Se ti chiami Tabarly hai la vela nel sangue. E si vede

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Tabarly
Al centro, il “dio delle onde” Eric Tabarly (1930-1998), a sinistra sua figlia Marie (nata nel 1984) e a destra il nipote Erwan (classe 1974).

Se ti chiami Tabarly, la vela ce l’hai nel sangue.

Il senso dei Tabarly per il mare

Qualche mese fa abbiamo celebrato Marie, la figlia del “dio delle onde” Eric, che ha stravinto l’ultima tappa del giro del mondo Ocean Globe Race con il Pen Duick VI, il ketch bermudiano di 73 piedi costruito per la Whitbread 1977/78 per il papà. Ma anche il cugino di Marie non scherza.

Il Pen Duick VI con skipper Marie Tabarly, vincitrice dell’ultima tappa del Giro del Mondo

Adesso le luci sono puntate sul 50enne Erwan, nipote di Eric (ovvero figlio di suo fratello Patrick, a sua volta marinaio con varie traversate sulle spalle, tra Jacques Vabre e Route du Rhum), che ha un palmares da oceanico di tutto rispetto con una lunghissima esperienza sui Figaro.

Erwan Tabarly
L’MN 35 Lann Ael 3 vincitore della Giraglia con a bordo Erwan Tabarly

Ma la sua grande impresa è tutta mediterranea. In coppia con Didier Gaudoux  ha trionfato alla Giraglia, sul MN 35 Lann Ael 3.

Una barca di poco meno di 11 metri, progetto di Manuard e Nivelt, su cui i due hanno completato le 241 miglia del percorso Saint-Tropez-Giraglia-Genova in 24h49m17s, surfando le grandi onde di questa edizione memorabile che ha visto tante superbarche e maxi dare forfait per le condizioni meteo proibitive (scatenando qualche polemica).

Grande risultato per Erwan, a nostra memoria nessuno aveva mai vinto la Giraglia in doppio. D’altronde, buon sangue non mente. E’ bene ripercorrere la storia dello zio Eric, probabilmente il più grande marinaio della storia moderna.


Eric Tabarly, il dio delle onde

 

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Domenica 23 maggio 1964. Quel giorno parte la seconda edizione della Ostar, la traversata atlantica in solitario da Plymouth a Newport, creata da Francis Chichester: tra i quindici concorrenti, quasi tutti anglosassoni, c’è un francese. Ha 32 anni, è un sottotenente della Marina e si chiama Éric. Éric Tabarly. Si è presentato a quella che i suoi compaesani chiamano transat anglaise (traversata inglese) a bordo del ketch di 13,60 metri Pen Duick II, da lui progettato appositamente per la Ostar assieme ai fratelli Costantini (titolari dell’omonimo cantiere di la Trinité Sur Mer).

“Ma cosa vuole fare questo qui”, pensano gli yachtsmen inglesi, “è pazzo se pensa di portare da solo una barca di 14 metri!”. Figuriamoci poi quando, appena dopo la partenza, issa uno spi di 82 metri quadrati. Mai prima di allora era stato fatto in una regata senza equipaggio. Ventisette giorni, tre ore e 56 secondi dopo, Tabarly entra nella storia, vincendo la regata proprio davanti a Chichester. è il francese che ha sconfitto i britannici a casa loro, che all’improvviso risveglia la passione dei connazionali per la course au large, che viene insignito della croce di cavaliere della Legione d’Onore dal presidente Charles De Gaulle in persona.

Che nell’arco della sua vita da marinaio collezionerà successi incredibili, che saprà spingersi oltre i limiti tecnologici, innovando anno dopo anno il modo di andar per mare. Che morirà da vero marinaio, inghiottito dalle onde. Questo è Eric Tabarly. Il più grande e influente velista della storia, almeno secondo noi della redazione e secondo voi.

Schermata 2016-09-12 a 12.09.24Un amore chiamato Pen Duick

Eric nasce a Nantes il 24 luglio del 1931, con il 75% di sangue bretone nelle vene: (sarebbe dovuto venire alla luce a Quimper, dove il padre Guy era agente della General Motors, ma quest’ultimo pochi mesi prima della sua nascita si trasferisce a Blois, nel dipartimento della Loir-et-Cher).

A soli sette anni, avviene l’incontro con il suo vero amore, quello che lo accompagnerà per tutta la vita e che, come vedremo, gli sopravviverà: il Pen Duick I, un “cotre franc” di 15,05 metri in legno disegnato dal grande William Fife III nel 1898. Nella pasqua del 1938 è in vacanza a Préfailles, in riva al mare, con papà, mamma Yvonne, la sorella Annick. Guy li porta a Basse-Indre, dove è in vendita la barca, che allora si chiamava Butterfly.

Vecchia di quarant’anni, in male arnese, aveva già collezionato undici proprietari: costava troppo mantenerla ed era abbandonata in un canneto. “Con la mia logica di bambino avevo pensato: ma non è mica il posto giusto per una barca”, scrive il Bretone nel suo “Memorie del largo” (pubblicato da Mursia nel 1998). I Tabarly si innamorano dell’imbarcazione, la acquistano e la rinominano Pen Duick. Sono anni di occupazione tedesca, i Tabarly vengono sfollati.

tabarlyIl Pen Duick, mentre Guy è mobilitato, viene disarmato e trasferito sul fiume Odet, dove viveva il marinaio che aiutava a bordo. Finisce la Seconda Guerra Mondiale, i genitori tornano a Blois, il giovane éric va in collegio: la barca rimane a marcire nel fango. Verso la fine degli anni ’40, è ormai un rottame e i Tabarly non hanno le risorse per operare un refitting radicale, così la mettono in vendita. Ma Eric, innamorato del suo Pen Duick, scoraggia l’unico potenziale acquirente.

Nel 1952 si arruola nell’Aviazione Navale. Questo è anche l’anno che consolida l’amore tra lui e la barca: il padre vuole vendere il piombo della chiglia, il Bretone si oppone e gli propone di farsi carico delle spese di ristrutturazione con la prossima paga di militare. Guy s’intenerisce e regala al figlio il Pen Duick. “Sarai il tredicesimo proprietario. Questo forse ti porterà fortuna”, gli dice. Nel ’55 éric è in Indocina come pilota d’aerei della Marina: ha bisogno di soldi per mantenere la sua amata, che decide di ristrutturare fasciandola in vetroresina, una scelta molto in anticipo sui tempi (la vtr invederà il mercato delle barche di serie intorno alla metà degli anni ’60). Ad aiutarlo nei lavori i succitati fratelli Costantini: “Ci pagherai quando potrai”, gli dicono. Il Bretone, uomo di parola, esaurirà il suo debito nel 1963.

Schermata 2015-04-29 a 17.49.22L’inventore della vela moderna

Ed è proprio in questo periodo che nasce il grande velista: con i Costantini progetterà il Pen Duick II con il quale, abbiamo visto, trionferà alla Ostar: è un ketch con fasciame in compensato marino con carena a doppio spigolo, varato giusto due settimane prima dello start di Plymouth grazie all’aiuto finanziario di alcuni amici e il “solito” credito dei fratelli costruttori di origine italiana: la sua barca pesa la metà di quella degli avversari, è uno dei primi esempi di “dislocamento leggero”.

Nasce il mito e, come lo hanno definito alcuni, l’inventore della vela moderna. Nel 1967 vince tutte le regate a cui partecipa (Fastnet, Channel Race, Sydney Hobart e giro del Gotland) con il Pen Duick III, innovativa goletta in alluminio da regata (nel ’72 sulla stessa barca vincerà anche la Transpacifica). Il Pen Duick IV, nel 1968, è uno dei primi trimarani oceanici (lungo 20,80 metri e largo 10,70) ma si infrange contro un cargo durante la Ostar. Nel ’69 sul piccolo Pen Duick V, la prima barca a essere equipaggiata con i water ballast per aumentarne il raddrizzamento, trionfa alla San Francisco-Tokyo.

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La consacrazione definitiva di Tabarly

Arriviamo al 1976, che forse è l’anno di culmine per la carriera di éric il Grande: a bordo del Pen Duick VI (ketch da 22,25 m costruito nel 1973 su un progetto di André Mauric con chiglia – sic! – in uranio impoverito) vince per la seconda volta la Ostar.

“Ma quello che ha dell’incredibile”, avevamo scritto in un articolo-tributo sul GdV dell’agosto 1998, “è come un solo uomo sia riuscito a portare alla vittoria una barca progettata per essere condotta da quindici persone e con il timone automatico rotto”.

Con la barca aveva partecipato alla Whitbread ’73/’74 in equipaggio e vinto il Triangolo Atlantico nel 1975: era impensabile condurla per tremila miglia da solo e lui ci riuscì, apportando solo qualche modifica marginale in coperta per facilitare quello che oggi chiameremmo easy sailing, tra cui una calza per spinnaker in tubo di nylon e i coffee grinder al posto dei tradizionali winch, soluzione da Coppa America mai vista su una barca oceanica.

Dopo la vittoria, al suo ritorno in Francia è proclamato eroe nazionale: non era mai accaduto (e ancora deve capitare di nuovo) che un velista venisse accompagnato in trionfo lungo i Champs Elyseés da una folla di 80 mila persone. Che paradosso per lui, così taciturno e schivo, famoso senza voler esserlo.

Schermata 2016-09-12 a 12.08.41Sempre avanti agli altri

Nel 1980 è a bordo del trimarano Paul Ricard, sui cui scafi applica (con trent’anni di anticipo sui tempi), degli hydrofoil: fissa il record transatlantico (10 giorni, 5 ore, 14 minuti e 20”). Nel ’97 a 66 anni suonati, a bordo dell’Open 60 Aquitaine Innovation si aggiudica la Transat Jacques Vabre in coppia con Yves Parlier. Gli insuccessi di Tabarly si contano invece sulla dita di una mano: con il Pen Duick VI nel 1968 abbandona la Ostar e disalbera alla Whitbread nel 1973 mentre era in testa. Ha partecipato, senza mai vincere, a ben cinque giri del mondo (dal 1973 al ’94); nel 1979 durante la traversata in doppio Point-Europe 1 con Paul Ricard è costretto al forfait e, a bordo di Cote d’Or, si ritira alla Route du Rhum del 1986.

Schermata 2016-09-12 a 12.09.01La scomparsa del dio delle onde

In tutti questi anni di regate intorno al mondo, Eric, che ha contribuito ad “allevare” generazioni di grandi velisti (Marc Pajot, Olivier de Kersauson, Philippe Poupon tra gli altri) non ha mai abbandonato il suo Pen Duick I. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno stava navigando sulla sua amata una trentina di miglia al largo di Milford Haven (Galles): il Bretone era diretto in Scozia, dove avrebbe dovuto partecipare al centenario dei progetti di William Fife. Assieme a lui un equipaggio poco esperto: il vento aumenta con raffiche fino a 30 nodi, il mare è formato. Tabarly sale sulla tuga per ammainare la randa e issare una vela più piccola: durante la manovra, la barca straorza, sbanda ed éric cade in mare, forse colpito dal picco della vela.

Non aveva né il salvagente né una cintura di sicurezza: “A bordo non obbligo nessuno a portarla, perché per pretendere qualche cosa dagli altri bisogna anche dare il buon esempio” aveva scritto. “Invece io mi rifiuto di mettere la cintura di sicurezza. Il mio ragionamento è semplice: preferisco sparire in pochi minuti, invece di rovinarmi la vita a bordo per via della cintura di sicurezza”. E così è stato. Al buio e con il mare agitato, tutti i tentativi di recupero da parte dell’equipaggio sono vani. Non poteva che scomparire in mare il più grande marinaio della storia.

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1 commento su “Se ti chiami Tabarly hai la vela nel sangue. E si vede”

  1. sandro mattioli

    Lo ho conosciuto in Bretagna stavamo bordo a bordo in porto a Malta lui sul Pen Duick noi sul Comet 9.10 Largo cam stend che vinse la prima Middle Sea Race. Facevamo a gara a chi saliva più in fretta sull’albero solo a braccia . Vinceva lui e il suo albero era più alto

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