Classic IOR: Dick Carter, una matita d’eccezione
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Con le clamorose vittorie del Rabbit, di Tina e di Optimist, la seconda metà degli anni settanta vede l’ascesa fulminea di un nuovo progettista, una figura a suo modo geniale, ma comparsa nel panorama senza apparente ragione. Del resto, lui stesso non avrebbe mai fatto il progettista, se non fosse stato per puro caso. Parliamo, come avrete intuito leggendo l’articolo precedente (QUI) di Dick Carter, matita fenomenale del periodo ‘65-’75. Tra i grandi cult e la sua partecipazione alla scrittura dello IOR (International Offshore Rule), Carter è indubbiamente una figura chiave del periodo, uno dei maestri dietro gli standard che resero lo IOR la Golden Age della Vela.
Cult firmati Dick Carter | Parte 2.
Dopo i successi del Rabbit e delle sue prime due commissioni, Tina e Optimist, rispettivamente divenute microserie, Dick Carter è ufficialmente concentrato sul suo nuovo ruolo di progettista navale. Un periodo che aprirà i battenti ad alcuni dei suoi più famosi progetti, passando dal Red Rooster fino al Catherine, dalle commissioni one-off alle serie, compresi scafi che, magie della storia, diventeranno parte della vela sovietica di là della cortina di ferro. Ecco Dick Carter e i suoi successi del decennio 1970.
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Dick Carter – Verso fine decennio
Il 1966 è un anno ricco di impegni per Carter: le basi per lo IOR, il progetto di Optimist e, tra le altre cose, la sua preparazione personale per l’Admiral’s Cup 1967. Nonostante gli impegni, infatti, Carter decide di voler a sua volta uno scafo nuovo, una barca dedicata a regatare all’AC dell’anno successivo: nasce il Rabbit II, un 42 piedi (12.8 m) fuori tutto fedelissimo alle lezioni apprese con Rabbit e Tina, qui però, con skeg, così come definito appena in precedenza per Optimist, che proprio quell’anno vincerà la One Ton Cup, con Tina subito seconda. Rabbit II performerà bene all’Admiral’s, ma una serie di peripezie, errori e proteste non la faranno brillare così come sperato. Ancora più amara la sua fine, abbandonata in Atlantico dopo una tempesta nel 1972. Venne avvistata successivamente, disalberata ma in buono stato, da un cacciatorpediniere americano quello stesso autunno, per poi non essere più rivista.
Da fine 1967 a inizio 1969, nessun progetto specifico uscì dalle mani di Carter, impegnato nella ristrutturazione di quella che sarebbe diventata sua residenza e studio, una torre sul mare nel Nahant, appena a nord di Boston. Con l’inizio del 1969, però, due grandi progetti cominceranno a prender forma: Red Rooster e Noryema (VII) VGX.
Geometrie variabili e derive basculanti
La commissione importante del 1969 fu una, Noryema (VII) VGX, la settima barca di Ron Amey (da cui il nome, semplicemente scritto al contrario). Qui, Carter venne lasciato libero di sperimentare, nozione che troviamo riportata nel nome: VGX, acronimo di Variable Geometry Experiment, ovvero Esperimento a Geometria Variabile. Il focus di questo? Un elemento chiave, la pinna zavorrata basculante. Proprio come nel caso di una deriva (pensate al 470, per capirci) il concetto prevedeva una scassa interna in grado di consentire il basculare della pinna sull’asse obliquo longitudinale, portandola dalla posizione “corretta” fino ad essere completamente ritirata. Il vantaggio? Maggiore pescaggio e performance in bolina, resistenze ridotte e maggiori velocità nelle andature portanti.
Prima di arrivare al Noryema (VII) VGX, però, Carter optò per la sperimentazione diretta, testando queste teorie su una barca progettata per se stesso, il Red Rooster. Il progetto, neanche a dirlo, si rivelò un successo eclatante. La barca, a maggior pescaggio delle concorrenti, risultava più boliniera, per essere poi imbattibile sotto spinnaker, velocissima, con gli attriti della deriva erano completamente annullati dal “ritiro” della stessa. Uno skeg, qui, diventava fondamentale per aiutare il timone, altrimenti troppo sollecitato dalla spinta diretta dell’acqua. Sorprendentemente, una volta in planata diventava ulteriormente stabile, così come succede in deriva (salvo mare incrociato).
Red Rooster vincerà la Cowes Dinard sia in Classe II che III, per poi far secondo a la Channel Race, terzo alla Britannia Cup, e poi vincere la Fastnet Race e quindi l’Admiral’s Cup, sia come Top Points (barca con più punti ottenuti), sia che come membro della squadra vincitrice, quella americana. Poco da aggiungere. Noryema VII VGX verrà così costruita di conseguenza, ma non riuscirà a guadagnarsi la stessa fama della precedente, essendo accettata all’Admiral’s del 1969 solo come scafo di riserva della squadra Inglese.
Primi anni ‘70
Gli anni settanta diventano l’apice per la carriera di Carter. Prima grande novità, i progetti per la serie, con la nascita del Carter 33, un piccolo Half Tonner tanto capace di regatare quanto di offrire il massimo del comfort in crociera. Basato sullo scafo di Blue, concepito per la Half Ton Cup del ‘70, il 33 fu un piccolo successo di Olympic Yachts, poi seguito dal Carter 37 (derivato da Ydra) e dal Carter 39.
La grande star del 1970 fu però per Carter un altro progetto, commissionato dal Barone Rothschild, Gitana V. Prima Classe in alluminio, costruito da Abeking & Rasmussen, fu uno scafo velocissimo alle portanti, lievemente ostacolato in bolina da un albero inizialmente troppo “morbido”. A questa, seguirà poi un’altro grande scafo, più sui generis: Vendredi Treize, un tre alberi di 39 metri progettato specificatamente per la Single-Handed Transatlantic Race (OSTAR, 1972) su commissione di Jean-Yves Terlain.
Dopo una seconda fase di sperimentazione con le chiglie, compresa una rotante, gli anni ‘70 porteranno poi i progetti forse più famosi di questa fase. Uno tra tutti, Ydra, sinonimo di vittoria in Giraglia (in reale e in compensato), vittoria al campionato One Ton 1973, e, sopratutto, sinonimo di Marina Spaccarelli Bulgari, iconica in quella foto, sorridente e sfiancata dopo la regata, in compagnia di Straulino (ma questa è un’altra storia che potete leggere Qui).
Dopo Ydra verranno poi i grandi nomi conosciutissimi in Mediterraneo: Benbow, Orca e Naif (ambedue per Gardini), Aggressive e Antelope, e Christine, il Maxi di 25.6 metri, a suo tempo il più grande IOR al mondo. Ma queste sono altre storie leggendarie.
Dick Carter e l’URSS
Più che una parte integrante dello sviluppo della storia della vela, una nota di colore. Nel 1973, sotto il benestare di Carter, il cantiere polacco Teligi comincia la produzione del Carter 30, fondamentalmente, un Carter 33 pantografato in piccolo e già originariamente costruito da Northshore Yacht Yards. La versione polacca, identica, se non nel nome cirillico Картер 30, venne prodotta in oltre 400 esemplari. Fin qui, tutto normale, finchè la Repubblica Popolare di Polonia non cedette centinaia di Картер 30 all’USSR come pagamento dei suoi debiti statali, scafi che il partito distribui per i circoli velici della Russia Europea, creando così un’immensa classe di Carter 30, al 2010 ancora più che attiva.
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