Barche piccole contro barche grandi. Chi vince?
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Il nostro Marco Cohen* si è divertito a mettere a confronto barche piccole e barche grandi, scomodando due grandi “menti”. L’inventore dell’easy sailing e dei Wally Luca Bassani e il genio delle barche veloci Umberto Felci. Vi anticipiamo che non è solo una questione di portafoglio…
Barche piccole contro barche grandi
Venghino venghino signori lettori e signore lettrici perché in questo articolo proveremo a mettere in campo una sfida affascinante: ovvero Davide contro Golia, barche piccole contro le barche grandi. Sento già qualcuno di voi avvicinarsi e dirmi “inutile fare discorsi. È tutta una questione di portafoglio. Pochi soldi uguale barca piccola, tanti soldi in più vuol dire tanta barca in più”.
Ma siamo sicuri che sia proprio così? Partiamo dagli inglesi, forse gli inventori dello yachting moderno. Un vecchio adagio anglosassone recitava più o meno così: “Il vero Gentleman o Gentlewoman deve avere una barca (ovviamente a vela) di almeno due piedi superiore alla propria età”.
In pratica, sempre pecunia permettendo, un bel J/24, magari da dividersi con gli amici appena usciti dall’università, un Grand Soleil 44 per festeggiare la crisi di mezza età verso i 40 e perché no, la regina dei mari, lo Swan 65 per affrontare la vecchiaia con classe e dignità. Aggiungerei pure un paio di marinai giovani, vista l’età e le dimensioni della barca.
Ma ovviamente adesso i tempi sono cambiati, tecnologia e easy sailing hanno radicalmente modificato l’approccio alla vela.
Come le barche piccole ispirano le grandi. Parla Bassani
E a proposito di easy sailing, mi sono permesso di chiamare in causa l’uomo che ha innestato questo concetto anche sulle barche che un tempo necessitavano di un esercito come equipaggio: Luca Bassani, il genio della lampada che ha inventato i Wally.
Ne cito due con commozione, Esense barca pazzesca, un’infilata di teak a perdifiato, il trionfo del minimalismo in cui, come nelle barche d’epoca, non c’è neanche la battagliola coi candelieri ma un bordo che corre lungo tutta la barca dove sono nascoste tutte le diavolerie idrauliche e meccaniche che consentono di governare la barca con un bottone. E Tango del mio amato progettista Mark Mills, una sorta di daysailer di 100 piedi con cui ha vinto la line of honour alla Giraglia nel 2020.
Ma nel suo racconto, una cosa in particolare mi stupisce. Alla domanda “cosa hai rubato alle barche piccole per innestarlo su quelle molto più grandi?”, risponde con un semplice quanto geniale… “Facile. Il fiocco del Soling (barca da regatta a chiglia di 8,15 m che fu classe olimpica dal 1972 al 2000, ndr): piccolo, governabile e autovirante. Recuperato sui primi Wally, in un periodo in cui imperavano i genoa a grande sovrapposizione, adesso è tornato di moda su molte delle barche di grande serie anche da crociera”.
Come a ricordarsi sempre che, se è vero (citando il poster di lancio di Godzilla), “Size does matter” (le dimensioni contano) è anche vero che alla fine tra queste due categorie di barche in apparenza così lontane ci possono essere molti più punti di contatto di quello che si possa pensare.
L’equazione di Bassani: età x 2 = lunghezza barca
Bassani però sgombera subito ogni dubbio sul vecchio adagio anglosassone: tabella ormai da buttar via questa e rilancia con un doppio della lunghezza della barca rispetto alla propria età.
Un bel 60 piedi a 30 anni, un 80 a 40 e perché no, alla mia età, un bel Wally oltre i 100 piedi. A questo punto, per la serie serie tanto è gratis, chiedo il rendering del nuovo Wallywind 110. Il prezzo no, quello non sono riuscito a chiederglielo… La mia attenzione si sofferma su una commovente area lounge cucina esterna con tanto di frigo incassato in coperta. Il mio sogno assoluto di sempre: vermentino sempre fresco a portata di mano, l’ombra delle vele, schiaccio un pulsante e senza fare nulla posso anche virare prendendo l’aperitivo.
Piccole barche, belle e cattive
Riapro gli occhi e smetto di sognare e ripenso a tutti quelli che, gente normale, lottano per far quadrare i conti a fine mese anche in situazione di borghese agiatezza.
Perché in fondo noi armatori lo sappiamo a nostre spese, ad andare a vela si spende sempre, se sei quello che alla fine paga i conti.
La buona notizia è che ormai sempre di più si trovano straordinarie prestazioni veliche e qualità marine anche in barche di dimensioni ridotte, che hanno accesso a ormai tutte le regate offshore piu prestigiose (anche nelle categorie “per due”, ovvero con due soli membri di equipaggio), dal Fastnet in giù.
Due esempi per tutti piccole, belle e cattive:
1) Il nuovo Jeanneau Sunfast 30 OD disegnato dallo stesso studio VPLP che ha progettato assieme a Guillaume Verdier Comanche, il maxi di 100 piedi più vincente degli ultimi anni. Linea aggressiva, dritto di prua verticale e entrate piatte e affilate che preludono a lunghe surfate con gennaker in piena sicurezza.
2) Il J/99, probabilmente meno rivoluzionario e estremo come look, ma che ha saputo trionfare nella durissima edizione 2022 nella Sydney Hobart in cui si è ritirato il 42% delle barche iscritte (e praticamente erano tutte di dimensioni superiori rispetto ai 9,9 metri del J).
Barche piccole e Felci-pensiero
Per sentire le ragioni delle barche piccole, ho scomodato due progetti recentissimi ma c’è una piccola che mi ha sempre fatto battere il cuore. Ha ormai la sua età, ma non ha mai perso la sua gioiosa irriverenza e la sua velocità da barca nettamente superiore come dimensioni.
La riconosci anche tra 100 barche in partenza, tanto le sue linee tondeggianti sono originali: sto parlando dell’UFO 28. Pensato per il Garda, dalla penna di Umberto Felci e intravisto/incrociato in parecchi mari a partire da Trieste. Approfitto di questa occasione per interrogare Felci sulla nostra questione.
Mi dà subito grande credito: “Le barche piccole regalano sempre grandissime soddisfazioni a vela. Certo dalla tabella degli inglesi, che ovviamente condivido, dovrei avere un 60 piedi, ma devo confessare che ancora adesso poche cose mi divertono come regatare sui 470. Ho partecipato ancora, la stagione scorsa, ai campionati europei Master.
Ancora adesso cerco di trasferire agli ingegneri del mio studio il pensiero che anche su una barca di grandi dimensioni l’attrezzatura velica e il piano di coperta deve essere studiato con la stessa precisione e funzionalità che si hanno in una barca piccola”.
Come barche grandi e barche piccole si influenzano
Quindi è vero che molta dell’esperienza sulle barche piccole può essere trasferita anche su un 60 piedi. Sicuramente però, prosegue Felci, “il processo funziona anche in senso inverso e l’evoluzione delle costruzioni necessarie a progettare un 100 piedi può essere trasferita portando un’attenzione al design e alle linee delle superfici che era impensabile, un tempo, anche su barche di piccole dimensioni”.
In tutta questa piacevole conversazione, ahimé, boccia completamente una mia vecchia idea. Quella del frigo da esterno portatile adattabile a qualsiasi pozzetto anche di dimensioni più ridotte e alimentato in barca ad energia solare: pannelli solari troppo ingombranti, la cassa si scalderebbe e poi perché spostare quelli che finalmente sono sdraiati a prendere il sole mettendoci al loro posto un frigo!
Gli propongo anche l’ improbabile confronto che mi aveva fatto venire l’idea per questo articolo e mi chiede se sono completamente impazzito a voler comparare un 28 piedi del 1995 con un 100 piedi ma come non detto ci provo lo stesso alla fine dell’articolo.
Tiriamo le somme
Per tirare le somme e finire questo confronto che sulla carta sembrava impari… Vogliamo anche mettere, oltre alla leggerezza che dà sul portafoglio, il senso di libertà di avere una barca di dimensioni contenute, in cui vivere il mare da vicino?
Anche natante, ma che può essere portata in coppia senza ovviamente impazzire ogni volta a recuperare i membri dell’equipaggio. E qua non sto parlando di barche con i professionisti a bordo, perché quello è un altro sport. E in più lasciatemi fare anche una riflessione filosofica che va al di la della quantità di denaro che si può spendere, ma che si rifà al detto inglese citato in apertura dell’articolo, che sostanzialmente afferma che ogni età ha la sua misura ideale.
Io la tradurrei diversamente.
E se è vero che quando iniziano gli acciacchi dell’età si è portati a circondarsi di un maggiore comfort e che quindi si cerca una barca un po’ più grande… vorrei ricordarvi la famosa frase di Picasso: “Ci si mette molto tempo a diventare giovani e a imparare a dipingere come un bambino”.
È bello pensare che arrivati a una certa età sia bello ritrovare anche nella vela il gusto delle cose semplici e del vero lusso di non dover dipendere mai da nessuno… questo spiega il successo ad esempio di una vecchissima signora del mare come il Dinghy presso i velisti agé e anche la concept boat del Wallynano o dei vari daysailer che si possono armare per godersi la vela in totale autonomia e libertà.
E ora, a grande richiesta (di chi?). Il confronto impossibile!
Barche Piccole vs Grandi / Ufo 28 vs Wally 110
Cliccate sulla tabella sotto per aprirla e godervela in maggior risoluzione
Barche piccole contro barche grandi. Chi vince? Il verdetto
Alla fine, se Paris c’est toujour Paris e St. Tropez è sempre St. Tropez, è anche vero che la vela rimane sempre vela, qualsiasi sia la dimensione della barca. Quando passeggio per le banchine delle regate, mi soffermo sempre a vedere le facce delle persone.
Certo se guardo nel complesso, anche solo dall’abbigliamento e dall’aspetto (vi rimando al mio articolo sulla Copa del Rey dove gli equipaggi dei ClubSwan 50 sembravano usciti da un servizio fotografico di GQ e quelli della classe dove gareggiavo io sembravano usciti da un centro di recupero di fisioterapia) è facile capire su che tipo di barche regatano. Ma quando guardo solo il sorriso, è uguale per tutti. E quello puoi solo godertelo, ma non comprartelo.
*Chi è Marco Cohen
L’autore del nostro articolo, il produttore cinematografico e velista Marco Cohen, qui ritratto al timone di una barca piccola (in quel caso un Cape 31, progetto del suo designer “feticcio” Mark Mills).
Armatore di un MAT 12 (progetto, appunto, di Mills) gira il Mediterraneo per regate (perdendole quasi tutte ma divertendosi un sacco). Acuto umorista e filosofo della vela (“Ho riabbracciato la vela a 37 anni dopo l’ennesimo infortunio a calcio, quando ho realizzato che è l’unico sport che si può fare da seduti e con un bicchiere in mano”), i suoi articoli hanno sempre un grande successo. Qui sotto potete leggere alcune sue “perle”:
- Come rallentare una barca da regata. 10 segreti per non vincere
- Fenomenologia (semiseria) del Campionato Invernale
- La sindrome dell’armatore ovvero come essere felici nonostante la barca
- Come partecipare alle regate d’altura sapendo di perdere
- Guida per sognare la Sydney Hobart
- La sindrome del cambio barca
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