Tutti vogliono le vele Doyle Sails. Ecco perché
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Palermo non è soltanto la terra di Checco Bruni, timoniere di Luna Rossa in Coppa America e di tanti altri grandi velisti. E non solo del Circolo della Vela Sicilia, scelto fin dal 2011 da Patrizio Bertelli come yacht club sfidante del team italiano all’America’s Cup. Il capoluogo siciliano è un “distretto velico” di respiro internazionale. Una delle realtà più importanti sul territorio è il polo produttivo della Top Sailing, nota come Doyle Sails Italia, gestita dal 2015 da Salvo D’Amico. Che questa azienda sia un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale è dimostrato dai numeri: negli ultimi anni la veleria ha fatto registrare una crescita vertigin sa, grazie alla spinta commerciale coordinata da Mario Giattino, persona chiave in azienda e veterano in Doyle (dal 1997!), e ad una crescita esponenziale della capacità produttiva. “Al loft di 3.000 metri quadri di Palermo aperto nel 2019”, ci racconta l’amministratore D’Amico, clase 1981, velista di lungo corso, esperienza formativa e professionale pregressa di alto livello, “se ne è aggiunto un altro di 1.500 mg, sempre a Palermo. Completa il nostro asset italiano il capannone da 1.500 mq a La Spezia.
Abbiamo in mente nuovi investi-menti per continuare a crescere”. Seimila metri quadri di capannoni, quindi. “Siamo nella top-three di centri di produzione vele in Europa e tra i più importanti al mondo: possiamo realizzare qualsiasi tipo di vela in-house, senza limiti di dimensioni”, prosegue D’Amico, “e dare assistenza alle imbarcazioni più complesse al mondo, non solo per dimensioni, ma anche per tipologia di sistemi a bordo, come ad esempio Maltese Falcon (Perini 90mt), Black Pearl (Oceanco 105mt) e Mirabella V (sloop 75mt)”.
Chiediamo a D’Amico un po’ di numeri: “Dai nostri capannoni ogni anno escono oltre 25.000 metri quadri di vele, tutti assemblati e cuciti da noi, noi non compriamo all’estero. Per la maggior parte si tratta di giochi per barche grandi, con superficie media di 160 mg. A questo si aggiunge anche il costante lavoro di manutenzione: in un anno passano da noi circa 200 vele di barche sopra gli 80 piedi, su un totale di circa 400 vele”. Come gestire tutta questa “massa”? “Con un team di velisti che lavora per i velisti – non a caso il motto di Doyle è ‘By sailors, for sailors’ – composto da una trentina di persone, tra dipendenti e collaboratori fissi, tra cui rientrano personaggi di altissimo livello come Alessandro Castelli, Andrea Casale e Francesco De Vita, ex Coppa America con Mascalzone Latino”.
A bordo delle barche che contano
La competenza è ben ripagata. Le vele Doyle sono a bordo di tantissime superbarche. Nell’ambito delle grandi regate, ci vengono in mente il Reichel Pugh 66 Alive vincitore dell’ultima Sydney Hobart, il Wally 93 Bullitt vittorioso alla Rolex Middle Sea Race, il Maxi 100 Leopard primo alla RORC Caribbean 600, vari Maxi 72 (Bella Mente, Vesper, Proteus…) e Tp52: questi sono solo la punta di un iceberg composta da centinaia di barche intorno al mondo. Ma non c’è solo la regata: Southern Wind, Oyster, performance cruiser come l’ICE 52 Goose (vincitore IRC alla 151 Miglia) armano vele Doyle. E non ci sono solo le barche grandi: da quando l’oro olimpico Jordi Calafat è entrato in veleria, grande attenzione è stata rivolta al mondo degli one-design, come RC 44 e ClubSwan. Ad esempio, il ClubSwan 36 G-Spot, uno dei più vincenti, monta vele Doyle. Last but not least, direbbero gli anglosassoni, la presenza del brand come Official SailMaker del circuito Sail GP, quanto c’è di più vicino alla Coppa America, dato che si tratta dei catamarani volanti F50 ex-America’s Cup.
Il segreto di Doyle
Il successo di Doyle Sails non è solo da ricercarsi nel servizio e nell’ingente dispiego di forze in risorse umane. Racconta Mario Giattino, direttore commerciale: “L’evoluzione principale, che ha fornito un vero ‘boost’ al marchio, è stata quella tecnologica. Un costante investimento in ricerca e sviluppo che ha portato all’invenzione della ‘cableless technology’, evoluta nella tecnologia ‘structured luff, in parole povere le vele senza cavo antitorsione, dotate di inferitura strutturale”. Una tecnologia, apprezzatissima sia in regata che in crociera, che “vanta innumerevoli tentativi di imitazione” e che parte dal concetto del “sharing load”, ovvero la condivisione dei carichi della barca tra il rig (alberatura e sartiame) e le vele. Una svolta, perché prima i carichi erano tutti assorbiti dal rig, anche per tenere in tensione i cavi antitorsione. Con questa innovativa soluzione stiamo parlando di carichi del 30/40% in meno, se non del 50% in configurazioni particolarmente “tirate”.
“Doyle Sails ha ridisegnato il modo in cui i carichi vengono sviluppati e attraverso layout di fibra personalizzati li ha reindirizzati nella vela. Se la vela può ‘contare su sé stessa”, riassume Giattino “ci sarà bisogno di molto meno carico sul rig e sulla barca”. Queste tecnologie vengono applicate sugli asimmetrici, vele tipo Code0, fiocchi e sulle StaySail, dove l’inferitura strutturale garantisce una maggiore facilità di gestione e di stivaggio della vela. Questa innovazione non riguarda solo il mondo delle regate, ma anche quello della crociera. Senza cavo, l’inferitura è più leggera e questo aumenta il range di utilizzo di una vela: con poco vento, ad esempio, la si può portare anche più poggiati. “Questo ha consentito un significativo upgrade a barche che fanno crociera in tutto il mondo, come gli ultimi Southern Wind che abbiamo invelato; aumentare il range di utilizzo consente di ridurre il numero di vele a bordo”.
Chiudiamo guardando avanti. Svela Giattino: “L’ultima innovazione su cui Doyle Sails ha puntato, vista per adesso solo sul Maxi 72 Bella Mente, è lo sviluppo di un gennaker con corpo in nylon e inferitura in carbonio e technora. Una soluzione ultraleggera e che consente alla vela di entrare subito ‘in forma’ e fornire alla barca una propulsione immediata, al minimo refolo di vento”. Un ulteriore step tecnologico che avrà sicuramente successo.
*redazionale in collaborazione con Doyle Sails
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