Coppa America cult: l’ossessione di James Spithill per la Vecchia Brocca
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La caccia alla Coppa America è un’ “ossessione” che a volte influisce sull’intera carriera di un velista professionista di alto livello. Alcuni di loro infatti dedicano tutta la vita all’America’s Cup, chi col sogno di vincerla un giorno, e chi riesce a vincerla poi non può fare altro che difenderla.
Il mondo dei velisti della Coppa America è un elite dove non è facile entrare, ma dalla quale non è neanche semplice uscire. Chi sa bene come funziona questo processo è l’australiano James Spithill, uno dei timonieri di Luna Rossa, che alla Vecchia Brocca ha dedicato la sua intera vita professionale. Torna la nostra rubrica dedicata alla Coppa America cult con un personaggio da non perdere.
James Spithill – Quando il medico disse “Non farai sport”
“Non credo che questo ragazzo riuscirà mai nello sport” sentenziò un medico nel 1991 davanti alla mamma di un ragazzino con i capelli rossi e le lentiggini. Quel bambino, nato nel 1979, si chiamava James Spithill, e a scuola in quegli anni i bulli lo prendevano di mira perché la sua gamba destra, più corta di 5 centimetri rispetto all’altra, lo costringeva a zoppicare. Parte proprio da quest’episodio il libro intitolato 50 Nodi e dedicato al campione australiano, a cura di Rob Mundle, pubblicato per l’Italia da TEA (Tascabili Editori Associati), dal quale prendiamo spunto.
Ne il dottore ne i bulli potevano sapere che James sarebbe diventato negli anni successivi uno dei velisti più vincenti di tutti i tempi e della Coppa America in particolare. L’operazione chirurgica che doveva mettere alla pari le due gambe del piccolo Jimmy andò bene, e fu la molla per far scattare nel ragazzo una sorta di “fuoco sacro” nei confronti dello sport: vela, rugby, boxe, cricket, ovunque il giovane Spithill entrava in competizione finiva quasi sempre col vincere o con l’eccellere.
In quegli anni, dopo l’intervento chirurgico, nacque quel DNA da vincente che lo ha reso famoso. Quel DNA che fin dalla prima partecipazione a una regata James mise in mostra: Spithill vi partecipò in coppia con la sorella Katie, a bordo di un vecchio Dinghy che con il padre avevano rimesso a nuovo. Era la barca più vecchia e disastrata della flotta, ma a James ha sempre dato fastidio guardare la poppa di qualcuno, e vinsero la regata.
L’esordio in match race
E fu così che non appena finite le scuole superiori il giovane Spithill iniziò a partecipare con regolarità alle regate del Match Race Circuit, il trampolino di lancio che lo mise in evidenza sul palcoscenico della vela internazionale, sbarcando anche in Italia nel 1999 in occasione della Cento Cup, dove si trovò di fronte personaggi del calibro di Russell Coutts e Paul Cayard. Poco prima la vita sportiva di James Spithill era in parte già cambiata. Era infatti entrato nell’orbita di Syd Fischer, armatore dei mitici Raggamuffin, personaggio di spicco nella storia dell’America’s Cup sul fronte delle sfide australiane, e uomo d’affari. Fischer decise di “battezzare” il giovane dai capelli rossi nel mondo delle regate d’altura, e, intravedendone il talento, gli propose di fare da skipper alla sfida australiana per la Coppa America del 2000 ad Auckland.
La chiamata in Coppa America
Quando ricevette la notizia Spithill non aveva ancora compiuto 20 anni, e si trovava di fronte all’occasione che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Non erano più i tempi delle gloriose sfide aussie, a James venne affidata una barca vecchia, ribattezzata Young Australia in onore del suo equipaggio di ventenni, e un budget che non bastava neanche a costruire una vera e propria base a Auckland.
Spithill e i suoi nonostante tutto vincevano quasi sempre le partenze, soccombendo poi a causa delle performance inferiori della barca, ma portarono a casa comunque quattro regate vinte prima di essere eliminati, il rosso timoniere era ormai stato notato dal top della vela mondiale. Liberarsi dalla morsa di Fischer, che via via si era fatta troppo stretta, non fu cosa facile per Jimmy che nel frattempo aveva ricevuto offerte dalla maggior parte dei team per la Coppa del 2003.
Il sogno di vincerla
Su tutte c’era quella americana di One World, guidata dall’australiano Peter Gilmour, uno dei miti di Spithill. Fu un passaggio chiave nella vita di Jimmy, che da quel momento in poi lasciò l’Australia per trasferirsi prima in America, e poi vivere tra Nuova Zelanda, Spagna, Bermuda e Italia. Il nostro paese infatti incrociò ben presto la strada dell’australiano: nella semifinale sfidanti del 2003 One World eliminò proprio Luna Rossa, perdendo poi la finale contro Alinghi. Patrizio Bertelli decise che quello era il timoniere che faceva per lui e a Valencia nel 2007 gli venne affidato il timone di Team Prada. Fu un’esperienza di gioie e dolori: dall’esaltazione con cui Spithill strapazzò in semifinale Oracle, allo stupore con cui in finale si dimostrò impalpabile contro Team New Zealand che rifilò un sonoro 5-0 alla barca italiana. Ma ancora una volta fu chi era stato sconfitto da Jimmy a chiamarlo: Larry Ellison e Oracle, sotto la guida di Russell Coutts. Ellison che nel frattempo aveva trascinato il nuovo detentore della Coppa, Alinghi, in Tribunale, per una causa su presunte irregolarità del format della nuova edizione della coppa che stava nascendo sotto la guida del sindacato svizzero.
Oracle riuscì a vincere la causa costringendo Alinghi a un match secco, senza altri sfidanti, per l’assegnazione della Coppa del 2010: il mostruoso trimarano con foil e ala rigida degli americani contro il catamarano di Alinghi, furono regate senza storia, ma fu anche la prima Coppa America conquistata dall’australiano. La vittoria che però gli sta più a cuore è senza dubbio quella di San Francisco. Quella del 2013 fu una delle edizioni più tormentate della Coppa. I nuovi catamarani, l’introduzione dei foil, l’incredibile scuffia di Oracle nell’ottobre del 2012 e la morte di Andrew Simpson nel maggio 2013 in occasione della scuffia di Artemis. La finale mise davanti Spithill contro gli eterni rivali neozelandesi. Sui mostri volanti AC72 i kiwi sembravano decisamente più a loro agio tra le correnti capricciose della baia. Il vantaggio di 8-1 accumulato nella prima fase della serie sembrava irreparabile. Russell Coutts diede dietro le quinte l’imput per alcune modifiche cruciali alla barca, Spithill con l’aiuto di un certo Ben Ainslie le mise in pratica in acqua e fu portata a compimento una delle più clamorose rimonte nella storia dello sport. Oracle vinse per 9-8 e mantenne la Coppa America.
Il giorno in cui iniziò la rimonta
Gara 8 dell’America’s Cup Match, baia di San Francisco, 2013. Oracle, dopo la penalizzazione ricevuta a causa delle presunte irregolarità alle barche durante le America’s Cup World Series, partiva in finale dal -2 e nei primi 7 match ne vince appena uno: punteggio di 6 a -1 in favore di Team New Zealand. Gli americani approfittano dei giorni di pausa per stravolgere la barca e l’equipaggio in pozzetto.
Via John Kostecki alla tattica, dentro Ben Ainslie, via il bompresso da prua per eliminare resistenza aerodinamica, vengono modificate le derive (adesso più larghe e meno spesse) e la curvatura dell’ala (con una maggiore “profondità” di forma). Russell Coutts dà un ordine preciso a James Spithill: attaccare come se non ci fosse un domani, azzannare in partenza. Oracle fin dalle prime battute di race 8 sembra avere cambiato passo soprattutto di bolina (dove tocca in una fase impressionante di full foiling i 31 nodi), i kiwi durante un approccio ravvicinato in boa si scompongono, il catamarano sbanda paurosamente, orza fuori controllo, e va a un pelo dalla scuffia. Oracle orza per evitare la collisione e passa sopravvento andando a vincere la regata, il punteggio va sul 6-0 kiwi.
L’inerzia del match cambia definitivamente, è l’inizio della più clamorosa rimonta nella storia della Coppa America e dello sport in generale. Un incubo nazionale per la Nuova Zelanda, finirà 9-8 per Oracle. Che sangue freddo Jimmy Spithill!
Il resto è storia recente. La sconfitta nel 2017 a Bermuda, l’astro di Peter Burling che inizia ad oscurare Spithill, il ritorno in Luna Rossa e la finale del 2020 persa combattendo il più possibile. E nel frattempo le vittorie nel Sail GP. Se c’è una cosa sicura di James Spithill, è il fatto che lui non molla mai, e lo ha dimostrato anche nell’ultima sfida con Luna, confermandosi ancora una volta il killer che è sempre stato.
Mauro Giuffrè
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