Rivoluzione 48 Volt? Ecco perché gli impianti elettrici di bordo stanno cambiando
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Una volta era tutto a 12, poi si è passati a 24 e ora si parla sempre più di 48 Volt per gli impianti di bordo. Perché? Prima di tuto per un motivo di pesi a bordo. Ma non solo.
Il punto di partenza, tornando indietro fino agli anni ’90, è quello di un mondo in cui tutti gli impianti di bordo delle barche erano esclusivamente a 12 Volt. Poi si è passati ai 24, ora si comincia a parlare di 48.
È lo stesso percorso che ha fatto, con più di dieci anni di vantaggio, il mondo automotive (ricordate gli “accendisigari” in cruscotto?). L’ultima grande accelerazione, in campo automobilistico, è avvenuta con le propulsioni elettriche e ibride, dove, con potenze che crescono sempre di più, l’utilizzo di impianti a 48 Volt è diventato d’obbligo (e dove si arriva anche a 400 o 800 Volt).
Ma nel mondo della vela a cosa serve, veramente, compiere questo passaggio? “Il primo grande vantaggio – ci ha spiegato Armando Villa di Green Yacht che da quarant’anni opera nel mondo della nautica e in particolare si occupa di tutto ciò che riguarda impiantistica e propulsione elettrica – è in termini di peso. Lavorare a 48 Volt significa poter ridurre drasticamente il diametro dei cavi. Tanto per dare un’idea si passa da quelli da 70 mm quadri, che pesano i kg/metro, a quelli da 35 mm che pesano esattamente la metà”.
Magari viene da pensare che alla fine si tratti di guadagni minimi ma non è così, soprattutto nel mondo delle regate o anche semplicemente dei performance cruiser di ultima generazione, dove risparmiare ogni chilogrammo è vitale. Le barche diventano sempre più complesse e con impianti più sofisticati e diramati per tutta l’imbarcazione. “Basti pensare – ci ha raccontato sempre Armando Villa – alla “lunga strada” che devono fare i cablaggi su un’imbarcazione di venti metri per arrivare fino a prua, all’elica di manovra, partendo dalla sala macchine. Oppure a quanti winch elettrici ci sono a bordo: su una barca di quella taglia sono facilmente sei e tutti devono essere cabalati”. E lo stesso vale anche per l’idraulica, le plance di poppa, i tavolini in pozzetto.
Gli armatori e i loro equipaggi sono abituati a gestire e movimentare tutto a bordo semplicemente premendo un pulsante. “Il vantaggio in termini di peso poi non riguarda solo i cavi ma anche le scatole per la loro gestione, i connettori i capicorda. Alla fine il guadagno per quanto riguarda il peso si fa sentire, e anche dal punto di vista economico. Inoltre far passare i cavi, compiere il lavoro di installazione, è ovviamente più complesso da gestire se i diametri sono maggiori ”.
La domanda che sorge spontanea è: perché si vedono ancora così poco impianti a 48 Volt, anche su barche di ultima generazione…? “La risposta è molto semplice – ci spiega ancora Villa – perché esistono ancora pochi accessori, nel mondo della nautica, che lavorano a 48 Volt. Ci si sta arrivando. Alcuni grandi produttori come Harken, Bamar, Lewmar lo stanno facendo. La strada l’hanno indicat, anche nel mondo nautico, le propulsioni elettriche e ibride dove le potenze che ora arrivano a 20/30 kW devono per forza lavorare a 48 Volt. Qui si può contare sulle batterie al litio, in molti casi le stesse che si trovano sulle auto, che sono a 48 Volt”.
Le aziende fornitrici si stanno adeguando a questa trasformazione. Un buon esempio del confronto tra passato e presente è tra i piccoli apparati come il Vhf o le radio di bordo che lavorano ancora a 12 Volt, mentre quando ci sono in gioco correnti molto elevate, ad esempio, per verricelli e winch, il processo è già partito. “Ad esempio – ci ha detto sempre Villa – sugli yacht a motore, di 18/20 m, le eliche di prua sono già da tempo a 48 Volt. Il problema nasce, come è facile immaginare, sulle barche a vela più piccole.”
L’altro fondamentale motivo per cui, in mare, non si utilizzano tensioni più alte, arrivando a 400 o 800 Volt come accade ore con le vetture elettriche, è ovviamente di sicurezza. L’acqua è decisamente conduttiva, quindi in ambiente nautico è più facile prevedere una situazione di cortocircuito rispetto a quello stradale, ed è per questo che gli standard di sicurezza sono diversi. Le tecnologie di base si sono però decisamente evolute e i legislatori stanno valutando la possibilità di stabilire degli standard per la nautica e in sede di Comunità Europea si parla attualmente di portare il limite a 50 Volt.
Un altro fondamentale motivo per cui il passaggio al 48 Volt nel mondo nautico sarebbe molto utile è che la tecnologia delle batterie a 48 volt è fondamentale per alimentare funzionalità avanzate per la gestione delle potenze di bordo che stanno diventando sempre più numerose e complesse.
48 Volt = cavi più piccoli. Ecco perché
Tutto parte dalla formula: Watt = Volt x Ampere. Le dimensioni dei cavi sono dettate dagli ampere che il cavo trasporta. Il modo più facile per capire è l’analogia con il mondo idraulico, con le batterie che sono il serbatoio pieno d’acqua. Grazie alla forza di gravità, aprendo il rubinetto, l’energia potenziale dell’acqua diventa cinetica: i Volt (V) identificano proprio questa differenza di potenziale, ovvero la tensione. Il flusso di acqua generato all’apertura del rubinetto è la corrente e si misura in Ampere (A), mentre i Watt (W) sono la potenza che l’acqua esprime all’uscita dal tubo.
Un impianto a 12 volt che assorbe, ad esempio 1.500 Watt (per esempio un verricello dell’ancora a prua) deve trasportare 125 Ampere (1500 diviso 12). Un sistema a 48 volt che produce gli stessi 1.500 Watt richiederebbe solo 31,2 Ampere (1.500 diviso 48). Il diametro dei cavi in rame richiesto da 31,2 Ampere è decisamente inferiore a quello richiesto da 125.
Volendo invece passare a parlare dell’autonomia di una batteria si usano invece gli Ampere Ora (Ah) che, come è facile intuire, indicano la corrente erogabile in un’ora, oltre la quale la batteria (il nostro serbatoio d’acqua) si considera “vuoto”. In pratica: una batteria da 1.000 Ah manterrà una corrente da 1.000 A per 60 minuti, o da 500 per 120 minuti.
Di Luca Sordelli
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