Icone IOR: dove sono i classici della vela che ancora regatano?
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Tra il finire degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘90 troviamo quella che fu, forse per nostalgia, forse per merito, la Golden Age della vela, quasi un trentennio di scoperte, regate eccezionali e di barche inimitabili. Fu il tempo dello IOR, (di cui QUI trovi la storia)vero e proprio motore della vela di allora, artefice nascosto di un mondo composto da personaggi oggi inimmaginabili, regate ascese a leggenda e scafi iconici. Forse vetta più alta della vela, ma soprattutto spinta fondamentale alla creazione di alcuni tra gli scafi più “grandi” e famosi di sempre, quello IOR fu un periodo unico, fautore di scafi eccezionali e barche leggendarie. Per celebrarlo al meglio, il Giornale della Vela vuole ora censire queste barche, uniche e preziose, e per questo lancia un appello a tutti gli appassionati: segnalateci dove sono e in che stato sono i grandi cult dello IOR, ve ne saremo grati.
Classic IOR: Celebriamo le grandi icone della vela
Lo scopo è quello di inserire queste barche nel nostro “registro” delle Classic Boat by Giornale della Vela (vi spiegiamo come fare QUI). ATTENZIONE, però, inserirle nel registro non vuol dire esclusivamente censirle, vuole anche dire valorizzare tutte quelle barche che hanno una storia e un pedigree che permette di evidenziarne il reale valore storico –esattamente come accade nel mondo delle auto e degli immobili– per restituire loro lo status che realmente meritano, e così il loro vero valore. Coglieremo l’occasione non solo per crearne un grande archivio accessibile a tutti, ma anche per raccontarle e condividerle al meglio, così che lo IOR, a suo modo, possa in parte sopravvivere, recuperando lo status che merita e consentendo a noi, e a voi, di veder di nuovo queste barche in mare, e perchè no, magari anche in regata…
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Classic IOR: perché celebrare barche vecchie?
Realizzati tra i tardi anni ‘60 e i primi anni ‘90, gli scafi IOR sono sempre più spesso ed erroneamente considerati, da tanti, come semplici barche vecchie. Certo, nuove non sono più, ma considerereste un’auto storica, o un pezzo di design del Bauhaus, per esempio, un semplice vecchio oggetto? Difficilmente. Certo, l’età non viene meno solo sulle basi del valore, della qualità o del merito retrostante lo scafo stesso, ma non è certamente un dettaglio adatto a definire il valore di una qualsiasi cosa. Anzi, con i grandi classici dello IOR ci si trova invece, e spesso, davanti a macchine eccellenti, piattaforme che, con un po’ di cura e una buona dose di amore, possono tornare a splendere come fecero, e come dovrebbero. Lo IOR fu infatti il tempo della vela più pura, il tempo delle regate offshore più temibili e dei giri del mondo delle “Armate Brancaleone” nostrane. Fu il mondo dei grandi scafi, delle barche eccellenti e, oggi, è il mondo dei prototipi da salvare, delle barche da individuare e celebrare. È una realtà di progetti d’eccezione che, troppo spesso, non sono celebrati come meritano, ed è l’ora di rimediare. Ma quali sarebbero i vantaggi di fare tutto ciò? Niente di più banale.
Avendo già premesso il criterio celebrativo, passiamo subito allo step successivo, quello più concreto. Riconoscere il valore di uno scafo IOR famoso, riconoscerne la storia, i successi e i personaggi che ne hanno calcato la coperta, non solo è un riconoscimento alla barca stessa e al suo armatore. È un riconoscimento più concreto, ne incrementa il valore. Traslando l’esempio a mezzi iconici del passato, quante Jaguar E-Type sono in circolazione? Non poche, ma nemmeno troppe. E, a prescindere, non costano poco. Vi siete però mai chiesti quanto costi quella che fu di Steve McQueen? L’asticella di mercato vola alle stelle. Eppure è la stessa auto… Lo stesso vale per tante altre cose. E lo stesso vale per uno scafo eccezionale e ben tenuto, se il suo merito, la sua storia, venisse propriamente riconosciuta. Ecco già una buona ragione. Ma questa è relativa all’armatore, o al potenziale acquirente. Cosa ne viene a tutti gli altri? Semplice, conoscere e comprendere la propria storia non è mai un errore. E lo IOR altro non è che la storia, la base fondante, della vela di oggi.
Lo IOR fu una vetta scalata, un periodo non solo rimasto nel cuore di tanti, ma non solo. Lo IOR fu un periodo di costante evoluzione, una fabbrica sperimentale di barche eccezionali. Barche che rimangono. E questa è la chiave di volta. Gli scafi IOR esistono ancora, possono essere sistemati e possono donare ancora tanto. E più ne torneranno a circolazione, maggiori saranno le loro possibilità, e le nostre, di tornare a far sognare. Il mondo delle regate “d’epoca” esiste, e sempre più si sta aprendo anche a scafi più recenti, gli IOR appunto. Un’apertura che apre circuiti nuovi, passioni nuovi e “mercati” altrettanto nuovi (e probabilmente meno costosi). Un’opportunità per tutti per, in contemporanea, celebrare la vela, goderne, e restituire vita e valore a un fenomeno che, forse, non morirà mai davvero. Seguono, in quest’ottica, gli scafi che già ci avete segnalato e raccontato.
MABELLE | Sangermani
Sangermani; 1973; 12.08 x 3.91 m; Dick Carter
Partiamo da un classico nostrano, Mabelle, sloop in legno realizzato nel 1973 dagli iconici Cantieri Sangermani. Lunga 12.08 metri, venne progettata da Dick Carter per Serena Zaffagni per partecipare alle selezioni antecedenti l’Admiral’s Cup di quello stesso anno, selezioni che supererà, rappresentando la squadra italiana insieme con Naif e Sagittarius. Partecipò poi alla Middle Sea Race del 1975, per poi essere ritirata dalle regate. Oggi, ritorna invece spesso a competere tra le boe, rivelandosi ancora un grande scafo, l’ultimo, peraltro, che il cantiere realizzò sotto la direzione di Cesare Sangermani padre.
CHRISTINE | Fred Preiss, Redbone Beach
Fred Preiss, Redbone Beach California; 1974; 25.50 x 6.50 m; Dick Carter
Negli anni ‘70 Dick Carter era uno dei più grandi architetti navali sulla faccia del pianeta. Nel 1974, su commissione privata, progetta un Maxi di 84 piedi per la Transpac, uno scafo di ben 25.50 metri realizzato interamente in sandwich. Costruita da Fred Preiss, in California, nasce così il Sandokan, ora ribattezzata Christine. Adatta ad un equipaggio superiore le 15 persone, vanta un albero di 30 metri in alluminio e una coperta flush immensa, disseminata di passauomo e coffee grinder. A fine anni ‘90 è stata oggetto di un refit destinato a convertirla alla crociera. Ora ha interni in legno, 14 cuccette e stile da vendere.
DIDA SESTA (Ex-Rumegal) | Carlini
Carlini; 1978; 15.30 x 4.90 m; German Frers
È il 1978 quando i Cantieri Carlini varano il Rumegal (ora Dida VI), un 15.30 metri IOR progettato dal grande German Frers per Raul Gardini. Nel 1979 vincerà la Middle Sea Race, per poi vincere due volte anche la Giraglia e altrettante volte il campionato del Mediterraneo. Verrà sostituita poi dal Moro di Venezia, grande amore di Gardini. In compenso, continuerà a regatare fino al 1993.
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