Classic IOR: le grandi barche e la Golden Age della vela

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‘YENA’ in una foto scattata durante la 12° Admiral’s Cup

Se si guarda alla storia della vela, a quella vela recente e che già possiamo identificare in forme simili a quelle odierne, troveremo che, il suo vero boom, fu il leggendario quasi-trentennio dello IOR  (QUI trovi la sua storia). Tra il finire degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘90, infatti, lo IOR (International Offshore Rule) diede vita alla “vela vera e proprio”, la vela dei tanti e non solo più dell’elite. Una vela fatta di grandi produzioni di serie, scafi d’eccezione, prototipi, one-off e piccole serie straordinarie, barche eccellenti e tutt’oggi appassionanti. Quello IOR fu, in breve, un periodo unico, fautore di Classic Boat eccezionali, oggi, sfortunatamente, in parte perdute o dimenticate. Per celebrarlo al meglio, per restituirgli il merito che gli compete, e per ridar vita a questi scafi,  il Giornale della Vela ha censito tante delle più grandi barche prodotte in serie (le trovi QUI) e, ora, vuole censire i grandi capolavori dello IOR, i cult della regata, ovvero quelle barche sopravvissute, uniche e preziose che hanno reso grande un’epoca d’oro. Ecco quindi il nostro appello a tutti gli appassionati: segnalateci i Classici dello IOR, dove sono e in che stato si trovano. Ve ne saremo grati.

Classic IOR: quali sono i cult della vela?

Lo scopo è quello di inserire queste barche nel nostro “registro” delle Vostre Classic Boat by Giornale della vela. ATTENZIONE, però, inserirle nel registro non vuol dire esclusivamente censirle, vuole anche dire valorizzare tutte quelle barche che hanno una storia e un pedigree che permette di evidenziarne il reale valore storico –esattamente come accade nel mondo delle auto e degli immobili– per restituire loro lo status che realmente meritano, e così il loro vero valore. Coglieremo l’occasione non solo per crearne un grande archivio accessibile a tutti, ma anche per raccontarle e condividerle al meglio, così che lo IOR, a suo modo, possa in parte sopravvivere, recuperando lo status che merita e consentendo a noi, e a voi, di vedere di nuovo queste barche in mare, e perchè no, magari anche in regata…

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Simon Le Bon Drum
Admiral’s Cup; Fastnet, 11 agosto 1985. L’equipaggio del Drum di Simon Le Bon aspetta i soccorsi dopo che la barca ha perso la chiglia e si è rovesciata al largo della Cornovaglia

Classic IOR: Non chiamiamole barche vecchie

Realizzati tra i tardi anni ‘60 e i primi anni ‘90, gli scafi IOR sono sempre più spesso ed erroneamente considerati, ahinoi da tanti, come semplici barche vecchie. Nuove, certamente, non sono più, ma considerereste un’auto storica, o un pezzo di design del Bauhaus, per far un esempio, come un semplice oggetto vecchio? Difficilmente. Certo, l’età non va dimenticata, lungi da noi, ma non è da considerarsi come un demerito. Il valore, infatti, non si fonda su questa. Sono la qualità, il merito retrostante lo scafo stesso, l’innovazione e la storia dello scafo a fare invece da fondamenta al criterio “valore”, poi equilibrato dallo stato di conservazione e dalla qualità complessiva del tutto, abbia la barca 30 o 60 anni, poco vuol dire. Sono le Ferrari di Lauda e Villeneuve semplici auto vecchie? O sono altri i parametri che danno loro valore?

fastnet 1979
Sopra, il I Classe IOR Rrose Selavy con cui Riccardo Bonadeo prese parte al Fastnet del 1979: lungo 13 metri (43 piedi), era l’ex Moonshine progettato da Doug Peterson.

Contestualizzando, non dissimile fu il mondo dei grandi cult dello IOR. Non tutte le barche saranno equivalenti, ma non per questo vanno dimenticate. Ognuna, a modo suo, ha fatto la storia. Con i grandi classici dello IOR ci si trova, infatti, e spesso, davanti a macchine eccellenti, piattaforme che, con un po’ di cura e una buona dose di amore, possono tornare a splendere come fecero, e come dovrebbero. Quella IOR fu una realtà di progetti d’eccezione troppo spesso non celebrata a dovere, ed è l’ora di rimediare. Ma quali sarebbero i vantaggi di fare tutto ciò? Niente di più banale.

Avendo già premesso il criterio celebrativo, passiamo subito allo step successivo, quello più concreto. Riconoscere il valore di uno scafo IOR famoso, riconoscerne la storia, i successi e i personaggi che ne hanno calcato la coperta, non solo è un riconoscimento alla barca stessa e al suo armatore. È un riconoscimento più concreto, ne incrementa il valore. Traslando l’esempio a mezzi iconici del passato, quante Jaguar E-Type sono in circolazione? Non poche, ma nemmeno troppe. E, a prescindere, non costano poco. Vi siete però mai chiesti quanto costi quella che fu di Steve McQueen? L’asticella di mercato vola alle stelle. Eppure è la stessa auto… Lo stesso vale per tante altre cose. E lo stesso vale per uno scafo eccezionale e ben tenuto, se il suo merito, la sua storia, venisse propriamente riconosciuta, che sia one-off o meno. Pensate al Sayula II, quanti altri Swan 65 hanno vinto una Whitbread? Nessuno. Ecco già un buon esempio. Non è solo l’unicità, ma è la storia alle spalle della barca a darle anche valore. E lo IOR altro non è che la storia, la base fondante, della vela di oggi.

Sayula II

Lo IOR fu una vetta scalata, un periodo rimasto nel cuore di tanti, ma non solo. Lo IOR fu un periodo di costante evoluzione, una fabbrica sperimentale di barche eccezionali. Barche che rimangono. E questa è la chiave di volta. Gli scafi IOR esistono ancora, possono essere sistemati e possono donare ancora tanto. E più ne torneranno a circolazione, maggiori saranno le loro possibilità, e le nostre, di tornare a far sognare. Il mondo delle regate “d’epoca” esiste, e sempre più si sta aprendo anche a scafi più recenti, gli IOR appunto. Un’apertura che apre circuiti nuovi, passioni nuovi e “mercati” altrettanto nuovi (e probabilmente meno costosi). Un’opportunità per tutti per, in contemporanea, celebrare la vela, goderne, e restituire vita e valore a un fenomeno che, forse, non morirà mai davvero. Di questo passo, un vecchio IOR non sarà più solo uno scafo “faticoso, vecchio”, ma sarà una celebrazione di cultura nautica, e un investimento non da poco. E tanti lo stanno finalmente capendo, basti l’esempio del primo BRAVA di Vallicelli (qui la splendida storia di come sia tornata a gloria).

Brava
Brava, capolavoro dello IOR e ora tornata a nuova vita (scopri qui la sua storia)

 

ELLESSEDI | Galetti

Galetti; 1980; 11.43 x 3.71 m; Andrea Vallicelli

Un esempio stupendo lo offre subito Lino D’Onofrio che, coincidenza vuole, ha salvato anche lui un piccolo grande capolavoro di Vallicelli, LSD, One Tonner d’eccezione. Ellessedi è un One Tonner IOR costruito nel 1980 per la Coppa del Mondo di Napoli, un progetto del grande Andrea Vallicelli realizzato in mogano da Galetti. Il top dell’epoca. E’ una barca che naviga benissimo, veloce e con ottimo comportamento in mare. Aveva solo bisogno di un po’ di cure, dice lo stesso armatore, e a buona ragione. Refit portato a termine e nasce un ottimo scafo, spartano, certo, ma le soddisfazioni non le regalano i divani… La storia integrale, D’Onofrio ce la ha raccontata, analizzando le sue ragioni e i “trucchi” per il refit. La trovate QUI

Ellessedi

MASQUERADE | Ranger Yachts

Ranger Yachts; 1972; 11.28 x 3.65 m; Gary Mull

Non sono solo i pezzi unici ad aver reso grande lo IOR. Certo, magari Admiral’s e Sardinia Cup vedevano scafi prodotti appositamente, altamente sperimentali, ma le varie Ton Cup e i Campionati del Mondo meno. Proprio qui, grandi One-Off e scafi di serie si sfidavano in esplosioni di spinnaker e scafi colorati, creando leggende per i posteri. Fu proprio nel 1973, ad esempio, che un Ranger 37, Munequita, vinse tutto in categoria. Una barca di serie. Masquerade ne è l’altra sorella di lustro, sempre di serie, ma tirata come poche. Grande progetto di Gary Mull, nata a San Diego a San Diego è rimasta, regatando e vincendo tutt’oggi dacché è nata. Un bel segnale per lo IOR, che resiste in ogni dove.

Masquerade

BLUE MOON | San Vitale

Cantiere San Vitale; 1983; Scott Kauffman

Tornando di qui dell’oceano, in Adriatico per la precisione, un’altro One Off che si fece riconoscere. Importante progetto di Scott Kaufman, costruito da Piro Onoranti e dal cantiere San Vitale di Ravenna per il Campionato mondiale IOR 3⁄4 Ton Cup del 1983 a Trieste, troviamo Blue Moon. Al top della tecnologia dell’epoca, fu una pietra miliare dell’ultima progettazione classica IOR, sia sui fronti della tecnica che dell’artigianato costruttivo. La costruzione è leggera, ma estremamente rigida e robusta: mogano incollato epoxi con rinforzi in Kevlar e carbonio, per una barca ad elevata stabilità di peso, con una percentuale di zavorra in pinna del 50% (piombo). Molto invelata e con un piano velico facile da gestire, è armata in testa d’albero con volanti non strutturali (check stay). E naviga ancora, tenuta al meglio.

Classic IOR
Blue Moon

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Tre “chicche” sulle Classic Boats

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