Classic IOR e Admiral’s Cup, il regno delle barche cult
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La storia della vela odierna è un complesso intrecciarsi di intuizioni brillanti, innovazioni tecniche, personaggi ambiziosi, barche eccellenti e manifestazioni leggendarie. Un cumulo di elementi che, nel sommarsi e incrociarsi tra loro, come per ogni cosa, ha dato vita a quanto oggi possiamo testimoniare. Ci sono, però, elementi che indubbiamente ne sono chiavi di volta, landmark indimenticabili. Lo IOR (International Offshore Rule; QUI scopri cosa sia) fu certamente parte di questi, un periodo progettuale capace di risultati e innovazioni fondamentali. Quello IOR fu, in breve, un periodo unico, fautore di Classic Boat eccezionali e di regate diventate leggenda. Per celebrarlo al meglio, per restituirgli il merito che gli compete, e per ridar vita a questi scafi, il Giornale della Vela ha censito tante delle più grandi barche prodotte in serie (le trovi QUI) e, ora, vuole censire i grandi capolavori dello IOR, i cult della regata, ovvero quelle barche sopravvissute, uniche e preziose che hanno reso grande un’epoca d’oro. Ecco quindi il nostro appello a tutti gli appassionati: segnalateci i Classici dello IOR, dove sono e in che stato si trovano. Ve ne saremo grati.
Classic IOR – L’Admiral’s CUP
Lo scopo del censimento è quello di inserire queste barche nel nostro “registro” delle Vostre Classic Boat by Giornale della vela. ATTENZIONE, però, inserirle nel registro non vuol dire esclusivamente censirle, vuole anche dire valorizzare tutte quelle barche che hanno una storia e un pedigree che permette di evidenziarne il reale valore storico –esattamente come accade nel mondo delle auto e degli immobili– per restituire loro lo status che realmente meritano, e così il loro vero valore. Coglieremo l’occasione non solo per crearne un grande archivio accessibile a tutti, ma anche per raccontarle e condividerle al meglio, così che lo IOR, a suo modo, possa in parte sopravvivere, recuperando lo status che merita e consentendo a noi, e a voi, di vedere di nuovo queste barche in mare, e perchè no, magari anche in regata… Ma, oltre a censire e valorizzare le barche, l’obiettivo è anche quello di valorizzarne la memoria, raccontare i personaggi, gli scafi e le manifestazioni che hanno reso unico lo sport. Ecco, quindi, la regina della vela d’altura, l’Admiral’s Cup.
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Admiral’s Cup, il regno dell’Offshore
Uno dei motori indiscussi retrostanti lo sviluppo, gli investimenti e la nascita di scafi d’eccezione è lei, l’Admiral’s Cup, l’evento clou per conquistare il titolo di Campioni del Mondo d’Altura (e torna nel 2025). Ma, cosa fu, esattamente l’Admiral’s?
L’Admiral’s Cup fu un discorso complesso. In primo luogo quello. Nata nel 1957 su iniziativa del Royal Ocean Racing Club britannico (RORC), fu un trofeo internazionale biennale a squadre nazionali, presto destinato a diventare l’apice della vela d’altura. Composto di 6 prove (fino all’87), comprendeva regate a circuito tra le boe, la Channel Race e la famosissima Fastnet Race, il culmine del tutto, 605 miglia nelle difficili acque a sud di Inghilterra, Galles e Irlanda. Nata a fine anni ‘50, raggiunse il suo culmine negli anni ‘70, con ben 3 edizioni forti di 19 squadre nazionali, a loro volta composte di diversi scafi ognuna. Gli anni ‘90 e l’IMS, a sostituzione dello IOR, furono invece l’inizio del suo declino, ufficialmente terminato con i primi anni 2000.
Nozioni a parte, l’Admiral’s Cup fu però, e comunque, l’apice degli scafi IOR, sottolineandone sia le enormi qualità, sia i più disarmati problemi di fondo, messi a dura prova dalle difficilissime condizioni che il circuito poteva incontrare. La più famosa tra queste, indubbiamente, l’edizione 1979, vinta dagli Australiani ma segnata da una tragica tempesta(qui trovi l’articolo che la racconta).
Il 1979 fu infatti l’anno della tragedia e, contemporaneamente, l’anno del bronzo italiano. Se da una parte, il podio conquistato dal Vanina, da Yena e da Rrose Selavy riscaldava i cuori, dall’alta, la Fastnet fu il disastro che oscurò il tutto: 19 anime persero la vita e 20 scafi affondarono in quelle 600 miglia tra Cowes e Plymouth, passando per il Solent e doppiando la Fastnet Rock. Una due giorni di tempesta forza 11, infatti, scatenò il finimondo, con venti fino a 63 nodi (130 km/h) ad abbattersi sulla flotta di 350 scafi, tra partecipanti e barche al seguito. Dei 303 scafi sulla linea di partenza, solo 86 arriveranno al traguardo, 194 si ritireranno. Un evento che non solo mancherà, tutt’oggi, la più imponente operazione di soccorso mai effettuata dalla marina in tempo di pace, ma anche i limiti stessi di tanti di quegli scafi, troppo tirati, troppo estremi per non poter effettivamente sollevar critiche e domande.
di David Sheahan: dei sei membri dell’equipaggio, solo quattro sono sopravvissuti.
Tragedie a parte, l’Admiral’s Cup fu però uno dei principali motori della progettazione IOR, un evento eccezionale che ha saputo dar vita scafi iconici e che, ancora oggi, fanno sognare le diverse generazioni. Scafi che, appunto, non vanno dimenticati, così non vanno dimenticate le figure che ne hanno disegnato le linee, che ne hanno realizzato le componenti e che ne hanno calcato e i ponti, inseguendo la vittoria ed il piacere del semplice navigare. Motivo per cui rinnoviamo il nostro appello a tutti gli appassionati: segnalateci i Classici dello IOR, dove sono e in che stato si trovano. Ve ne saremo grati, sono memorie da mantenere vive.
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