La vita al massimo di Beppe Croce, primo grande “imperatore” della vela
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Beppe Croce è stato il primo uomo ad essere contemporaneamente presidente del circolo più antico di Italia, lo Yacht Club Italiano, della Federazione Italiana Vela e della Federvela mondiale. Intanto regatava ai massimi livelli con i suoi Manuela e nelle grandi regate d’altura come l’Admiral’s Cup. Per diletto inventava regate diventate mito come la Giraglia e ospitava il jet-set mondiale a Portofino mentre pensava alla Coppa America con Gianni Agnelli e John Kennedy. Croce è stato un vero imperatore della vela per tre decenni. Lo ricordiamo a 110 anni dalla sua nascita
Beppe Croce, l’imperatore
“Ci dovresti scrivere un bel pezzo sull’uomo più importante della vela italiana”… Questa è la premessa telefonica a questo articolo, che mi arriva direttamente dal direttore di questo giornale… Non aggiunge naturalmente chi abbia in mente, lasciando il sottoscritto in un momento di smarrimento.
In quei pochi attimi di silenzio, non volendo farmi cogliere impreparato visualizzo mentalmente una sorta di personale pantheon della vela che, non dico sia affollato, ma comunque lascia spazio a diverse prospettive su chi abbia fatto più di chi, e su vari livelli ‘gerarchici’ elaborati velocemente mentre sono lì al telefono.
Il direttore percepisce lo sferragliare dei miei pensieri e, naturalmente, non mi viene incontro nell’attesa – un po’ sadica – che sia io a dargli quella risposta che lui ha ben chiara. Accetto la sfida, ma gli domando almeno se si tratti di un vivente. A questo punto sono sicuro di averlo spazientito e taglia corto: “Devi scrivermi un bel ritratto di Beppe Croce – nato 110 anni fa – è lui ovviamente la persona che ha fatto di più per la vela in Italia e che ha avuto un grandissimo rilievo in tutto il mondo”. Ha ragione.
Beppe Croce, uomo di mondo
Andrea Giuseppe Croce, diventato subito Beppe nasce l’11 dicembre del 1914 in una grande famiglia della borghesia genovese; i nonni erano uomini di successo negli affari, in possesso di considerevoli beni, interessati alla politica, alla cultura e allo sport, amici di uomini famosi nell’Italia prebellica. Un nonno, Emilio Borzino, fu presidente del partito liberale fino al 1927; la sua casa era frequentata, ricordava Beppe, da Benedetto Croce, da Luigi Einaudi, da Marcello Soleri, dal generale Caviglia. L’altro nonno, Beppe come lui, aveva fondato la federazione del tennis, di cui fu il primo presidente, e fece giocare una volta la Coppa Davis nei giardini di casa, a Nervi, dove aveva allestito campi erbosi.
Difficile non beneficiare di simili contesti nelle fasi fondanti della crescita e della gioventù in una città vivace e in un quadro familiare sì benestante, ma in grado di equipaggiare il giovane Beppe Croce di tutte quelle virtù che ne faranno un grande gentiluomo e, come si suol dire, un perfetto uomo di mondo. A questo magnifico e fortunato cocktail, per fermare l’ago della bussola sul futuro del giovane Croce manca solo una piccola scintilla… ed è grazie a un altro Beppe che questo accade, con il dono di un Dinghy 12’ che riceve all’età di 9 anni da parte del nonno come premio per i brillanti risultati scolastici.
Il senso di Croce per la vela
Alea iacta est: ma per la dedizione totale occorre ancora attendere diversi anni. Beppe Croce grazie al Dinghy inizia la sua carriera da solista, si innamora della vela e impara a navigare. Ma sono anni difficili con il Paese flagellato da due conflitti mondiali. Proprio a causa della Prima, infatti, nel 1918 Beppe perde il padre, ufficiale in servizio a Trieste, a causa della spagnola. Rimane così privo di una figura di riferimento paterna cui rimedia il nonno Beppe – quello del Dinghy – imprenditore illuminato, fondatore della compagnia di assicurazioni Lloyd Italico nel 1910, poi diventata l’Ancora nel 1930, uno dei gruppi assicurativi italiani di maggior rilievo.
In parallelo alla sua passione per il mare che, scrivevamo più sopra, ancora non era sedimentata del tutto, Beppe Croce acquisisce intanto quei tratti del carattere in cui vi sono due pilastri fondamentali come il senso del dovere e lo spirito di servizio. In quel periodo pratica diversi sport, cresce, inizia a lavorare nell’azienda di famiglia e compie il suo dovere durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo l’armistizio del 1943, combatte i tedeschi, da partigiano liberale, fedele al re, secondo le tradizioni di famiglia.
Lo Yacht Club Italiano, la sua casa
Il suo impegno ‘sportivo’ parte precocemente anche in seno a quello che è il sacro tempio della vela in Italia, lo Yacht Club Italiano (fondato nel 1879) di cui diventa Segretario Generale il 13 ottobre del 1939, Vice Presidente dal 12 gennaio del 1943 fino a quella che diventerà una vera e propria reggenza dal novembre del 1958 al settembre 1986, il giorno della sua scomparsa.
Per avere una misura del ruolo dello YCI nella sua vita, nel 1944 in seguito alla quasi distruzione per un bombardamento della sede al Porticciolo Duca degli Abruzzi, il Club viene trasferito integralmente a casa di Beppe Croce in Via Assarotti al 5, ‘messa gentilmente a disposizione’ si legge ancora sugli annuari dello Yacht Club che, vale la pena ricordarlo, dal 1927 era stato investito della nuova mansione di ‘Federazione Italiana della Vela’ per volontà del CONI e del Partito Nazionale Fascista.
Beppe Croce, il più grande politico della vela
La carriera dell’uomo impegnato, del professionista e dello sportivo prendono una nuova velocità nell’immediato Dopoguerra. Beppe Croce nel 1950 succede al nonno alla guida del gruppo. Benché non avesse un naturale trasporto o inclinazione particolare per quel mondo, non poteva però sottrarsi al compito di tenere in vita la società che il nonno aveva fondato e gestito con successo: era una questione di stile; l’uomo di stile non può sfuggire a certe incombenze, anche se non sono poi così gradite. Beppe si dedicò dunque, per gran parte della propria esistenza, all’attività di assicuratore.
Sempre abusando della metafora ferroviaria, se il binario professionale correva dritto e senza particolari sobbalzi, la sua carriera velica inizia però a prendere una china diversa e, forse, molto entusiasmante per chi ha una così forte attitudine politica e una visione. È proprio nel 1952 che si iniziano a muovere diverse cose. Beppe Croce è allora Segretario Generale dello YCI e nel gennaio di quell’anno, in occasione di un viaggio a Parigi che è entrato nella storia, insieme a René Levainville e Franco Gavagnin, danno vita alla prima regata d’altura del Mediterraneo, la notissima Giraglia, nata proprio per unire sportivamente due paesi vicini i cui rapporti erano stati logorati dal precedente conflitto mondiale. Alla fine di quell’anno arriva anche la prima nomina internazionale: Beppe Croce, allora 42enne diventa rappresentante del Mediterraneo in seno al Comitato Permanente dell’I.Y.R.U. (International Yacht Racing Union) che è la federazione mondiale della vela, fondata a Londra nel 1907 e che in seguitò diventerà I.S.A.F. e poi World Sailing.
Nel 1955 l’Italia diventa membro permanente dell’IYRU con seggio proprio, con tale carica affidata proprio a Beppe Croce che, quasi in contemporanea è eletto anche membro della giuria internazionale in occasione delle Olimpiadi di Melbourne del 1956. La sua carriera di dirigente sportivo è decisamente fulminea. Se inizia a essere conosciuto e apprezzato in quel mondo a trazione anglosassone, in Italia assume la Vicepresidenza della Federazione Italiana Vela nel 1953 per assumerne il ruolo di Presidente dal 1957 al 1981, quasi 35 anni di mandato!
Come ben riassunse Piero Ottone nel suo lungo ricordo che chiude il volume di Mondadori dedicato a Beppe Croce ‘Una vela sulla rotta di una Vita’: “Era giudicato da qualcuno un presidente all’antica, favorevole alla vela di élite, quella che si faceva un tempo, e che lui stesso definiva “con le flanelle bianche”. Ma la critica era dovuta a un equivoco.
È vero: Croce è stato uno sportivo all’antica, un vero dilettante, uno yachtsman piuttosto che un velista; un organizzatore, tanto per intenderci, che non chiedeva il rimborso delle spese per i suoi viaggi di servizio, anche se andava a Hong Kong o a San Francisco. Ma egli ha dato un contributo decisivo alla popolarità della vela in Italia. Gli iscritti alla FIV sono passati, dai tremila dell’inizio, a oltre quarantamila; le scuole di vela, da una mezza dozzina a duecentocinquanta.
E poi c’è l’organizzazione di innumerevoli manifestazioni. L’evento più importante, al quale ha legato il suo nome, è l’Olimpiade del 1960 a Napoli: Croce era presidente del Comitato olimpico, e Carlo Rolandi, suo successore alla presidenza della FIV, ha affermato che quelle regate “segnarono per molti anni le successive Olimpiadi, per la scelta dei percorsi, per la fantasia di molti dettagli organizzativi, per la lezione e la cordialità di un’Olimpiade ancora a livello umano”.
Ma il ruolo che lo porta in cima alla vetta dello yachting mondiale, e anche qui Croce fissa altri due record: primo non anglosassone e come presidente più longevo, è appunto la presidenza della stessa IYRU, dal 1969 al 1986. In sintesi una vita a gestire i fili della vela con aplomb, classe e determinazione. Ancora oggi, dal 1989, la Federazione Mondiale assegna il Beppe Croce Trophy al personaggio che ha dato il più significativo contributo volontario allo sport della vela.
L’Italia in Coppa America? Merito di Beppe Croce
È sempre Beppe Croce colui che agevola l’ingresso dell’Italia in Coppa America andando con Gianni Agnelli a Newport nel 1962 nel tentativo di accreditare il nostro paese tra i challenger del più antico trofeo del mondo. Tornarono con alcune promesse vaghe e un arrivederci piuttosto lungo. Ma di quel viaggio ci restano delle istantanee leggendarie di Beppe Croce, Gianni e Marella Agnella e i Kennedy durante le regate di Coppa a Newport. Fu coinvolto anche nelle questioni di Azzurra, benché il suo ruolo di Presidente della Federazione Mondiale, nel 1983 lo vide più come mediatore nella contesa tra i suoi amici del New York Yacht Club e gli Australiani con le pinne incriminate.
Le cose andarono poi bene per gli italiani, alla loro prima apparizione sulla scena della Coppa America; benissimo per gli australiani, che se la portarono via. Croce era pieno di ammirazione per i vincitori, che avevano saputo innovare, mentre gli americani avevano commesso l’errore di credere che i Dodici Metri non fossero più suscettibili di miglioramenti. Ma gli dispiaceva di dare un addio a Newport.
“Newport era elettrica, l’atmosfera straordinaria, la tensione esasperata – scrisse in seguito – Per un amante della vela agonistica, come me, il fatto che abbia vinto l’uno o l’altro viene dopo; la prima forte impressione quella di un duello magnifico, leale, da antologia”. Quindi, l’ammissione: “Io amavo Newport, il suo mondo, la sua tradizione, la sua leggenda, l’ambiente della Coppa. Ho paura che, cominciando a girare il mondo, la Coppa perda un po’ del suo fascino”.
Chissà cosa ne penserebbe della Coppa di adesso… Ma questo non ci è dato saperlo.
Velista di talento e uomo di famiglia
Al grande profilo del professionista, ha fatto da quinta naturale una brillante carriera sportiva: vinse molte volte; la prima, nel 1939, nel Campionato Italiano Universitario, su una Star, che dal 1933 era arrivata anche in Italia; l’ultima, nel 1969, quando diventò campione italiano nei 5,50 SI, sul Lago di Garda. Non disdegnava l’altura e, inutile quasi dirlo, partecipò alla sua Giraglia 11 volte, vincendola in due occasioni a bordo di Miranda e di Pazienza. A bordo sempre con lui i suoi amici collaboratori più cari che ne avevano una quasi venerazione. Tra questi Luigi Lagorio Serra e Chicco Gambaro.
Il secondo binario della sua vita era la famiglia, cui lui dedicava il nome di tutte le sue barche, così come i suoi figli in seguito. Nel 1940 aveva sposato una donna di qualità non comuni, Umberta Raggio, proveniente da una famiglia di grandi uomini d’affari e di armatori genovesi: i Raggio del Castello di Cornigliano.
Dal matrimonio sono nati tre figli, Manuela, Gigi, Carlo; Manuela ha sposato Carlo Bonomi, col quale Beppe aveva stabilito un rapporto, oltre che di parentela, di amicizia, al punto da partecipare, lui gran sacerdote della vela, a regate sui motoscafi offshore: “La vela è l’amore. Le gare offshore a bordo di un Cigarette mi hanno rivelato l’amante ideale”, raccontò in seguito confermando ancora una volta quanto fosse acuto e spesso capace di grande ironia.
Una vita al massimo
La vita di Croce fu piena, movimentata, divertente e impegnativa fino all’ultimo giorno, sempre piacevole, avidissimo lettore, trascorreva molto del suo – poco – tempo libero sui libri. Tra le parole conclusive più belle ci viene ancora una volta in aiuto Piero Ottone quando scrive:
“Anche negli ultimi anni era sempre in mezzo a qualche battaglia, ma vedeva il mondo con la maturità e col distacco di un uomo saggio. Del passato ricordava i momenti belli: “Forse è vero – disse – che i veri paradisi sono i paradisi perduti, ed è anche vero che, nella memoria, i ricordi lontani ci sembrano sempre i più belli, perché si dimenticano le fatiche, i disagi, i pericoli, e soltanto la gioia del successo viene ad accendere il piccolo, spesso addormentato memorizzatore che alberga sempre nel cuore dell’uomo”.
Disse anche: “Io sono un vecchio innamorato, e gli amori senili sono spesso i più tenaci, perché forse costituiscono un revival; sono la ricerca del tempo perduto. Che dire di più? I grandi amori sono muti (a chi gli chiedeva quali fossero stati i suoi dolori, le sue amarezze, rispose: “Il tempo serve a cancellarli…”)”.
Le parole finali sono scritte sull’annuario dello YCI, che in poche, ma sentite righe saluta così il suo Presidente.
“1986 – 16 settembre: muore a Genova Beppe Croce, Socio Benemerito del Club che presiedeva dal 1963. Era Presidente, dal 1969, dell’International Yacht Racing Union e, dal 1957 al 1981, Presidente della Federazione Italiana Vela. Egli lascia un immenso rimpianto tra i Soci dello Yacht Club Italiano e gli innumerevoli Amici di Italia e di tutto il mondo velico”.
Non fa in tempo a seguire le avventure del 12 Metri Italia che partecipa alla sfida di Coppa America con i colori del suo Club, non fa in tempo a seguire tutta l’evoluzione del suo mondo da lì in avanti. Chissà cosa ne avrebbe pensato.
Luigi Magliari Galante
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2 commenti su “La vita al massimo di Beppe Croce, primo grande “imperatore” della vela”
BELLISSIMO RITRATTO, DIREI FATTO CON UN FLASH AL MAGNESIO E CON UN BANCO OTTICO DI LEGNO, METTI UNA DEARDORFF AMERICANA AD ESEMPIO, QUELLA CHE USAVA RICHARD AVEDON, GIACCHE’ QUANDO SI RITRAE E’ IMPORTANTE USARE STRUMENTI FILOLOGICAMENTE CONSONI E MAGLIARI LO HA FATTO DAVVERO! CHAPEAU!
Caro Luigi,
Mi sembra che dallo smarrimento iniziale tu ti sia ripreso benissimo!
Hai tratteggiato la vita di un italiano, molto genovese e molto internazionale al contempo, con grande maestria.
Grazie per la lettura ed il tuffo nel passato.
Luciano