Gemini, Azzurra e l’ultimo IOR, 10 anni di cult firmati Vallicelli
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Parlando di IOR, contestualizzando al panorama nostrano, quello dello Studio Vallicelli è un nome che necessità ben poche presentazioni. Nello scorso articolo, Dallo Ziggurat al Brava, 5 anni di Cult IOR del maestro Vallicelli, ne abbiamo visto la fase di ascesa e successo, è quindi ora di un breve excursus sui suoi anni d’oro, fino all’ultimo IOR. Ecco, quindi, i grandi cult (one-off) firmati dall’iconico studio, 10 anni di capolavori varati dal 1982 al 1992, quando entrò a pieno regime la nuova regola, l’IMS, l’International Measurement Rule.
Vallicelli, il maestro dello IOR italiano (e non)
Dai grandi successi dei primi anni, marcati da prototipi quali Ziggurat, Gattone e Argento Vivo, per arrivare ai cult quali Filo da Torcere, Brava e Blu Show, lo Studio Vallicelli ha avuto una carriera esplosiva in appena meno di un decennio, imponendosi presto sulla scena locale e internazionale. Vittorie su vittorie e ingenti contributi alla progettazione ne hanno così presto fatto uno dei grandi punti di riferimento del periodo, portando lo Studio a commissioni a dir poco d’eccezione, dando vita a progetti rimasti nella memoria e nel cuore di tantissimi. In questo articolo, per quanto possibile, vedremo di esplorarne tra i più distintivi, concentrandoci, ancora una volta, esclusivamente sugli scafi one-off (per 5 cult di serie firmati dallo Studio, QUI un articolo che potrebbe interessarvi).
- Per l’articolo precedente:
Dallo Ziggurat al Brava, 5 anni di Cult IOR del maestro Vallicelli
Due cult in “blu”
Dopo i grandi successi di Filo da Torcere, Blu Show e Brava, le commissioni per lo studio sono sempre più importanti. La prima, tra queste, arriva dalla Marina Militare nel 1982, allora alla ricerca di una barca scuola per il suo Gruppo Sportivo. Presto fatto, nasce il Gemini (13.7 m), realizzato in lamellare da De Cesari e basato sulle lezioni apprese con Brava e Primadonna, lezioni ben apprese e che porteranno Gemini, già nel 1983, a infrangerà il record della Giraglia, con appena 28 ore di percorrenza. Non è però lei a essere il grande cult Vallicelli dei primi anni ‘80. Sarà un’altro scafo, come lei celeste ma non IOR, a rubare i cuori: Azzurra.
Breve salto indietro nel tempo. È il 1981 quando lo studio Vallicelli riceve la commissione di Azzurra, il primo 12 Metri Stazza Internazionale italiano destinato a competere nella sfida per la Coppa America: Newport 1983. La Coppa dei Record, come ben sappiamo, la prima sconfitta americana di sempre, il miracolo di Australia II, il capolavoro di Bill Lexcen.
Come da regolamento, gli sfidanti possono usare esclusivamente enti di ricerca e strutture produttive nazionali, così Azzurra nasce presso le vasche navali di Roma (INSEAN) e viene sperimentata tramite tre modelli in scala 1:4 per alcuni mesi. Il risultato è un connubio di quanto emerso dagli studi e dalle precedenti esperienze e dall’intuito dei progettisti. Si tratta di un 12 Metri meno tradizionale rispetto ai precedenti canoni, con galleggiamento ridotto, più leggera e meno invelata. In compenso, le sezioni poppiere sono più larghe, la pinna di deriva è molto più snella rispetto alla media presente a Newport, con angoli di entrata del profilo molto acuti e sezioni centrali più schiacciate. Si rivelerà uno scafo particolarmente veloce, battendo, in un’occasione, anche l’incredibile Australia II, ma perdendo in semifinale contro l’Inglese Victory, a causa di un’avaria che la metterà fuori gioco. Nel 1984, invece, registrerà il 2° posto al Campionato del Mondo 12 Metri di Porto Cervo (se voleste approfondire il tema, il libro Vallicelli Yacht Design del 2020, edito da Skira, contiene disegni e informazioni d’eccezione).
Una nuova generazione
Dopo Azzurra, e dopo i precedenti successi emersi con i vari 40 piedi, la linea progettuale dello studio muta. Enterprise (15.40 m) ne è il primo testimone. Progettata per un’armatrice francese, si tratta di un 50 piedi votato alla regata pura. Rispetto a Brava (ormai punto di riferimento), presenta semi-angoli meno acuti e progressioni più morbide, rendendo le linee più filanti e meno influenzate dagli estremi del canone IOR. Anche la coperta muta, mantenendo alcuni dei classici stilemi, ma incorporando nuove soluzioni. Tra queste, anche la tuga è diversa, più schiacciata, più rastremata, quasi una stilizzazione delle precedenti. Si apre una nuova fase progettuale. In compenso, Enterprise sarà un successo, vincendo la Cowes-Dynard del 1984 e la North American Championship nel 1985.
Nello stesso anno dell’Enterprise, un’altro classico vede la luce, Brava 30.5. Lo IOR, infatti, cambia rating per i One Tonner nel 1983, portandolo da 27.5 a 30.5 (per favorirne la partecipazione in regate a squadre – Sardinia & Admiral’s), e Landolfi commissiona una seconda Brava, un One Tonner di nuova generazione. Più armonica e all-round della precedente, questa viene realizzata in lamellare (scafo) e composito (coperta). Sarà il canto del cigno per gli scafi costruiti in legno.
Verso gli Anni ‘90.
Azzurra, seppur non avendo portato l’Italia in America’s Cup, infiamma però la febbre per la brocca. L’edizione successiva (1987), pertanto, rivedrà il Syndicate in acqua: nascono Azzurra II (1985) e Azzurra III (1986). Nel primo caso, lo scafo non è del tutto differente rispetto alla prima, con sezioni poppiere ancora più larghe e slanci prodieri inferiori. La seconda, invece, è ancora più corta, con importanti novità relative la progettazione, interamente assistita dalle nuove tecnologie digitali. Le grandi rivoluzioni, però, sono tutte figlie della chiglia di Lexcen sviluppata per Australia II: Azzurra II avrà infatti deriva ad Ala di Farfalla, Azzurra III, invece, Winglets a Delta; soluzioni mirate a fornire quel coefficiente di lift capace di dare una spinta in più nelle accelerazioni post-manovra e a barca sbandata (un tema in realtà molto più complesso, ma non è questo il luogo per affrontarlo a dovere).
Alle due Azzurra, il 1986 vede affiancarsi altri quattro scafi diventati famosi. Il primo è Springbok (15.08 m), un 50 piedi basato sulle lezioni di Enterprise, ma “meno bagnato” e con maggior rapporto tra sup. velica e dislocamento. Realizzato a San Diego a fasciame di Sandwich, verrà timonato da nientemeno che Dennis Conner, vincendo sia la Onion Patch, sia la Bermuda Race del 1986. Ispirata dalle scelte progettuali di Springbrook, per un ownership turca, nasce poi Sirena, altro 50 piedi, questa volta destinato alla Sardinia Cup del 1988.
Tornando invece al mondo One Tonner, sempre nel 1986 nascono anche altri due scafi da regata: Brava Les Copains, per Landolfi, e Merope, per la Marina Militare. Le scelte progettuali tra le due non sono particolarmente dissimili, con carene snelle e grande attenzione alle appendici e al loro aspect-ratio, tutte soluzioni che il finire del decennio portando a diventare un trend, avvicinandoci al futuro IMS. Scafi molto prestanti, ma troppo all-round, non riusciranno a ottenere gli enormi risultati sperati, guadagnando, però, il primo e il secondo posto, ambedue, ai Campionati Italiani 1986 e 1987.
Con la progettazione dei grandi one-off che seguono, il canone IOR va scemando, e i progetti stessi lo dimostrano. Nel 1990, infatti, nasce Brancaleone Open (10.67 m), progettato sui parametri della classe Open Categoria 10.67, fondamentalmente basata su un unico limite, la lunghezza, oltre ai parametri di sicurezza. Lo IOR, infatti, diventato troppo estremo, con il finire del decennio vive un periodo di “crisi”, con diversi armatori che ne escono affrontando diverse esperienze. Un altro esempio, a tono, lo offre così Stradivaria (12.55), progettata nel 1992, ormai all’alba dell’IMS, ma secondo un ulteriore regolamento, la classe libera con cui si regatava sul Lago di Garda. Si tratta di uno scafo ad armo frazionato a contenuta superficie bagnata, senza esasperazioni. Vincerà la Centomiglia del Garda nel 1992, 1993 e 1994, segnando l’impostazione che lo studio, successivamente, adotterà per le classi open. Dopodichè, l’IMS e un intero mondo nuovo.
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