L’imbianchino che rubò la Coppa America agli americani
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Chissà se gli americani avrebbero mai immaginato che a interrompere il loro dominio sulla Coppa America, con un record durato 132 anni e 24 edizioni, sarebbe stato un nativo Inglese, emigrato in Australia dove aveva cominciato la sua carriera professionale facendo l’imbianchino. Il personaggio di cui stiamo parlando non è un nome qualsiasi nella saga dell’America’s Cup, e per questo trova posto nella nostra rubrica dedicata alla Coppa America cult: il suo nome è Alan Bond, colui che strappò nel 1983 la Vecchia Brocca agli americani.
Alan Bond – Il personaggio
Controverso, eccessivo, a volta anche poco trasparente (nel 1992 finì in carcere due mesi per bancarotta), Alan Bond si abbattè come un ciclone sulla Coppa America. Dopo il suo arrivo a 12 anni a Perth iniziò veramente a lavorare come imbianchino, e arrivò a controllare in pochi anni tutte le affissioni di Perth, per poi iniziare a costruire case, quartieri e porti.
La passione per la vela non arrivò da giovanissimo, ma lo coinvolse in modo importante, anche fuori dalla Coppa America. L’America’s Cup divenne però un suo obiettivo e Alan Bond non era tipo da fermarsi: le prime tre sfide (1974, 1977, 1980) andarono a vuoto, nel 1983 centrò invece un risultato storico che cambiò il corso del Trofeo velico più antico che esista. Anche perché aveva scelto come progettista di Australia II un certo Ben Lexcen, un uomo che avrebbe rivoluzionato la progettazione della barche da Coppa America. Al timone invece venne chiamato John Bertrand.
Alan Bond e il giallo delle alette di Australia II
Se c’era una cosa che di sicuro aveva capito Alan Bond era che nella Coppa America si vince solo osando, e non cercando di inseguire i detentori del Trofeo sulla stessa loro strada. Ovvero era inutile cercare di copiare le barche americane, perché sarebbero state sempre in vantaggio, serviva trovare un’altra strada e anticiparli.
Su idea di Ben Lexcen, Alan Bond chiese ufficialmente al New York Yacht Club, il circolo detentore, l’autorizzazione a fare dei test in una vasca navale olandese. All’epoca la costruzione della barca doveva essere svolta interamente nel paese che presentava la sfida, in questo caso l’Australia. Il New York Yacht Club sottovalutò la richiesta di Bond, realizzando solo dopo che quella sarebbe stata la fine dell’egemonia americana. Nella vasca olandese infatti gli australiani testarono le mitiche alette della barca che avrebbe battuto Liberty di Dennis Conner a Newport nel 1983.
Il chiglia gate
Il soggiorno olandese durò sei mesi, e incuriosì gli americani che vennero a scoprire che i test riguardavano soprattutto, oltre a una nuova forma di timone, delle piccole ali poste all’estremità della chiglia. Scoppiò una polemica ferocissima. Lo scandalo si infiammò ancora di più quando si scoprì che una delibera segreta, approvata nel 1982 dal Keelboat Technical Committee dell’IYRU (l’odierna ISAF), aveva stabilito che aggiungere gli addendi in chiglia era legale. Gli yankee cercarono di scoprire chi era stato l’autore di quel “colpo di mano” all’IYRU, ma non ne cavarono un ragno dal buco.
Australia II per tutto il periodo della Coppa di Newport si mostrava in banchina con una sorta di “mutandone” che le avvolgeva la chiglia per celarne il suo segreto. E in acqua la differenza si vide: la barca in molte condizioni era più agile di Liberty, e gli australiani riuscirono addirittura a recuperare una situazione di svantaggio sul punteggio di 3-1 per Liberty, ribaltando il risultato fino a un clamoroso 3-4. Fu la fine di un’era e l’inizio di un’altra, quella delle alette sulle chiglie delle barche da Coppa. Non fu invece l’inizio di un dominio australiano, i Canguri dopo quell’acuto persero la Coppa e uscirono lentamente di scena con alcune altre partecipazioni minori.
Mauro Giuffrè
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