Speciale Coppa America: dentro gli AC 75 alla scoperta dei loro segreti

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Uno dei rari casi di foto con Luna Rossa immortalata in modo pulito da prua.
©Ivo Rovira / America’s Cup

Gli AC 75 sono arrivati alla versione 2.0, ma, se qualcuno si immaginava che ci fosse già convergenza tecnica tra i team di Coppa America, i fatti lo stanno clamorosamente smentendo. Le barche sono ancora abbastanza diverse tra di loro. Nonostante un regolamento piuttosto restrittivo sotto molteplici aspetti tecnici, infatti, la ricerca e lo sviluppo sia ingegneristico che a livello tecnologico delle squadre mostra, con le versioni 2.0 delle barche di 3 anni fa, il tentativo di esplorare ancora nuovi orizzonti, ma con logiche e scopi radicalmente di- versi rispetto ad ogni concetto tradizionale.

Istintivamente, vedendo i vari delle barche gli occhi si soffermavano sulle forme di carena e di scafo, ma bisogna impara- re che i principi che guidano le matite dei designer (o meglio i mouse del CAD dei reparti tecnici) sono un qualcosa di marcatamente diverso rispetto al passato. L’ultima edizione della Coppa, ad Auckland, ha segnato (con successo) l’esordio della classe AC75, e quell’edizione fu caratterizzata, tecnicamente, da una importante “fame” di conoscenze da parte dei team, con la necessità di lavorare spesso per ipotesi. Questa edizione della Coppa America sarà verosimilmente quella della consapevolezza, in cui le squadre più esperte sanno quali caratteristiche è importante tenere al centro dei progetti per ottenere le migliori performance e si concentrano su di esse.

Va notato che da questa edizione i fiocchi saranno autoviranti con rotaia, a differenza della passata dove la regolazione avveniva in una maniera più tradizionale con le due scotte, i punti regolabili e i winch. Questo che sembra un dettaglio ha in realtà portato con sé una vasta gamma di tematiche, specialmente per la regolazione in poppa. È infatti necessario per gli equipaggi mantenere il controllo della balumina e più in generale della forma del fiocco anche quando si lasca la scotta alle portanti e per questo si sono viste varie soluzioni.

I carrelli dei fiocchi autoviranti sono tutti in una trincea, spesso sigillata da una sorta di zip da cui fuori esce solo la scotta, ma da quel poco che si è visto le forme del trasto non sono uguali tra i vari team. La regolazione della randa, con l’unicità della doppia pelle da cui è formata e con l’albero rotante, rimane uno dei punti più coperti da segretezza da parte dei team e allo stesso tempo con grande ri- cerca e maggiori differenze (per quel pochissimo che si è potuto vedere). New Zealand sembra avere un sistema di controllo semplice ma efficace, mentre la complessità del sistema sembra essere superiore per Luna Rossa ed Alinghi.

Venendo quindi al piano velico, è uno dei punti di maggior ricerca da parte dei team. Già dalla scorsa Coppa si era notato come la superficie e la forma della par- te alta del fiocco avesse una influenza importante sulla perfor- mance complessiva e in queste settimane di allenamento si sono visti parecchi esperimenti in tal senso in acqua, ma fino alle re- gate sarà difficile avere risposte definitive.

AC 75 Coppa America – I FOIL

I foil di Team New Zealand e Luna Rossa a confronto. La barca più distante nella foto era Luna Rossa, ma nonostante la prospettiva il foil di LR appare più grande, in larghezza. Differenze anche sulla forma, con quello italiano retto e quello dei kiwi invece curvo. La curvatura, se deformabile, potrebbe delineare un’appendice che cambia forma a seconda della velocità della barca e del carico a cui viene sottoposta.

Allo stesso modo non ci sono ancora certezze sugli elementi più importanti per la performance, e cioè i foil. Per il momento tutti i team hanno mostrato dei set di foil abbastanza simili tra loro, con un bulbo centrale, una superficie spostata indietro, non a V, ma comunque con una leggera curvatura verso il basso ma con le punte rivolte verso l’alto a tagliare il pelo dell’acqua.

Le differenze per ora si sono viste con rapporti di aspetto più o meno estremi e dimensioni dei flap più o meno generose (Alinghi ha mostrato flap più grandi ad esempio di New Zealand), ma anche su questo punto la sperimentazione è all’ordine del giorno, con le barche che spesso escono ad allenarsi con foil diversi tra dritta e sinistra per fare prove comparative e solo con l’inizio delle regate avremo le prime risposte in merito. Di certo c’è che le barche hanno mostrato di poter decollare già con intensità di vento intorno ai 6 nodi, per cui mostrando già un significativo passo avanti rispet- to alla precedente edizione della Coppa. Tante quindi le similitudini e le differenze tra queste barche così particolari, ma solo il campo di regata ci dirà chi ha avuto le intuizioni giuste.

AC 75 Coppa America – LO SCAFO

Lo scafo, l’elemento chiaramente più visibile, racconta tanto della filosofia progettuale, sebbene non siano più i tratti come la stabilità di forma o i volumi di prua per il passaggio sull’onda ad essere il fulcro, bensì tutte le caratteristiche necessarie ad assolvere i nuovi compiti cui l’elemento principe deve adempiere su un AC75. Il primo scopo è strutturale e c’è una ricerca esa- sperata da parte di tutte le squa- dre di alleggerire il più possibile le strutture e di concentrare il baricentro in basso e, longitudi- nalmente, all’altezza dei foil, per migliorare la stabilità in volo.

La sezione maestra a T è stata la scelta classica per tutti, ma le variazioni sul tema sono molte, con l’aerodinamica come linea guida: con le velocità prossime ai 50 nodi, la dinamica dei flussi sopra coperta e sotto carena è un fattore critico per la prestazione e le forme di carena e coperta sono (quasi) interamente pensate con questo unico fine.

La distribuzione dei volumi di scafo è molto diversa quindi tra i vari team, soprattutto verticalmente. Si va da estremi come Luna Rossa e Team New Zealand con una forma di scafo a V pronunciata e profonda, all’e- stremo opposto di Ineos, con una linea di chiglia (uno dei tratti caratteristici di queste barche) squadrata, e con un volume più concentrato in alto.

La soluzione di Luna Rossa presenta l’ipotetico lato negativo di una superficie esposta (e quindi di una resistenza) leggermente maggiore, ma, allo stesso tempo, dovrebbe garantire una migliore penetrazione, ed essere un vantaggio nella gestione dell’assetto di volo a pelo d’acqua. Sappiamo infatti che l’assetto ideale di volo per un AC75, quello che produce più stabilità e prestazione, è in realtà il più basso possibile sull’acqua, leggermente apprua- to, e le linee sottili di Luna Rossa e Team New Zealand potrebbe- ro rivelarsi utili per rimanere a pelo d’acqua con una certa ela- sticità, specie in caso di onda non piatta.

Rimanendo sulle prue sono da notare i due caratteristici “rigonfiamenti” sullo scafo di Alinghi nella parte prodiera superiore dello scafo, volti ad indirizzare ed accelerare l’aria sulla parte bassa del fiocco e, di conseguenza, ad iniziare ad incanalare i flussi aerodinamici già da prua, in modo da cercare di governare, a cascata, ciò che avviene poi nella parte poppiera.

Meritano un approfondimento le forme di prua di Alinghi, con i rigonfiamenti in coperta all’altezza dell’attacco del fiocco. Probabilmente servono per incanalare meglio il flusso d’aria nella parte bassa del fiocco e verso la randa.

Le uscite poppiere sono simili per tutti, sottili e rastremate, in cui proprio la chiglia gioca un ruolo abbastanza importante per contenere gli organi di governo del timone. Lo spazio, infatti, a poppa è ridottissimo, dato quanto si avvicinano scafo e coperta, e tutti i team cercano di tenere il piano di coperta più sgombro possibile data l’importanza cruciale, come vedremo tra poco, proprio dell’aerodinamica superiore.

Per questo motivo quasi tutti hanno cercato di aumentare il volume della “chiglia” nella zona poppiera, per massimizzare lo spazio a disposizione per l’alloggiamento dei sistemi di governo e poter minimizzare il volume occupato dallo scatolato in coperta. Fa eccezione a questa regola Team New Zealand, con una chiglia molto sottile, volta ad ottimizzare gli effetti di uscita, al contrario degli altri che invece presentano una superficie più o meno estesa perpendicolare alla direzione del flusso.

Interessante poi, in tal senso, il vero e proprio skeg adottato da Ineos davanti al timone, una specie di pinna al contrario, che dovrebbe avere la duplice funzione di migliorare l’aerodinamica della poppa e di chiudere lateralmente il vuoto che si crea in condizioni di navi- gazione con barca appruata.

AC 75 Coppa America – LA COPERTA

Salendo poi “sopra” le barche, arriviamo all’elemento che forse più di tutti rappresenta il lavoro esplorativo dei team e che al tempo stesso ha un ruolo addirittura più importante dello carena, ossia il piano di coperta. La prima, e più semplice, caratteristiche che notiamo per tutte le barche è il profilo di coperta non piatto, ma volto chiaramente a generare una certa portanza. Questo da una parte aiuta la barca a rimanere in volo, demandando una parte del sollevamento anche all’aerodinamica, dall’altra ha un effetto benefico sul piano velico. L’accelerazione dei flussi attorno alla curvatura del ponte va ad aumentare l’apparente nel terzo basso del piano velico con ovvi vantaggi.

Per questo tutto ciò che è esposto in coperta diventa una fonte di disturbo aerodinamico che va ad inficiare la prestazione, primo su tutti l’equipaggio, con i cockpit che lo contengono che sono ormai qualcosa di estremo. Basta guardare il cupolino frontale di Luna Rossa, che garantisce visibilità senza dover esporre la testa, o il fatto che tutti hanno posto la posizione dei ciclisti nella parte più poppiera disponibile dell’abitacolo.

Minimizzare la resistenza aerodinamica e abbassare il baricentro del peso è un obiettivo importante sugli AC75. American Magic ha realizzato la soluzione più “estrema”, con i ciclisti grinder che lavorano in una zona interna, non esposta, e pedalano in una posizione praticamente inclinata e quasi innaturale.

Da quanto si è visto e appreso, per chi scende in mare a pedalare è obbligatorio in regata svolgere il proprio compito senza mai alzare la testa. E proprio in tal senso è di particolare interesse la soluzione adottata da American Magic, unici ad avere i ciclisti nella parte più interna della barca, ancor più bassi come posizione, che pedalano in una posizione al limite dell’innaturale, ma con lo scopo di abbassare il baricentro e di concentrare le masse attorno agli arm dei foil.

Le estremità del pozzetto di Alinghi sono rastremate per minimizzare la resistenza, gli abitacoli dell’equipaggio completano il lavoro di controllo del flusso d’aria che inizia con i volumi di prua, ma a sorpresa a poppa si interrompono, lasciando nell’estremità posteriore una sorta di ala. Probabilmente la soluzione più “ricercata” tra quelle di tutti gli AC75.
©Ivo Rovira / America’s Cup

Terminando infine l’osservazione dei cockpit, come non soffermarsi sulle estremità poppiere di essi mostrate da Alinghi. Rastremati per minimizzare la resistenza e concentrati verso il centro della barca, gli abitacoli dell’equipaggio della barca svizzera sono la continuazione del tunnel creato dai rigonfiamenti sulla prua, ma, a sorpresa, si interrompono molto prima dell’estrema poppa, minimizzando la superficie resistente e lasciando la poppa libera, come un’ala.

A cura di Mauro Giuffrè e Federico Albano

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2 commenti su “Speciale Coppa America: dentro gli AC 75 alla scoperta dei loro segreti”

  1. Sposare la cultura della vela con i principi della aerodinamica e della idrodinamica applicata alla conformazione dei foil…. penso sia una delle cose più difficili da realizzare e sperimentare……. Trovare i compromessi ideali per riuscire a far lavorare bene il progetto finale selezionato … é veramente qualcosa di inimmaginabile….. Molto si saprà…. solo… alla fine di questa disputa… dai confronti sul campo di regata…. dove finalmente si giudicheranno gli scafi e i progetti vincenti….
    Senza mai sottovalutare la capacità di conduzione di simili….formula uno del mare.

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