizialmente credevo di aver capito male ma richiedendo le mie orecchie confermarono. Anche io non ho avuto vita facile e ho dovuto lavorare e allenarmi il doppio per poter fare parte di equipaggi misti, anche ad alto livello, dove, pur l’alto livello sportivo non corrispondeva anche un alto livello culturale. In barca ho avuto ruoli diversi ma essenzialmente sono una timoniera e questo dava fastidio. Io non ho mai mollato sono determinata , tengo duro, la passione mette anche il cuore. Detto questo, non siamo noi a dover cambiare, ma la cultura maschile , e il relativo modo di pensare.. in questa lista di commenti ne emergono un paio che si commentano da soli. Per quanto riguarda il premio velista dell’anno, cosa aggiungere? Quando me ne sono accorta, ho pensato, che anche il direttivo del giornale avesse fatto una mossa non scusabile, ma aggiungo che il tuo “compagno sportivo” avrebbe dovuto dire la sua, e che non deve dimenticare che la medaglia che ha al collo È ANCHE MERITO TUO!
Grazie
Io credo che Caterina abbia ragione a sentirsi discriminata, ma il suo problema più grosso non è quello di essere donna, ma di essere prodiere…. Se lei fosse stata il tiimoniere vincitore di due ori olimpici se la sarebbero litigata tutti, magari la avrebbero presa all’estero, perché in Italia siamo troppo maschilisti, ma un posto su una grande barca lo avrebbe trovato. Purtroppo, però in tutto il mondo, i prodieri sono discriminati e considerati solo muscoli e zavorra senza cervello e quindi….
Fabio ex-prodiere