50 anni fa: Fogar nella storia!

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FOGAR L’AVVENTURIERO Esploratore, marinaio, pilota di rally, uomo di spettacolo. Ambrogio Fogar (1941-2005) ha nel suo palmarès velico ben due Ostar: nel 1972 riuscì a portarla a termine nonostante una grave avaria al timone; nel 1976 dovette invece ritirarsi per una rottura del suo catamarano di sette metri. Soprattutto, è stato il primo italiano (e il secondo uomo al mondo) a compiere la circumnavigazione del globo controvento da est a ovest a bordo del suo sloop di 12 m Surprise.
Partito da Castiglione della Pescaia il 1° novembre 1973, ritornò al porto toscano il 7 dicembre 1974. Ad attenderlo c’erano oltre diecimila persone. Nella foto: Castiglione della Pescaia,. Ambrogio Fogar abbraccia la moglie Teresa all’arrivo dal suo giro del mondo in solitario.

Nel 1974 Ambrogio Fogar entra nella storia per il suo incredibile giro del mondo in solitario. Su un 12 metri percorre 37.000 miglia da est e ovest contro venti e correnti dominanti, sfidando tempeste, balene, freddo polare. Ripercorriamo i suoi 345 giorni di navigazione e ricordiamo “l’uomo” con chi lo conobbe da vicino.

Erano 20.000 forse più nel porticciolo di Castiglione della Pescaia, il mare di Grosseto. Bambini delle scuole con le bandierine tricolori, la banda, il sindaco, curiosi e gli amici.
Aspettavano una barca a vela dallo scafo una volta bianco e che, come le vele, mostrava tutta la fatica di una lunga navigazione. Una barca nata a Castiglione della Pescaia e, anni prima, comperata da un tipo milanese. “Voglio fare il giro del mondo” aveva detto. “Questo è matto” pensarono a Castiglione. E invece c’era riuscito. Era il 7 dicembre 1974 e tutti aspettavano Ambrogio Fogar che stava per concludere il suo giro del mondo cominciato da quel porto il 1° novembre del 1973. Una giornata novembrina. Poca gente. Gli amici. La barca che esce dal porto al traino. Il cavo mollato. Le vele vanno su. Mezzogiorno e una bella arietta. Prua per 220°: Bocche di Bonifacio. A bordo con Ambrogio Fogar, la moglie Maria Teresa. Scese a Porto Torres e lo lasciò solo con il suo progetto un po’ folle, non il primo, di fare il giro del mondo.
La vela l’aveva scoperta da poco. Il mare no. L’aveva conosciuto da piccolo, nella città del padre: Trieste. Un mare dal quale: “Mi sono lasciato avvolgere da lui e ho cominciato a sognare…”. E Ambrogio Fogar, classe 1941, figlio della buona borghesia milanese, a sognare e cercare l’avventura aveva cominciato presto, puntando sempre e solo su sé stesso. Scialpinismo, ski-marathon, poi paracadute. Uno si era aperto male. Era passato alla vela. E l’idea del giro del mondo in solitario aveva messo radici, crescendo fino a quel giorno di novembre. La barca l’aveva comperata usata da Nicolò Puccinelli proprietario del cantiere CN71 di Castiglione della Pescaia. Il progettista era Guy Thompson, uno particolare. Per i suoi progetti costruiva un modello e lo confrontava in acqua con quello di un progetto di cui conosceva le prestazioni.

IL FEDELE SURPRISE Ambrogio Fogar) entra nel porto di Castiglione della Pescaia dove lo attendono, per celebrare la sua impresa, migliaia di persone. Il suo Surprise ha retto bene durante le 37.000 miglia percorse (345 giorni di navigazione) e le tante burrasche affrontate. La barca è uno sloop da regata di 11 metri e 76 centimetri, largo 3,14 metri, costruito da Nicolò Puccinelli proprietario del cantiere CN71 di Castiglione della Pescaia, su progetto dell’inglese Guy Thompson. Lo è scafo in strip planking: strisce di mogano incollate una accanto all’altra con resine epossidiche rinforzate con qualche ordinata.

Fogar, il surprise, l’avventura

A Puccinelli piaceva un progetto di Thompson: uno sloop da regata di 11 metri e 76 centimetri, largo 3,14 metri. Costruisce un prototipo con scafo in strip planking: strisce di mogano incollate una accanto all’altra con resine epossidiche e lo rinforza con qualche ordinata. Il risultato è una struttura monolitica, uno scafo elegante e robusto. Una sorpresa. Era il 1969 ed era nato Surprise che Puccinelli porta in regata fino a che non appare un milanese. Fogar, da autodidatta, non perde tempo. Con il Surprise, nel 1972, è al via della Ostar, la transatlantica in solitario da Plymouth a Newport. Dei 55 partiti ne arrivano 40 compreso Fogar che, rotto il timone, conclude governando con le vele. Con il comandante Franco Faggioni e il suo Sagittario furono i primi italiani a concludere la transatlantica. Poi, su un’altra barca partecipa alla Cape2Rio, dal Sudafrica al Brasile.

Papa Paolo VI visita il Surprise in Piazza del Popolo, a Roma. L’impresa di Fogar ebbe grandissima eco mediatica
e divenne un caso “nazionalpopolare”..

Il giro del mondo

Siamo ai primi del ’73 e Giorgio Falck gli propone di fare sul Guia la prima Whitbread, il giro del mondo a tappe e in equipaggio. Partenza a settembre. Fogar dice no: è tempo di realizzare il suo giro. Meglio, quel viaggio “per cercarmi” come scrive in “400 giorni attorno al mondo”. Un viaggio, senza elettronica, GPS e satellitari, ma con carte, sestante e una ricetrasmittente. Un viaggio che non sarà quello di Francis Chichester che tra il 1967 e il 1968, con tappa a Sydney, era partito e arrivato a Plymouth, Inghilterra, navigando verso est e passando per Capo di Buona Speranza, Capo Leeuwin e Capo Horn. No. Fogar stipula un “contratto di noleggio di me stesso” e compirà il giro del mondo andando verso ovest, contro venti e correnti dominanti. Prima boa: Capo Horn.
In Italia Fogar lascia l’Austerity e le restrizioni per l’aumento del prezzo del petrolio dopo la riduzione delle forniture di greggio da parte dei Paesi arabi in seguito alla guerra del Kippur tra Israele, Egitto e Siria di ottobre. In Italia, il 1° dicembre del ’73, con il petrolio alle stelle, bar e ristoranti che chiudono a mezzanotte, la TV alle 23 e riscaldamenti ridotti, si decide il blocco delle auto private la domenica. Poi, a primavera, si passerà alle targhe alterne. Abitudini rivoluzionate, tutto rallentato, più tempo a casa. Forse anche questo contribuì a indirizzare il pubblico ai resoconti che parlavano di un italiano che, da solo, stava navigando attorno al mondo. E che rischiava grosso quando in mezzo all’Atlantico un rumore sempre più forte aveva interrotto il pranzo di Natale. “A prua, troppo vicina, c’è un’altra prua, molto, molto più grande: quella di una nave di linea con tutte le sue belle luci”. Surprise sbatte contro il fianco della nave. Danni al boma e sosta a Rio de Janeiro. Ripara e riparte verso Horn. Scendendo verso sud il vento rinforza. Arriva a 70 nodi e straccia il fiocco. Andare ad ammainarlo è un’impresa con gli albatros che “adesso mi paiono avvoltoi in attesa”. Si scende di latitudine e verso “un’onda che mi sarebbe piaciuto vedere”. Il Surprise mette l’albero sott’acqua. All’interno “tutto quanto non è fissato rotola per la barca… le pentole suonano tra di loro… un attimo di apparente silenzio e si ricomincia dall’altra parte”. Quando Surprise torna dritto in cabina è un caos galleggiante. Fuori due crocette piegate, ma si possono riparare. Surprise doppia Capo Horn il 27 gennaio 1974. “Il mare è sempre lo stesso, e il cielo è uguale. Ma ti pare di ritornare quando superi la longitudine del Capo… È sempre lo stesso freddo di un metro prima, ma il cuore è più caldo… Và, Surprise, che il primo traguardo è passato”. Non la prova più dura. A 300 miglia dalle coste cilene e a 56° di latitudine sud Surprise corre a secco di tela e con 200 metri di cavo filato a poppa per tenere al mare. Fogar, dopo venti ore al timone, è sgusciato in cabina. “La cima delle onde frana da un fronte di centocinquanta metri… Un muggito enorme che cresce, e cresce sempre… Surprise si alza di poppa, sempre di più… Ho piedi sul soffitto, quindi ci siamo rovesciati”. La barca torna dritta. In cabina è molto peggio della prima scuffia. La radio sottacqua. Fuori niente candelieri e uno strallo è rotto, il timone a vento a pezzi. Svuota la barca, ripara quel che può e continua.

 

Incontri ravvicinati

In Pacifico è un giorno di mare appena increspato. “Vedo la groppa scura di un balenottero affiancarsi al mio Surprise quasi volesse sfidarlo un una gara”. Il balenottero si allontana. Arriva la madre. S’immerge. Sembra passare sotto Surprise. Tutto trema per il colpo. Fogar scende in cabina. “L’acqua continua a salire, mi copre già la caviglia”. Stracci e maglioni per chiudere la falla. Un tuffo per vedere dov’è la ferita con “il mare che mi pare sia entrato tutto nella mia casa”. La riparazione regge ma l’idea che si poteva affondare fa male “un fatto ingiusto, che accetto solo perché in mare si impara ad accettare tutto, senza spiegazioni”. Dirige sulla Nuova Zelanda, su Auckland. Barca in cantiere e poi via per l’Australia e lo Stretto di Bass ed entrare nell’oceano Indiano. È il 25 maggio 1974 quando al largo delle coste australiane si scatena una delle più violente tempeste fino ad allora registrate. Fogar è in pozzetto quando un frangente sdraia la barca e lo getta in mare. Per fortuna è legato. “Quando risalgo a galla vedo la pinna nera della mia bella barca puntata verso il cielo”. “Credo di esser stato forse l’unico spettatore-equipaggio che possa dire di aver visto la propria barca rovesciata”. Lentamente Surprise torna su. Sale a bordo e dirige su Sydney. Sarà l’ultima sosta. Poi un lungo giro passando a nord dell’Australia, attraverso il Mar dei Coralli per raggiungere l’Indiano e Capo di Buona Speranza. “Da qui la strada è segnata: Ascensione, Sant’Elena…”. È il 20 ottobre, 160 giorni da Sydney quando riesce a raccontare che è caduto di schiena in cabina, rimanendo praticamente paralizzato per due giorni. “Non potevo mangiare, non potevo fare niente”. Si rimette in piedi. Sono le ultime miglia, ma tutto è faticoso. Azzorre, Gibilterra, il Golfo del Leone, le Bocche di Bonifacio. “Surprise scricchiola, si lamenta dei tanti colpi subiti… Sarò a casa domattina e, strano dirsi non so che fare. Mi mancano a un tratto la lotta e la prova, la fatica, il digiuno, l’umido nelle ossa…”.

Fogar a bordo del Surprise con la figlia Francesca nel 1977

Fogar nella storia

Poi a est, verso Castiglione della Pescaia, rischiara. “La mia nuova alba, quella cercata e trovata e persa in questi quattrocento giorni, ma ora finalmente è solo ritrovata… L’anima mi sembra a posto, adesso”, è il 7 dicembre 1974. Cinquant’anni fa. Erano passati 402 giorni dalla partenza, aveva navigato per 345 giorni, percorrendo 37.000 miglia. Ad attenderlo c’erano 20.000 persone, forse più. Impossibile contare gli italiani che seguendolo avevano scoperto che i grandi navigatori di casa nostra non erano solo quelli dei libri di scuola. Che ce n’era anche uno tra di loro. Capace di diventare come Ambrogio Fogar il quinto uomo al mondo ad aver doppiato, da solo e su una barca a vela, Capo Horn navigando da est e ovest contro venti e correnti dominanti. Contromano, come capitava di sentire allora al Bar Sport.

Assieme
al grande navigatore Chay Blyth (primo uomo ad aver cirumnavoigato il globo da est a ovest) in una puntata del programma TV ideato da Fogar che ebbe grande successo: “Jonathan – Dimensione Avventura”

Abbiamo chiesto a due grandi velisti che hanno conosciuto Ambrogio Fogar, Ida Castiglioni (prima donna italiana ad aver attraversato l’Atlantico nel 1976) e Corrado Di Majo (due Whitbread in carriera, nel 1978/79 e nell’89/90), di tratteggiare un ricordo del navigatore.

Il ricordo di Ida Castiglioni

Nel giugno del ’72 ero a Plymouth per capire meglio la Ostar che avrei fatto nel’ 76. Due settimane indimenticabili. Lunghe ore sulla barca di Chichester, con Franco Faggioni sul Sagittario, vidi Erik Pascoli partire fuori gara con il Rondetto. Fogar con il Surprise arrivò giusto in tempo per partire. Era davvero molto impegnato, la barca tutta sottosopra. Scambiammo poche parole. Nel 1975 cercavo la barca per la Ostar, e andai con lui da Nicolò Puccinelli, che aveva costruito il Surprise. A Livorno c’era in vendita il Miranda, un Impala 35, che Puccinelli aveva costruito in vetroresina. Una barca da regata davvero veloce. Un progetto di Sparkman & Stephens. Costava 37 milioni di lire. Ambrogio e Nicolò garantirono per me con l’armatore e comprai la barca con un acconto di dieci milioni. Eravamo con l’auto di Ambrogio e tornando a Milano restammo senza benzina: una camminata di chilometri e di notte per arrivare a un distributore. Ambrogio era fatto così: poco attento alle cose banali, come controllare se c’è benzina.
La prima volta l’avevo incrociato, credo nel 1971, a una regata, mi pare una Chiavari-Porto Maurizio. Era alle prime esperienze. Venne una botta di Mistral, non riuscì a strambare e col Surprise finì in Corsica. Per noi velisti e lettori fanatici di sacri testi, istruttori alla scuola di vela di Caprera, non esisteva che uno prendesse una barca di undici metri e, senza mai essere andato a vela, senza saper fare carteggio, senza alcuna esperienza in mare, si mettesse a navigare. Poi ha imparato bene. Ci si frequentava, ma il mio mondo era fatto di Caprera, di amici velisti, di gente appassionata alle regate. Lui aveva tante passioni, come la montagna, sempre in ballo cento cose. Noi, solo vela. Quando partì per il giro del mondo, lavoravo in Svizzera, nel Vallese. Avere notizie non era facile. Erano altri tempi. Era sicuramente organizzato, nessun senso del rischio, aveva molte risorse, instancabile, sempre di corsa, a inseguire nuovi obbiettivi. Sicuro di sé stesso, assolutamente finalizzato al suo progetto.
Un’immagine indimenticabile? Ostar del 1976. Il mattino della partenza, all’alba, venne a chiedermi se avessi da dargli una macchinetta del caffè per il fornelletto da campeggio del suo piccolo catamarano da lago, basso sull’acqua e fragile. Mi faceva paura solo a guardarlo: per entrare negli scafi dovevi essere un contorsionista. Lo ricordo in una tuta impermeabile bianca, in piedi su uno scafo tenendosi a una sartia mentre viene trainato verso la linea di partenza. Un’immagine che mi ha tormentato per tutta la traversata quando c’era maltempo. Pensavo a lui e mi dicevo: “Vedi di non lamentarti, lui è messo peggio!”.

Ambrogio Fogar salpa da Rio de Janeiro dopo aver fatto scalo nella città brasiliana
per riparare il boma del Surprise, danneggiato a seguito dello scontro con una nave. Questa non sarà l’unica sosta effettuata dal navigatore milanese: farà scalo anche a Auckland, in Nuova Zelanda, e a Sydney, in Australia.

Il ricordo di Corrado di Majo

Ho incontrato e conosciuto Ambrogio un sacco di tempo fa, precisamente nella primavera del 1976 quando, con un gruppo di velisti italiani fuori di testa, ci stavamo preparando per partecipare alla Ostar, la storica regata transatlantica in solitario da Plymouth a Newport, Rhode Island. Ambrogio, già reduce dal giro del mondo in solitario, era naturalmente il personaggio più noto ed amato, non solo nel nostro ambiente di marinai, ma in generale conosciutissimo in Italia in un tempo in cui l’aspetto “avventura” prevaleva decisamente su quello “competizione”.
Anche allora, certo, a nessuno sarebbe spiaciuto vincere… ma l’attenzione era posta tutta sul “farcela”, sul fascino di sfide non tanto nei confronti degli avversari ma ben prima nel confronto con gli oceani, i fenomeni naturali, la fortuna. Indimenticabile in tal senso quanto disse il grande Peter Blake mentre stava ricevendo il premio per una delle sue vittorie: “to finish first … you first have to finish”. Ambrogio era davvero il miglior interprete di questa tendenza. Era riuscito, e riuscirà sempre nelle sue mille avventure, a stupire per la fantasia e l’innovazione dei suoi progetti. Infatti, quando lo vidi ormeggiare in banchina a Plymouth di fianco a me, una settimana prima della partenza della Ostar, non credetti ai miei occhi.
Io, 22enne, mi stavo preparando ad attraversare l’Atlantico del nord, 3.000 miglia in solitario, contro la Corrente del Golfo, le balene al largo delle Azzorre, la nebbia sui banchi di Terranova, qualche iceberg in calata lungo la corrente del Labrador, con un piccolo, ma sicurissimo, Swan 37 che mi portò sano e salvo a Newport in 44 giorni. Lui era felice di fare lo stesso, ma con un microscopico catamarano, simile a quelli usati per far le regate la domenica sul lago di Garda, lungo a occhio 6 o 7 metri, privo di qualsiasi riparo interno. E siccome, avendo alle spalle un giro del mondo, ricordava che a volte da quelle parti è umido e fa freddo, la mattina della partenza scomparve. Ritornò a bordo all’ultimo momento dopo esser stato a farsi ungere di grasso dalla testa ai piedi prima di indossare una cerata stagna che aveva evidentemente previsto di tenersi addosso per tutta la traversata! Sfortunatamente, o forse per fortuna, il catamarano si ruppe presto e Ambrogio riuscì in qualche modo a ritirarsi e a portar a casa la pelle…ancora unta. Ma che importa del risultato? Quel che davvero rimarrà per me un ricordo indimenticabile è il pensiero di questo amico che con coraggio e allegria immaginò e tentò qualcosa di unico!

di Emilio Martinelli con i contributi di Ida Castiglioni e Corrado Di Majo

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