Quando i terroristi delle Brigate Rosse andavano in barca a vela

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Il tragicomico racconto del viaggio in barca a vela del capo delle Brigate Rosse Mario Moretti a bordo di un Koala 39, il Papago, per caricare un carico di armi in Libano e sbarcarlo a Venezia. Tutto vero, accadde nel 1979!


La storia del Papago e delle Brigate Rosse

Ai giorni nostri orgogliosi d’aver navigatori oceanici battenti bandiera “Italia” così bravi come Beccaria, Bona, Fornaro, senza dimenticare l’ultimo di questa risma che ha strabiliato tutto il mondo velico facendo una figura splendida all’ultima Mini Transat, Luca Rosetti, pare quasi che questi siano venuti fuori dal nulla, dall’oggi in cui la nostra memoria dura il tempo di un tweet, men che meno di un post. Invece no. Invero la lunga storia della vela oceanica a firma italiana ha più di mezzo secolo sulle spalle. Si dipana dalle prime sortite agonistiche – siamo nei primi anni Settanta (definirle avventurose era dir poco!) – della transatlantica O.S.T.A.R. o del primo Giro del Mondo in regata, la Whitbread.

Uno su tutti, tra i vari eroi di quella simpaticissima Armata Brancaleone di allora (detta in maniera positiva) il biondo longilineo adone Doi Malingri di Bagnolo, aristocratico con aderenze umbre che assieme all’altrettanto splendida moglie Carla Notarbartolo di Sciara, giravano – temerari – mezzo mondo in regata e non. Lo facevano, tra le altre barche, con il CS&RB, Koala 50 costruito da Nordcantieri su disegno dell’onesto architetto navale “very british” Robert Clark.

Il Koala 39 su cui navigò il “boss” delle Brigate Rosse

Ma la Nordcantieri non fece solo questo “grande” yacht da 50 piedi ma anche uno più adatto a quei tempi, un 39 piedi sempre della serie Koala.

Uno di questi era il Koala 39’ che rispondeva al nome esotico di Papago. Siamo nei giorni di fine agosto del lontano 1979. Il Papago non avrebbe giammai avuto nessun risalto se non fosse che questo yacht ha contraddetto in pieno il concetto di yachting (lo ricordiamo: lo yachting è l’andar per mare per divertimento) in quanto la barca servì – udite! Udite! – per trasportare armi, ed un carico di armi notevole per le Brigate Rosse di allora. Lo skipper, tale Gidoni,[1] marchigiano D.O.C., anconetano per la precisione, nonché psichiatra di vaglia, nonché partecipante a diverse Middle Sea Race (una con Stefano Carletti, quasi mitologica figura della vela nostrana, un Ted Hood all’italiana!) e vari Campionati del Mediterraneo, aprì le draglie di poppa per nientepopodimeno che a Mario Moretti, uomo di punta del terrorismo rosso.

Un singolare equipaggio

Con cotanto equipaggio, loro due e pochi altri, s’avventurarono in una traversata mica da ridere (ebbero anche uno schiaffo dal mare non indifferente al largo di Cipro): atterraggio previsto in Libano! Strane storie sotto la stella dello yachting! Ma vale la pena di raccontare la storia se non fosse perché la Macchina del tempo che ci ha riproiettato da quei paraggi ci offre il destro per ricordare a tutti noi che nulla si crea e nulla si distrugge: il Koala ’39 portava dei redan in carena, dei “scalini” insomma, trasmutati dalle carene motonautiche, i quali non sono altro che gli antesignani dei chin visti da un po’ di anni a queste parti sulle barche da regata più in voga!

Brigate Rosse, Mario Moretti a processo

Ma dicevamo dello skipper nonché armatore seppur fresco fresco allora, in quanto acquistò il Papago proprio per quel preciso viaggio, Massimo Gidoni. Aveva dato appuntamento a Numana, ameno posto all’ombra del Conero, con il già citato Moretti e Riccardo Dura, un genovese in forza alla “gente di mare”, un marittimo vero e proprio insomma e tale Sandro Galletta come pratico locale in quanto veneziano che si sarebbe reso utile giacché lo sbarco finale delle armi era previsto al riparo di occhi indiscreti nottetempo nella nera laguna veneziana! A dir il vero doveva esser imbarcata pure Barbara Balzerani, la brigatista deceduta non molto tempo fa, ma non essendo esperta dell’arte natatoria il quartetto decise di lasciarla in banchina.

Singolare che il più acculturato dei quattro, Gidoni, lo psichiatra con diverse pubblicazioni accademiche sulle spalle, fosse in coppia col meno acculturato di loro, Dura, il quale, come ragazzo “difficile”, da riformatorio insomma (aveva passato parte dell’infanzia sulla motonave alla fonda a Genova, il Garaventa utilizzato a mo’ di riformatorio) aveva avuto: solo loro due erano in grado di timonare il Papago! Come ogni uscita impegnativa che si rispetti anche quelli del Papago fecero una prova raggiungendo le prospicenti Isole Incoronate in Croazia, ma se il buon giorno si vede dal mattino quello non fu certo un buon giorno: l’uscita fu un flop, l’esperienza totale dell’equipaggio era meno che sufficiente ma tant’è, i palestinesi attendevano la barca e le promesse loro non potevano essere “da marinaio”, si doveva fare quello che si era detto e proposto, il carico di armi.

Moretti “lo skipper”

Ricordiamo, in tempi coevi di AIS, di cartografici, di satellitari, ecoscandagli in 3d, insomma tutta roba da guerre stellari, che allora si navigava quando andava bene con radiogoniometro della Sailor, radio SSB attaccato al paterazzo (chi se lo poteva permettere), sestante (chi lo sapeva usare), il Mancini (portolano) e carte dell’idrografico (chi se le poteva permettere sennò si usavano le carte stradali dell’AGIP!), insomma, mica facile! A bordo – racconta Sergio Luzzatto nel suo volume “Dolore e Furore. Una storia delle Brigate Rosse” grazie ad una testimonianza di prima mano – in realtà c’erano due skipper, uno velico, l’abbiamo citato, Gidoni ed uno “politico”, Moretti che catalizzava l’attenzione e la riverenza di tutti, specie quella di Dura che arrivò ad idealizzarlo un giorno che avrebbero preso davvero il potere come insignito del ruolo di Ministro della Marina!

Il Papago fece tappa a Brindisi e poi a Cipro sebbene in maniera riluttante in quanto si temevano “contagi” da qualcuno che poteva avere l’occhio lungo su queste cose. Al fine raggiunsero l’isola libanese di Al-Ramkin ed in men che non si dica un quasi nugolo di piccoli battelli li circondò: erano i portatori di armi che si dettero da fare per caricarle al più presto sul Papago. Al ritorno come ogni trasferimento che si rispetti ecco la sberla di mare al largo di Creta e lì, in quel frangente, pare che Galletta abituato più a padroneggiare i topi a motore (classiche barche veneziane) d’acque interne piuttosto che yacht d’altomare finì a paiolo, un classico.

La fine del viaggio del Papago

Fatto sta che tra le tribolazioni e le gioie del trasferimento ecco che il Papago guadagna di nuovo le coste italiane e precisamente a Tricase sempre con fare sospetto cercando di star al riparo di occhi indiscreti. Tappa finale e conclusiva il Lido di Venezia e vien da pensare a Morte a Venezia di Thomas Mann, del resto le armi chiamano sangue e basta ed è lì che si scaricò il letale contenuto della sentina, del ventre del Papago. Storia pazzesca quella del Papago ma doppiata se vogliamo seppur in tono minore da una analoga e cioè quella riferita al notissimo attore Gianmaria Volonté[2] che pur non trasportando hardware – armi – trasbordò software – l’intelligenza – nei panni di Oreste Scalzone, altro uomo di punta dell’acerrima contestazione degli anni Settanta, onde esfiltrarlo in Corsica per poi farlo accogliere dalla calde braccia della dottrina d’oltralpe, la Mitterand che si dette da fare per essere un porto sicuro ed accogliente per tanti terroristi ed insorgenti di casa nostra.

Ah, i francesi: “Farà piacere un bel mazzo di rose / E anche il rumore che fa il cellophane / Ma una birra fa gola di più /In questo giorno appiccicoso di caucciù / (…) / Oh, quanta strada nei miei sandali / Quanta ne avrà fatta Bartali / Quel naso triste come una salita / Quegli occhi allegri da italiano in gita / E i francesi ci rispettano / Che le balle ancora gli girano / E tu mi fai – dobbiamo andare al cine – / – E vai al cine, vacci tu. – / È tutto un complesso di cose / Che fa sì che io mi fermi qui / Le donne a volte, sì, sono scontrose / O forse han voglia di far la pipì…”.[3] Forse ad alcuni magistrati nostrani ancora le balle girano come le pale degli elicotteri, a noi resta che abbiamo fatto girare la Macchina del Tempo, allora il mondo non era di plastica.

Danilo Fabbroni

[1] Poi condannato proprio per appartenenza alle Brigate Rosse.

[2] 6 dicembre 1994: muore Gianmaria Volonté. Il ricordo di Oreste Scalzone – L’alter-Ugo (ugomariatassinari.it)

[3] Testo di Paolo Conte.

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6 commenti su “Quando i terroristi delle Brigate Rosse andavano in barca a vela”

  1. Una “storia” vecchia già descritta da Andrea Cappai nel libro: “Papago. Barche che hanno incontrato la storia” La narrazione dice tutto e nulla visto che ( come appurato da migliaia di pagine di verbali e dichiarazioni ) le BR si rifornivano di armi dalla criminalità organizzata ( NCO di Cutolo ed ndrangheta) secondo il racconto di Cappai lo skipper aveva comprato la barca proprio per effettuare questo traffico d’armi su richiesta di Moretti. Secondo alcuni questa “storia” è molto lacunosa e romanzata. Che bisogno c’era di arrivare sino in Libano per comprare un carico di armi ( per lo più residuati della II° guerra mondiale ) comprato dalla Tunisia e ceduto all’OLP? con tutte le armi che giravano in Italia negli anni 70/80….Tutto Vero dice l’autore dell’articolo….nella fantasia dell’autore del libro, ma la realtà è altra…..

    1. PECCATO CHE UNO STORICO DI VAGLIA NON UN COMMENTATORE DA BAR NEL SUO SAGGIO “DOLORE E FURORE” ABBIA RIVISTO L’EPISODIO CITANDO INTERVISTE DI PRIMA MANO; PECCATO CHE IL MEDESIMO EPISODIO STIA NEGLI ATTI PARLAMENTARI DELLE VARIE COMMISSIONI MORO, CON BUONA PACE PER I COMMENTATORI DA BAR.

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